30 settembre 2011

Cenerontola principessa all'arrembaggio - Davide Nonino

C'era una volta una principessa... e il suo nome era Cenerontola. Si, proprio con la "o" in mezzo. E per questo non era né alta né bionda, né bella né magra e non aveva neppure gli occhi azzurri. Le principesse non devono essere per forza come ce le immaginiamo da sempre o moderne eroine combattive da cartone in tre dimensioni. Dietro una principessa c'è prima di tutto una donna "normale" che, come Cenerontola, può vivere in un castello in affitto, sognare un'occasione per cambiare le cose e magari, con l'aiuto di chi si fa contagiare dalla sua passione, riuscire nella più rocambolesca delle imprese. Davide Nonino racconta in un libro-fiaba l'avventura di Cenerontola, nata da un gioco di parole, accompagnata da una galassia di personaggi spericolati e supportata da una pagina Facebook che ha raccolto migliaia di persone attorno all'idea di una vita dalla lettera diversa. Quella di Cenerontola è un'avventura scritta per i bambini che vogliono sognare con gli occhi all'insù e per gli adulti curiosi che nei riflessi di una storia vogliono sorridere alla luce della fantasia.

Recensione

Cenerontola principessa all'arrembaggio: resisto alla tentazione di assegnare un voto simpatia e sospendo un giudizio numerico.
Prima della recensione, una piccola premessa: il libro è rivolto, testualmente, a lettori 'Dai 6 ai 99 anni'. Un tempo non mi piaceva parlare di target, perché mi ripugnava porre simili paletti detentivi. E' innegabile che esistano capolavori moderni per ragazzi (come La storia infinita o Queste oscure materie) pensati per poter essere compresi dai più giovani ma contenenti sottintesi pienamente apprezzabili solo da chi è in grado di coglierli in toto, ma questi esempi si possono contare sulla punta delle dita. Oggi, lettrice più smaliziata, sono ormai della ferrea opinione che è estremamente difficile scrivere un romanzo per ragazzi o bambini e farlo con un talento tale da permettergli di sfondare i suoi confini e imporsi al gusto del lettore consapevole. Scrivo consapevole, e non adulto, perché le due cose non sempre coincidono.

Ebbene, Cenerontola rientra nell'oceano di opere che vorrebbero possedere più livelli di lettura, ma che non riescono a imporsi (e probabilmente nemmeno vogliono).
Il breve romanzo cavalca l'onda di quelle opere che hanno fatto la pelle all'oscuro medioevo favolistico: mi riferisco, ad esempio, alla serie animata di Shrek, il cui successo (dovuto alla sua capacità di rovesciare tutti gli stereotipi delle favole, in primis i ruoli di principe e principessa) è riuscito perfino a far comprendere alla Disney che era finalmente giunto il momento di riporre clava e perizoma leopardato; ed ecco apparire Come d'incanto, con la sua principessa catapultata nella New York moderna insieme a un avvocato divorzista, o La principessa e il ranocchio, che presenta un'emancipata protagonista afroamericana il cui sogno più grande è quello di aprire un ristorante.

Ebbene, Cenerontola si pone accanto a queste principesse moderne: è single e indipendente, non porta la quarantadue e non se ne dispiace -data anche la sua passione per il cioccolato-, al posto delle scarpette di cristallo preferisce le ballerine color amaranto, vive in un minuscolo castello in affitto, e invece di attendere l'aiuto di un deus ex machina preferisce rimboccarsi le maniche e darsi da fare per risolvere i propri problemi. Cenerontola è una donna normale che sta cercando l'occasione di tutta una vita per farla pagare alla perfida rivale Prunella, che, lei sì, porta la quarantadue, indossa scarpette di cristallo, preferisce abiti attillati, è ricca e popolare, e affida il lavoro sporco a qualcun altro per paura di rovinarsi le unghie. L'occasione si presenta quando la principessa dalle curve nei posti sbagliati viene invitata a partecipare al concorso “VERA principessa”, in cui a decretare la vincitrice non sarà la sola bellezza, ma anche la bravura e l'ingegno. Questi ultimi a Cenerontola non mancano, ma naturalmente la selezione non sarà priva di fregature, dalla strega Malandrina bizzarramente interessata a sabotare il concorso alla giuria di fate palesemente parziale. Per affrontare le quattro prove che le consentiranno di dimostrarsi superiore a Prunella, Cenerontola potrà contare sul solo aiuto del golosissimo Gatto con gli Stivali -divenuto Gatto senza Stivali dal momento che gli sono stati requisiti- e del cavallo non parlante Vandalo. L'esito della gara? Potrei scrivere Scopritelo da soli!, ma quale favola non termina con un happy ending? Ogni disavventura, affrontata con forza d'animo, permetterà a Cenerontola di mostrare le proprie virtù morali, le quali saranno ricompensate con la sconfitta della futile vanità di tutte le Prunelle del mondo.

Cenerontola, in definitiva, è un breve romanzo piacevole e spiritoso, leggero e divertente, con diverse trovate originali e talvolta spassose e un messaggio di fondo vecchio come il mondo che però è particolarmente adeguato ai mala tempora che corrono.

Lo stile di Nonino, tendente al parlato, risulta azzeccato al tono scanzonato del romanzo, ma purtroppo è penalizzato dall'editing alquanto carente che glissa troppo spesso su una punteggiatura opinabile e talvolta inciampa nell'italiano regionale.

Il volume, che si conclude con tre minisodi dedicati ad altrettanti personaggi secondari, è il risultato di un'idea sorta durante un laboratorio di scrittura creativa per ragazzi, e contiene numerose illustrazioni della disegnatrice Simona Meisser. Il 10% dei ricavi, inoltre, sarà devoluto alla Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus.
Per maggiori informazioni, booktrailer compreso, potete visitare il sito http://www.cenerontola.it/

Giudizio:

n/a

Dettagli del libro

  • Titolo: Cenerontola principessa all'arrembaggio
  • Autore: Davide Nonino
  • Editore: Il Ciliegio Edizioni
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: Bambini e ragazzi
  • ISBN-13: 9788888996769
  • Pagine: 125
  • Formato - Prezzo: Illustrato, brossura - 13,00 €

29 settembre 2011

Il dio del massacro - Yasmina Reza

Fin dalle primissime battute di questa commedia al tempo stesso esilarante e feroce appare chiaro perché Roman Polanski abbia deciso di portarla sullo schermo – e perché attori come Isabelle Huppert, Ralph Fiennes e James Gandolfini abbiano voluto interpretarla a teatro. Poche volte, infatti, un autore è stato capace di squarciare con altrettanto soave crudeltà i veli destinati a ricoprire la costitutiva barbarie della creatura umana. Nel lindo, assennato salotto borghese in cui due coppie di genitori si incontrano per cercare di risolvere, da persone adulte e civili quali essi ritengono di essere, una questione in fondo di poco conto (una lite scoppiata ai giardinetti tra i rispettivi figli), vediamo sgretolarsi a poco a poco le maschere di benevolenza, tolleranza, buona creanza, e di correttezza politica, apertura mentale, dirittura morale; e sotto quelle maschere apparire il ghigno del nume efferato e oscuro che ci governa sin dalla notte dei tempi: il dio del massacro, appunto. Con uno humour corrosivo e una sorta di noncurante cinismo (e senza mai assumere il tono del moralista), in una lingua volutamente media, che sfodera tutto il suo micidiale potere, Yasmina Reza costruisce un brillante psicodramma, porgendo allo spettatore (e al lettore) uno specchio deformante nel quale scoprirà, non senza un acido imbarazzo, qualcosa che lo riguarda molto da vicino.

Recensione

Leggere saggi mattoni sulla civiltà e il suo declino è noioso, anche se il lettore penserà dipenda da mattone a mattone. Lo psicodramma della Reza al contrario non ha niente di noioso, forse qualcosa di caustico, sarcastico, imprevedibile e amaro, ma di noioso nulla. Come bere una soda. O forse una coca cola, la stessa che Véronique Houllié offre ad Annette Reille per aiutarla con i suoi problemi di bile.

Immaginate un salotto, nessun realismo, nessun elemento inutile. Due mazzi di tulipani e una serie di cataloghi d'arte fuori produzione. In questa cornice due coppie affrontano civilmente la lite fra i due figli. L'incontro ha uno scopo educativo, niente scuola, niente tribunale, nessuna interferenza dall'esterno per risolvere, solo il buon senso comune all'occidentale. Ma la consapevolezza di un lento ma inesorabile imbarbarimento si insinua nelle parole di benevolenza, e le scelte linguistiche mostrano la faccia della mediocrità. Quando il rispetto dei valori della collettività è una pelle di serpente vuota, mentre i pensieri strisciano verso il dio del massacro, gli uomini non si rispecchiano se non in loro stessi e il concetto di giustizia e diversità combacia con un colpo di bastone negli incisivi, o con il vomitare, o ancora con il lanciare una borsa per aria e assistere alla proprietaria che la recupera gattonando in preda a una crisi isterica. O ancora più di tutto con il bere. Perché è così che fa la maggior parte di noi, segue strade già battute, immerge i piedi in solchi già scavati, e quando non ce la si fa più si aspetta che la lingua si sbronzi e il cervello si penta. E più si perde il rispetto per l'altro, più perdiamo rispetto per noi stessi allentando i freni e distanziando i limiti. Le due coppie si scoprono pezzi singoli, maschi contro femmine, intellettuali contro economisti, classe media contro classe dirigente, buoni contro cattivi, per arrivare al solitario uomo contro uomo. Alla fine si ride di tutto. Ride chi legge. E Polanski, con il suo Carnage, ha riso più di tutti gli altri.

Giudizio:

+5stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Il dio del massacro
  • Titolo originale: Le dieu du carnage
  • Autore: Yasmina Reza
  • Traduttore: Laura Frausin Guarino - Ena Marchi
  • Editore: Adelphi Edizioni
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: Piccola Biblioteca Adelphi
  • ISBN-13: 9788845926235
  • Pagine: 112 pagine - brossura
  • Formato - Prezzo: 9,00 Euro

28 settembre 2011

La correzione - Stefano Pastor

Può qualcuno essere importante, indispensabile, il fulcro stesso dell'esistenza, anche senza averlo mai visto? È il caso di Renato Ferrante, uno scrittore ricco e famoso, considerato da tutti un tipo elusivo ed egoista, e invece prigioniero della propria solitudine. L'unico contatto umano che gli è rimasto è Eva, l'editor che corregge i suoi libri. Da molti anni sono in contatto costante, tramite chat, senza essersi mai incontrati. Ma un giorno Eva scopre di avere la leucemia fulminante, interrompe ogni rapporto con lui, senza dargli troppe spiegazioni, e si fa ricoverare. Lo scrittore, annientato, piomba a casa della donna, e si trova di fronte alla più inaspettata delle sorprese: gli otto figli di Eva, abbandonati a se stessi e confusi, di cui lui non conosceva neppure l'esistenza. L'ometto, come lo chiamano i ragazzi a causa della scarsa altezza, non vede altra soluzione che fermarsi in quella casa e occuparsi di loro. E questo sarà solo l'inizio di un rapporto speciale, in grado di correggere tutte le loro vite.

Recensione

A leggere la trama di questo romanzo sembra di trovarsi di fronte una storia semplice, triste e forse dolorosa, come tante altre già raccontate: non ci si potrebbe sbagliare di meno, perché "La correzione" riserva al lettore molte più sorprese di quanto si riuscirebbe a immaginare. E a rivelarle qui farei un torto doppio, perché le anticipazioni farebbero crollare per ovvi motivi la suspance e perché non renderebbero giustizia all'efficacia delle scelte e dell'evolversi della vicenda.

Nel leggere questo romanzo, sembra di venire catapultati in un salotto pieno di persone che parlano contemporaneamente, ma con pacatezza tale che si riesce a seguire il filo del comune discorso che le tiene impegnate. Non c'è un unico punto di vista e questa è forse l'unica debolezza del romanzo. D'altra parte, sarebbe stato arduo scegliere un unico portavoce tra tutti: forse Filippo, che si trova a essere suo malgrado l'uomo di casa? O forse Alice, diventata donna/matura nel giro di una notte? Magari proprio Renato Ferrante, misterioso, riservato, la cui vita viene sconvolta non meno di quelle degli otto figli di Eva? Sceglierne uno avrebbe voluto dire escludere gli altri e col senno di poi non sarebbe stato efficace. Altra ipotesi, preferire punti di vista differenti, magari scanditi per capitoli: forse questa sarebbe stata una buona soluzione, rispetto al frullato di voci che impedisce di immedesimarsi con i personaggi per i cambi troppo repentini di visuale. Non prenda paura chi, incuriosito e intenzionato a leggere il romanzo, ora si sentisse meno convinto: nonostante questo difetto, le oltre 350 pagine si leggono d'un fiato, con gran piacere. La storia è agrodolce, di quelle che fanno piangere e ridere allo stesso tempo. Non si trovano scontate digressioni strappalacrime o banali battute per sdrammatizzare: dalla prima all'ultima pagina si ritrova la stessa coerenza, senza cadute o strafalcioni. E se anche qualche dettaglio ha dell'improbabile, ci pensa Pastor a proporcelo in modo tale da farlo sembrare naturale conseguenza dei fatti.

Una grande dolcezza permea la storia: anche le scene che avrebbero dato l'adito a gratuite manifestazioni di disperazione sono narrate con estrema delicatezza e rispetto del dolore, il che non è cosa da poco. Perché purtroppo uno dei protagonisti è la malattia, quella leucemia fulminante che colpisce Eva, madre e vedova con otto figli a carico. E nonostante la tristezza di queste pagine, si scorge comunque la speranza, il sapere di non essere soli, la consolazione che tutto si aggiusterà. Pastor scrive "di generi più disparati", thriller, fantasy, horror: dopo aver letto questa sua prova, riuscitissima, nel dramma sono curiosa di conoscere le altre sue sfaccettature.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: La correzione
  • Autore: Stefano Pastor
  • Editore: Ciesse Edizioni
  • Data di Pubblicazione: 2010
  • Collana: Green
  • ISBN-13: 9788897277033
  • Pagine: 354
  • Formato - Prezzo: Brossura - 20,00 Euro

26 settembre 2011

Dieci piccoli passi - Francesco Pierucci

"Fine. Pura liberazione dello spirito. Non c'è mai stata fine più dolce. Come ambrosia soave nelle vene. Eterna catarsi del peccato originale. Sospiro atarassico di un mattino primaverile. Sono qui e sono ora. Mi faccio cullare incessantemente dal tepore dell'ignoto dimenticando ciò che non ho mai vissuto. In fondo cos'è la vita? Solo grande buio bianco. Chiudo gli occhi e finalmente vedo. Sono ovunque. Tutto è vivo intorno a me. Corro veloce, lontano dalla paura di rimanere ciò che sono. Discepolo delle stelle, viaggio nella mente di chi non è ancora nato. Mi lascio il futuro alle spalle. Sono pronto. La fine è vicina. E ogni fine è sempre un nuovo inizio."

Recensione

Pubblicato da una giovane e coraggiosa casa editrice, Dieci piccoli passi è il titolo di una raccolta di racconti inframezzata da brevi componimenti lirici. Una scelta, questa, piuttosto singolare e, di per sé, interessante. Ed effettivamente ciò complica non poco il lavoro al recensore. Devo confessare che della poesie da un po' di tempo evito di occuparmene, dopo diversi anni di passione e militanza poetica. Ritengo che i nostri tempi permettano forse solo la sopravvivenza della narrativa (o meglio, delle narrazioni), in grado di annidarsi in alcune strette fessure nel palinsesto della mistificazione. Tuttavia cosa sarebbe il mondo se non ci fosse un giovane (classe '89, per essere precisi) che scrive poesie sul non-senso della vita ("In fondo cos'è la vita? Solo grande buio bianco" - dichiara l'autore), raccontando di un "mondo etereo, dove l'anima può rifiatare dagli affanni" e che si chiede se "saremo polvere o figli di Dio?"

Un velo di pessimismo esistenziale ricopre quasi tutti i racconti. Questo, credo, sia il filo che collega i componimenti lirici alle prose. Un'aurea di romanticismo decadente sembra circondare i vari personaggi, caratterizzati da un destino quasi sempre tragicamente segnato, nel quale trionfa il binomio amore-morte. Questa nota tragica dà vita a narrazioni a volte riuscite (ho trovato ben orchestrato il racconto Ius eligendi sepulchrum). Non manca qualche stonatura (a mio parere, ovviamente) come nel racconto Diverso, narrato in prima persona da un diversamente abile, il quale, per qualche motivo, ignoto al lettore, appare dotato di una invidiabile dote: la proprietà di un perfetto italiano letterario (non oso negare che ciò sia possibile, ma l'autore potrebbe almeno spiegarci come e perché ciò sia successo). Tuttavia alla parte del severo censore preferisco quella del benevolo recensore. L'autore, giovane partenopeo, dimostra senza dubbio di possedere un buon controllo della lingua. Sarà lui stesso, in futuro, a scegliere come spendere il proprio talento.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Dieci piccoli passi
  • Autore: Francesco Pierucci
  • Editore: Edizioni La Gru
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: Catarsi
  • ISBN-13: 9788897092094
  • Pagine: 99
  • Formato - Prezzo: Brossura - 14.00 Euro

25 settembre 2011

Idoli - Dennis Cooper

Protagonista di questo romanzo è Dennis, un romanziere ossessionato dalle proprie fantasie e dall'impossibilità di realizzarle. Cercando di recuperare il senso di onnipotenza provato in gioventù durante un viaggio acido, Dennis si affida all'LSD per riuscire a scrivere un romanzo che narri della sua vita e, al contempo, distingua ciò che è reale da ciò che è illusorio. E così si dipana la vita caotica del protagonista, diviso tra la sua relazione morbosa con Chris, un tossicodipendente le cui fantasie sessuali sono omicidi e mutilazioni, e l'amore platonico per Luke, nella cui innocenza si annida una speranza di salvezza.

Recensione

Quarto episodio del Ciclo di George Miles, è probabilmente il più autobiografico dei romanzi di Cooper, fosse solo per il protagonista narrante che dell'autore porta nome e cognome. Con rimandi agli altri romanzi della serie, a cominciare dal primo, si propone come uno dei più caratteristici di Dennis Cooper, ricco di ambivalenti immagini e temi forti: orrore ed innocenza, violenza e tenerezza, con un sottofondo animato fatto di trip psichedelici, pedopornografia, grunge e new wawe, messi lì come il brusio di una tv sfasata in lontananza.

E' un romanzo intimo, stritolato in spazi chiusi, che suscita nel lettore un senso di soffocamento senza via d'uscita. E' la storia di un uomo, Dennis Cooper, un uomo che si dice malato, che si dice diverso, i cui sentimenti si compongono in parti uguali di purezza e orrore: davvero, nei sogni di estrema violenza di Cooper c'è qualcosa di puro e di santo. E lo stesso stupro del mal celato cantante dei Blur, tirato in causa senza tanti problemi dall'autore, appare un solenne rito sacrificale.

Che non si pensi, però, al puro piacere della trasgressione: se è vero che Cooper ama fare luce sugli abissi dell'animo umano, la vera trasgressione è quella di un linguaggio violato e violentato. E oggi, non c'è più nulla di trasgressivo del trasformare l'orrore in pura poesia.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Idoli
  • Titolo originale: Guide
  • Autore: Dennis Cooper
  • Traduttore: M. Pensante
  • Editore: Tropea
  • Data di Pubblicazione: 1998
  • Collana: I mirti
  • ISBN-13: 9788843801404
  • Pagine: 208
  • Formato - Prezzo: Brossura - 10,33 Euro

24 settembre 2011

L'ultima brigantessa. La vera storia di «Ciccilla» - Rocco Giuseppe Greco

Vigilia di Natale del 1863. La brigantessa Maria Oliverio, detta Ciccilla, nell’immobile buio di un misero capanno, dove ha trovato riparo insieme al marito, il capobrigante Pietro Monaco, Brutta Cera, si lascia assalire dai ricordi che la scuotono e la tengono desta.
Quando il marito è ucciso da tre dei suoi gregari più fidati, Maria non si arrende e assume il comando della banda. Catturata nel febbraio del 1864, è processata e condannata a morte “mediante fucilazione nella schiena”. E’ l’unica brigantessa italiana alla quale è data una tale pena, che però è subito commutata dal Re nei lavori forzati a vita. Rinchiusa nella celebre Fortezza di Fenestrelle, si spegne quindici anni dopo.
La storia, tutta vera, fa cogliere il senso di quell'evento complesso e straordinario quale fu il brigantaggio meridionale e disvela scenari che concordano nell’imputare al processo di unificazione politica dell’Italia e alle sue modalità la nascita di una “nazione forzata”.

Recensione

Maria Oliveiro incontra Pietro Monaco per la prima volta a 9 anni e questo incontro determinerà tutto il suo futuro. Da quel giorno porterà con sé l' immagine di un ragazzo gentile e premuroso che si è preso cura di lei finché, non molti anni dopo, lo sposerà abbandonandosi ad un amore esclusivo e travolgente che la condurrà a scelte ed azioni estremamente pericolose.

La narrazione, affidata alla voce di Maria stessa, è tripartita: in un primo lungo capitolo la brigantessa ricostruisce la sua storia con Pietro, i motivi per cui l'uomo decide di darsi al brigantaggio e quelli che spingeranno lei a seguirlo dopo una iniziale titubanza. Nei successivi due capitoli è la donna, ormai vedova, la protagonista assoluta della storia: è lei che si incarica di dirigere la banda fino al momento in cui non viene arrestata.

La figura che l'autore di questo romanzo ci consegna di Maria è quella di una donna determinata, energica, intraprendente, animata da quella profonda vitalità contadina che è attaccamento alla propria origine e passione viscerale per la vita. Tuttavia, accanto a lei, gli altri personaggi sembrano sbiaditi, quasi un contorno indispensabile ma al quale non si è voluta prestare l'attenzione necessaria per farli "vivere". Persino il marito, il famigerato brigante "Brutta Cera", per quanto idolatrato da Maria, non si rivela il corrispettivo della donna ma risente della sua ombra e non riesce ad emergere dalla carta. Ciò che ne risente di più sono i dialoghi che non appaiono spontanei ma innaturali e artefatti perché pronunciati da personaggi non da persone. Questo è particolarmente evidente nei ragionamenti dei contadini: probabilmente l'autore si è sforzato di ricreare un modo semplice di sentire, di esprimersi e di analizzare gli eventi, ma "tradotti" in lingua italiana questi discorsi sembrano fin troppo ingenui, come proferiti da bambini.

Il romanzo risulta invece molto più convincente ed emozionante quando si tratta di descrivere i mutamenti dell'animo della protagonista: donna fiera e coraggiosa, Maria però non perde mai la sua sensibilità femminile e, in certi punti, si ha davvero l'impressione che sia la donna a parlare.

Per quanto breve, ho trovato poi particolarmente interessante l'ultimo capitolo non solo per la delicatezza del linguaggio nel mostrarci la profonda metamorfosi della brigantessa ormai reclusa ma anche perché punta l'attenzione su un argomento ancora poco discusso, su un capitolo di storia sul quale si preferisce chiudere gli occhi: il "campo di concentramento" di Fenestrelle.

A pronunciarlo, il nome pare quello di una gentile fanciulla o di un fiore di campo o, al massimo di un innocuo insetto e, invece, Fenestrelle è un essere orrendo assetato di vittime: più prigionieri vi portiamo più ne accoglie e divora.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: L'ultima brigantessa
  • Autore: Rocco Giuseppe Greco
  • Editore: Marco Valerio
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: I faggi
  • ISBN-13: 9788875473105
  • Pagine: 146
  • Formato - Prezzo: Brossura - 14,00 Euro

23 settembre 2011

I vampiri dell'11 settembre - Clanash Farjeon

Alcune settimane dopo l’orrore dell’11 settembre Michael Davenport, un giornalista inglese che lavora per la rivista Enigma, fa ritorno in America per la prima volta dopo aver rischiato di perdere la vita per seguire un’oscura pista che lo ha portato a trovarsi nel bel mezzo della guerra della droga a Ciudad Juarez, la cittadina messicana di confine con il più alto tasso mondiale di sparizioni e misteriosi decessi. Il suo capo lo ha incaricato di condurre accertamenti su un articolo pubblicato sul Al Jazeera, e Michael si ritrova ben presto ossessionato dalla storia di due operai che hanno lavorato al salvataggio dopo il disastro delle Twin Towers e che sostengono di aver assistito a una sconcertante apparizione scaturire dalla macerie di Ground Zero ventisei giorni dopo il crollo. Si è trattato probabilmente di un’allucinazione, del miraggio di due menti sovraffaticate, nulla più di una spirale di fumo o di uno scherzo di cattivo gusto. Tuttavia, anche se estremamente improbabile, sussiste la tenue possibilità che possa trattarsi di qualcosa – o di qualcuno – che davvero a che fare con il soprannaturale… Più Michael investiga, più le apparizioni si intensificano diventando via via più bizzarre e incredibili. Il percorso dell’indagine vedrà infine Michael approdare alla Casa Bianca, dove incontrerà ancora una volta Laura Bush e, forse, contribuirà a cambiare il corso della Storia…

Recensione

Horror di denuncia, horror complottista, horror satirico, I vampiri dell'11 settembre sposa l'idea che la realtà superi molto spesso la fantasia in fatto di orrori e mostruosità.

Cosa c'è infatti di più disgustoso di una classe politica disposta a qualunque nefandezza pur di ingigantire il proprio già spropositato potere e la propria ricchezza? E' questa l'idea che Clanash Farjeon si è fatto dell'intero entourage del presidente americano Bush all'epoca dei fatti dell' 11 settembre 2001 e in quest'ottica il paragone con dei vampiri assetati di sangue appare decisamente calzante. A parte una certa predilezione per il rosso liquido, emblematicamente rappresentata in alcune sequenze degne dell' "Oscar per il miglior splatter", i vampiri in questo romanzo hanno poco in comune con i tradizionali zannuti della letteratura, trattandosi più che altro di metafore, poco corporee nelle loro apparizioni ma devastanti quando si riflette sulle ripercussioni delle loro azioni.

Il romanzo prende il via proprio da una di queste apparizioni: due volontari dell'11 settembre affermano di aver visto tra le polveri di Ground Zero il vice-presidente Cheney nelle insolite vesti di vampiro. Poco credito viene dato a queste affermazioni, almeno finchè esse non giungono all'orecchio del giornalista inglese Michael Davenport, già protagonista del precedente romanzo di Farjeon I vampiri di Ciudad Juarez. Recatosi negli Stati Uniti per indagare sul fenomeno, Michael si trova immediatamente invischiato in una escalation di apparizioni misteriose e inquietanti, omicidi mascherati da suicidi ed un'intricata rete di complotti che porta direttamente alla Casa Bianca.

L'autore in questo romanzo non risparmia nessuno: l'intera amministrazione Bush viene descritta come un manipolo di amorali assassini interessati esclusivamente a conservar il proprio potere, si "salva" (se così si può dire), il solo presidente a cui viene assegnata la parte dell'alcolizzato beota che già magistralmente "recitava" in Fahrenheit 9/11 di Michael Moore. In questo senso possiamo definire I vampiri dell'11 settembre come un ottimo horror satirico ma uno scarso libro di denuncia. Se infatti il coraggio dell'autore nel mettere per iscritto una critica così feroce della classe dirigente americana (pare fra l'altro che il libro stia incontrando delle difficoltà ad essere pubblicato negli Stati Uniti) sia degno di ammirazione, non possiamo non osservare che egli sposa le teorie complottiste legate all'11 settembre con il fervore del fanatico senza fornire particolari considerazioni oggettive che possano spingere a riflettere chi a queste teorie non ha mai creduto. A parte ricoprire i vari Cheney, Kissinger e Rice dei più fantasiosi insulti che la mente umana sia stata in grado di concepire, l'analisi di Farjeon non si spinge molto oltre e si trasforma ben presto in un'infuocata invettiva.

Se scegliamo di considerare esclusivamente l'aspetto satirico di questo romanzo, allora I vampiri dell'11 settembre merita il massimo dei voti. Se,invece, vogliamo valutare il romanzo nel suo complesso non possiamo non osservare alcune grosse falle nello stile e nella trama. L'autore ha infatti una pericolosa tendenza alla digressione e sembra soffrire dello stesso "complesso dell'anagrafe" che affligge Fazio nei romanzi del commissario Montalbano (curioso, a questo proposito come uno dei personaggi principali venga deriso nel corso del romanzo proprio per questo difetto).In questo modo la narrazione viene frequentemente interrotta per ripercorrere (spesso senza alcun motivo) le peripezie attraversate da Michael nel precedente romanzo, oppure per fornirci una dettagliata (ma al tempo stesso condensata in poche righe) descrizione della carriere politica di questo o quell'altro personaggio. Il risultato è una narrazione frammentaria in cui l'autore non raggiunge nemmeno lo scopo di ampliare le conoscenze del lettore, proprio perché tenta di raccontare nel breve spazio fra due virgole eventi della durata di decenni.

Sembra esserci un'urgenza nel raccontare tale per cui la trama si evolve, soprattutto nella prima parte del racconto tramite coincidenze un po' forzate e pretestuose, così come forzate appaiono alcune conversazioni. Se in alcuni casi è evidente che gli scambi di battute volutamente sfiorano in nonsense, in altri il filo logico della conversazione si perde nella volontà di esprimere il più alto numero di informazioni nella stessa frase. Anche il vocabolario usato, non saprei dire se per un difetto di traduzione o perché così nell'originale, appare poco naturale, forzato, sulla scia di quello usato in certi film d'azione.

Ammetto infine di aver sviluppato una certa insofferenza verso il protagonista, uno di quei personaggi che sembrano passivamente subire l'evolversi degli eventi senza mai veramente rendersi conto di quel che accade; anche per questo motivo, credo, non sono riuscita ad appassionarmi veramente al romanzo che, bisogna dirlo, non manca di spunti interessanti e momenti di grande comicità fortemente penalizzati dal scarsa coesione della narrazione.

Per concludere, una curiosità: Clanash Farjeon è lo pseudonimo dietro cui si cela Alan John Scarfe, attore britannico visto, fra gli altri in Star Trek: Voyager e Star Trek:  The Next Generation.

Giudizio:

+2stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: I vampiri dell'11 settembre
  • Titolo originale: The vampires of 9/11
  • Autore: Clanash Farjeon
  • Traduttore: Stefania Sapuppo
  • Editore: Gargoyle Books
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • ISBN-13: 9788889541555
  • Pagine: 320
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 14,90

22 settembre 2011

Quando anche il sole muore - Claudio Gianini

Intrappolato in una vita che non ha più suoni nè identità: un incidente sul lavoro gli ha portato via l'udito e la memoria, costringendolo a uscire dal giro.
Da allora per Pietro Ferri, ex poliziotto, le giornate scorrono in un'anonima routine, scandita soltanto dal sesso clandestino con Roberta e da incubi: incubi atroci ricorrenti, di cui lui stesso è truce protagonista.
Fin quando il 'killer della Ghisolfa', colui che era stato causa del suo incidente, riappare sulla scena con una serie di delitti che sembrano voler rappresentare un chiaro richiamo a Pietro, un invito a rimettersi in gioco, a riprendersi la sua vecchia identità.
E basta poco perché la porta dei ricordi si spalanchi prepotentemente, riportando a galla verità che forse sarebbe stato meglio continuare a ignorare... Poiché alle volte la certezza del niente è meglio di una possibile gioia. Un thriller intenso, in cui il vero mostro da stanare è quello che giace in fondo a noi stessi.

Recensione

Quando il sole muore è però un poliziesco atipico, per quanto il protagonista sia proprio un ex poliziotto, dal momento che alla trama thriller non è lasciato poi molto spazio.

Pietro Ferri è l'agente di polizia rimasto invalido durante la caccia al serial killer della Ghisolfa, l'autore di efferati omicidi che hanno sconvolto Milano. Ha perso l'udito e anche la memoria e della sua personalità è rimasto solo un guscio svuotato della voglia di vivere.
D'improvviso, sono ormai trascorsi cinque anni, una serie di assassini dalle caratteristiche brutali riprende a terrorizzare Milano e Pietro Ferri è coinvolto in prima persona, non solo perché si tratta del killer della Ghisolfa ma anche perché le vittime sembrano seguire i suoi passi come una scia di sangue.

La trama sembrerebbe buona ma sconta una serie di difetti soprattutto - a mio parere - di natura stilistica.
La tonalità descrittiva prende troppo spesso il sopravvento sulla narrazione, rendendo il plot giallo quasi superfluo: prosegue costante un'aggettivazione eccessiva che a volte appesantisce la lettura e ha quasi il sapore dell'ingenuità, soprattutto quando i personaggi si dilungano a descrivere stati d'animo e situazioni emotive.
Sembra quasi che l'investigazione sia un contorno casuale delle vicissitudini mentali dei protagonisti. Che per un poliziesco significa rendere la trama piuttosto debole.

La concentrazione sulla vita interiore del protagonista narrante è eccessiva e a volte esasperante, tanto da rendere nebuloso tutto il resto, dall'ambientazione milanese alla caratterizzazione degli altri personaggi. L'uso della prima persona rende poco spontanea anche l'analisi introspettiva di Pietro Ferri. Che rimane un personaggio nebuloso, e non solo per l'amnesia: forse troppe 'sfighe' concentrate nella stessa persona e in tutti coloro che la circondano da vicino rendono l'approfondimento psicologico poco incisivo - oltre a risultare poco credibili e quasi ironiche.

Ed è un peccato perché la trama avrebbe anche degli sviluppi interessanti, se non fosse troppo incentrata sull'urgenza di rendere sempre immediatamente palese quello che i personaggi pensano o provano e si rivolgesse di più all'azione.

Giudizio:

+2stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Quando anche il sole muore
  • Autore: Claudio Gianini
  • Editore: Lab
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: Narrativa
  • ISBN-13: 9788863162257
  • Pagine: 246
  • Formato - Prezzo: Paperback - Euro 15,00

21 settembre 2011

Primavera in Borgogna - Luca Terenzoni

Francesco è un quarantenne che si è appena lasciato, a un passo dalle nozze. Una mattina di primavera, mentre passeggiando a San Gimignano cerca di riafferrare il senso della sua vita, incontra un signore francese con il quale entra subito in sintonia e che gli propone di lavorare per lui, presso la sua azienda vinicola in Borgogna. Quella per la Francia è una passione che Francesco ha sempre coltivato. Si trova quindi di fronte alla possibilità di realizzare veramente il sogno di una vita. Così lascia il suo lavoro e si trasferisce pieno di entusiasmo. Le sue aspettative sono subito appagate: il posto è splendido, la collega Ludivine affascinante, il lavoro interessante. Fino a quando, oltre i colori pastello di quel paesaggio così tipicamente francese, non cominceranno a emergere i segni di un passato inquietante che riguarda sia il suo datore di lavoro, sia la bella Ludivine, della quale si sta ormai innamorando. Una prova decisiva per Francesco che, in un crescendo di colpi di scena, riuscirà a portare luce nel passato della donna e nel suo presente.

Recensione

La trama in quarta di copertina sembra interessante: lo spunto è il classico "relazione finita - nuova vita - nuovo amore", con un pizzico di giallo a rendere le cose più intriganti. A uno sguardo più ravvicinato, ci si ritrova però a fare i conti con un'ingenuità surreale e disarmante.

Francesco un bel giorno decide di andare a San Gimignano a meditare sulla propria vita e in particolare sulla delusione d'amore che si sta ancora lasciando alle spalle; qui entra in una rivendita di vini, dove per caso attacca bottone con un cliente. Si scopre che questi gestisce una vigna, un domain, in Borgogna (qui mi sorge un dubbio: possibile che un enocultore faccia acquisti in una rivendita piuttosto che in una cantina?): Francesco attacca subito bottone e viene pure invitato a pranzo. E, ciliegina sulla torta, monsieur Robin ha bisogno di una persona che ricopra una certa posizione nella gestione del suo domain e Francesco è decisamente l'ideale - dopo un pranzo e quattro chiacchiere in allegria, senza la minima ombra di referenze.

Il palco traballa, ma proseguiamo: dopo aver detto addio all'amore e proclamandosi paladino dei single, il primo giorno di lavoro Francesco si scopre immediatamente attratto dalla collega, che tra l'altro sembra essere anche l'unica altra impiegata in un'azienda di tutto rispetto. Le stesse coincidenze a tavolino si ritrovano lungo tutto l'evolversi della trama, con soluzioni ancora una volta spiazzanti come l'amico poliziotto e il ricovero in clinica "volontario" ma "non può ricevere visite".

A livello di invenzione, tutto sommato, si sarebbe potuto fare un po' meglio, ma non è questo il difetto maggiore. Uno dei capolavori della letteratura nostrana narra di un matrimonio ostacolato da un signorotto di provincia - per forza c'è dell'altro, in un buon romanzo.

La lingua, per esempio: che da un italiano doc mi aspetto sia eccellente. Al di là dei refusi di ordinaria amministrazione, si trovano anacoluti, virgole messe un po' a caso, estrema povertà lessicale (disse-chiese-rispose), una profusione di punti esclamativi a chiudere praticamente ogni discorso diretto.

Ultimo ma non ultimo, lo stile: esiste una differenza abissale tra il "raccontare" e il "narrare", tra il "dire" e il "mostrare". Una descrizione di quello che un personaggio fa, pensa o dice non basta a rendere avvincente una storia; discorsi indiretti e lunghe riflessioni interrotti saltuariamente da dialoghi miseri e ben lontani da quello che sarebbero nel mondo reale non aiutano la scorrevolezza della lettura.

Francesco, nonostante tutto lo spazio che l'autore gli dedica, nonostante il suo vissuto di dolore, non trova la consistenza che merita, rimanendo fredda marionetta che risponde meccanicamente all'evolversi della vicenda. Robin potrebbe far da contrappeso come antagonista, ma anche lui resta caratterizzato a livello epidermico. Così anche Ludivine e madame Robin, algida e scostante la prima, personaggio allo stadio larvale la seconda.

Questa prima prova di Luca Terenzoni si rivela fin da subito acerba in ogni suo aspetto, mostrando grandi debolezze e nessun punto di forza: oltre a quanto già scritto, aggiungo che la storia d'amore è tutt'altro che coinvolgente, che il risvolto giallo non trova lo spazio che merita, venendo risolto fin troppo sbrigativamente, che di Francia, Borgogna e vino l'autore dà solo una pallida immagine che sbiadisce giusto nel tempo di voltare l'ultima pagina.

Giudizio:

+1stella+

Dettagli del libro

  • Titolo: Primavera in Borgogna
  • Autore: Luca Terenzoni
  • Editore: Albatros
  • Data di Pubblicazione: 2010
  • Collana: Nuove voci
  • ISBN-13: 9788856721942
  • Pagine: 155
  • Formato - Prezzo: brossura - 14,50 euro

20 settembre 2011

Intervista a Fabrizio Corselli, autore di "Drak'Kast. Storie di draghi"

L'autore

Fabrizio Corselli è uno scrittore di poesia epico-mitologica e un saggista italiano. Nato a Palermo nel 1973, vive e lavora come educatore a Settimo Milanese. Proprio nell’ambito didattico cura il progetto Calypsos, volto all’intensificazione del linguaggio nel disabile attraverso la poesia. È redattore della rivista nazionale InArte, dove si occupa della rubrica Mythos. Diverse le pubblicazioni su riviste e cataloghi del settore: ha collaborato con il Salone Internazionale di Parigi, con il Museo Beleyevo di Mosca e con Mediabrera (Milano); è stato segnalato sul sito della Treccani per la positiva riscrittura dei classici greci in relazione all’epica sportiva antica e collabora con l’associazione internazionale di cultura ellenica Mondogreco, per la quale ha recensito la celebre mostra La Forza del Bello di Mantova e quella sul Canova presso il Palazzo Reale di Milano.
Il suo sito.



Il libro

Quello di Drak'kast è un mondo rischioso, selvaggio, dominato da profondi e oscuri misteri che aspettano solo di essere riportati alla luce. Un mondo in cui ognuno è costretto a sfidare la stirpe dei draghi e la sua egemonia, aprendosi un varco nel fuoco con il crudele acciaio nel pugno o andando incontro alla morte. In questa era, meglio conosciuta come Primordium Draconis, esiste però anche chi ha scelto di non combattere i draghi: gli Hadragnir, incantatori disposti a sposare la loro causa per preservare l'equilibrio tra le razze. È qui che entra in gioco il personaggio di Elkodyas, il leggendario drago mutato in un elfo cantore, unico eroe tanto audace da sfidare le insidie e i pericoli celati nella Foresta di Smeraldo alla scoperta di quei segreti che per troppo tempo sono rimasti confinati in essa. Avventura, melodia e incanto. Drak'kast è tutto questo. Da tempo niente era più così epico.

L'intervista



1. Ciao, Fabrizio, e grazie di essere qui con noi. Prima di arrivare a Drak'Kast volevo affrontare un discorso più ampio, che tocca tutti noi appassionati: il fantasy. Come lo concepisci, che opinione hai del modo in cui si è trasformato nell'ultimo decennio, quali sono a tuo parere i romanzi da cui nessun autore o lettore può prescindere.

Prima di tutto, mi ripeterò nuovamente, come ho già fatto in un'altra intervista, riguardo al fantasy, ma rende meglio la mia idea del genere: “È un retaggio infantile quello di voler raccontare storie fantastiche, fatte di draghi e cavalieri, che però nel tempo è cresciuto e si è sviluppato lambendo i confini della mitopoiesi. Il fantastico è immancabilmente legato a una esigenza della mente umana altresì a una sua capacità che spesso viene messa da parte o quasi dimenticata (a discapito del discutibile “vissuto”), anche dagli scrittori più autorevoli, ossia l’Immaginazione. Il potere dell’immaginare è infinito, un potere tale da costruire nuovi mondi, da controllare il tempo e metamorfosare la propria esistenza in una proiezione di se stessi, in un alter ego che vive all’interno d’una realtà testuale. Il libro come dimensione parallela.”. “La capacità di saper tessere trame, di intelligere secondo schemi fuori della logica formale, di approfondire personaggi all’interno di un sistema narrativo, di operare crossover fra tipologie diverse di personaggi e mondi. Il fantasy non è solo letteratura d’evasione ma un nuovo modo di interpretare la realtà, seppur in un sistema traslato, trasfigurato come lo è l’atto che è sotteso all’attività artistica”.
Il fantasy è necessario, anche come intrattenimento, la mente non è fatta per assorbire della realtà, nuda e cruda, tutto quanto, ha bisogno di staccare, di evadere, di trovare il proprio luogo di quiete, il proprio choros apemon, un “luogo sicuro” dove le leggi del reale non esistono più e il peso della società si affievolisce fino a divenire un dimentico ricordo.
Per ciò che riguarda il suo sviluppo, ha avuto i suoi alti e bassi, momenti apicali e vertiginose discese a causa di un'esterofilia sempre più imperante, tuttora presente, e di un esagerato marketing nei confronti dei cosiddetti "bambini prodigio" che nel tempo ha dequalificato pienamente il prodotto letterario fantasy. Adesso, invece sto assistendo a un fervore straordinario, tantissimi autori italiani di fantasy, e anche di buona qualità. Forse, le case editrici stanno iniziando a essere più responsabili e attente ai propri prodotti in fase di selezione.
Gli autori dai quali non si può prescindere, di sicuro, Tolkien, Howard, ed Ende. Annovero inoltre George R. R. Martin, Le Guin e Gemmell. Ve ne sono comunque tanti altri.


2. L'esterofilia, credo, è in parte d'obbligo dal momento che nella letteratura italiana (al contrario di quella statunitense, tedesca, inglese e persino francese) manca una tradizione di letteratura fantastica. Mentre altrove per buona parte dell'Ottocento hanno imperversato i romanzi imperniati sul sovrannaturale, il nostro massimo dello strappo alla realtà è stato Pinocchio. Credi che potrebbe essere questo uno dei motivi per cui il lettore è portato a reputare lo scrittore di fantasy italiano un 'imitatore' dei più solidi autori stranieri, cosa che spesso spinge l'esordiente ad assumere uno pseudonimo? E che lo stesso motivo abbia forgiato l'idea purtroppo comune che il fantasy sia un genere adatto solo ai ragazzi?

E' vero che non abbiamo una tradizione come quella estera, ma abbiamo un bacino di elementi fantasy straordinari, che affiorano nel mito e nelle tradizioni popolari. Di ciò non abbiamo fatto uso nel tempo, forse per stessa sfiducia o disinteresse dell'autore. Il problema è che l'esterofilia persiste ancora, e non come altro verso cui guardare, ma quasi esso stesso ne divenisse un elemento discriminatorio in termini di qualità; e qui, il fatto che alcuni autori italiani sono costretti a firmare il libro con uno pseudonimo. Fino all'altro giorno ho visto su un forum scrivere "se è italiano non lo compro"; discorso a priori. Il problema non è tanto dell'imitatore, quanto dell'irresponsabilità dello "scrittore" nel diretto momento genetico. L'Italia ha insegnato che, oramai, tutti ci possono provare; ci credo che poi, anche per pochezza intellettuale, quello mediocre, più di copiare altro non sappia fare. Il fantasy prima era relegato nei recessi della classe Z, poi per rilanciarlo è rimasto questo alone di "letteratura per ragazzi", ma ciò ha anche una sua spiegazione perversa. Il fantasy è un genere legato all'immaginazione e come tale, secondo molti, ha pochi appigli con la realtà, non rientrando in quei libri che invero parlano di amore, ideali e concetti più alti, ben saldi all'esperienza e alla vita odierna; come se il fantasy non lo fosse, solo che impiega maggiormente la fase di trasfigurazione artistica, e perciò dando l'illusione di un suo distacco da ciò che ci circonda. Secondo me, questa è anche una condotta irresponsabile che il marketing ha portato avanti nel tempo. Con molti poeti ho ancora problemi a relazionarmi, convinti che il fantasy non sia nemmeno paragonabile alla poesia dell'amore, della natura, del vissuto. Ecco una brutta parola "vissuto", sotto la quale sono stati commessi i peggiori "crimini" letterari.


3. Dal momento che hai parlato di poesia, ho idea che anche quella non stia vivendo un momento esattamente felice, anzi: se almeno il fantasy viene arginato e prodotto pensando a un pubblico ben definito (quello degli appassionati, spesso di giovane età e comunemente visti non come lettori ma come nerd interessati solo ai contenuti fantastici e non alla loro resa formale), per la poesia, come ho scritto anche nella recensione, non c'è mercato perché tutti ne scrivono e pochissimi ne leggono. Che riscontro ha ottenuto presso il pubblico questa tua scelta non canonica rispetto al panorama fantasy odierno, scelta che peraltro richiede maggior impegno da parte del lettore perché la poesia è meno accessibile della prosa?

Per ciò che riguarda la Poesia, di sicuro il problema è duplice. Uno, perché in Italia la Poesia non tira a livello editoriale, anche se la si pubblica, e abbiamo comunque ottimi autori. Soprattutto non abbiamo un lettore allenato e consapevole. Tendenzialmente in Italia va la narrativa, e la gente poi non ha il tempo per testi che presuppongono riflessione. La Poesia ha bisogno del suo tempo, deve essere sorseggiata poco a poco, gustata come lo si fa col vino. Il lettore di Poesia è un intenditore. Nel gustarla ne riscopre la fragranza, il retrogusto, il colore, ogni sua profonda caratteristica.
Secondo problema, forse il più grave, è la dequalificazione del prodotto letterario stesso operata da un eccesso di autori. In Italia siamo tutti poeti: assistiamo continuamente al bombardamento di rigurgiti versificatori che hanno il sapore di preghiere della sera o vere e proprie tautologie. Non che per la narrativa sia diverso, ma approcciarsi a un testo poetico, per questi signori, è più "facile", secondo la loro teoria bastano poche parole, una metafora, quasi sempre insulsa e banale, e uno stralcio di sentenza moralistica. Un romanzo richiede un dispendio maggiore e più testo, che poi sia coerente e ben scritto, questo è l'ultimo dei loro pensieri. Anche perché la maggior parte dei "poeti" ancora vola sulle ali della troppa libertà compositiva, laddove la tecnica viene sacrificata in nome della genuinità ispirativa, peraltro falsa. L'ispirazione sì è istintiva e naturale, ma nel momento in cui la si deve mettere in versi si cade immancabilmente sotto le leggi imperanti della forma. Come dico sempre, se dovessimo applicare questa teoria così libertina, allora il testo dovrebbe rimanere inespresso. Si diffidi di chi nega l'uso della tecnica a sostegno della presunta naturalezza compositiva; è vero che non è tutto ma serve. Come detto prima la Poesia è un testo nel testo, e fa uso della sua grande capacità di concentrazione testuale, ossia riesce a dire molto di più in poche parole rispetto a un testo prosastico. Questo perché la poesia è intelligibile, trascende la forma e si apre a una nuova dimensione polisemica fatta di molti significati. Il testo poetico è metamorfico ma non transitabile, cambia sembianze di volta in volta ma non è concesso soffermarsi sulle singole parole, cogliendo il nucleo significativo nella sua totalità.
Drak'kast ha avuto un buon riscontro, non solo a livello recensorio ma anche da parte dei lettori, molto attenti alla nuova forma poetica. Soprattutto perché ho deciso di edulcorare l'approccio stilistico, rendendolo più semplice ma mantenendone forte e profondo il senso epico (nel senso proprio di "narrazione" e di "solennità linguistica").


4. Per quanto riguarda Drak'Kast, sono venuti prima i contenuti oppure l'idea è nata già in forma di poema?

Per ciò che riguarda l'ambientazione che fa da sfondo al Drak'kast, già esisteva: il suo nome è Dragonbound. Un'ambientazione creata inizialmente per il gioco di ruolo, di cui sono un grande appassionato ed esperto, ed esattamente nel 2004. In seguito, ho espanso oltremodo la sua parte geografica, usi e costumi delle razze, e così via. Per ciò che riguarda invece il poema in sé, è nato tutto direttamente in versi. Diciamo che la particolarità sta nella sua genesi. Prendendo spunto dal progetto Calypsos, di cui sono il curatore in ambito educativo, e che ha come finalità quella dell'intensificazione del linguaggio del disabile attraverso la poesia e la narrazione orale, ho pensato di creare un percorso ideativo-immaginativo specifico. Come? Mettendo in sequenza dodici-quattordici tavole del mio illustratore preferito, Ciruelo Cabral, in modo da creare un preciso percorso tematico. Ecco com'è nata la struttura diegetica del poema.


5. Drak'Kast è il frammento autoconclusivo di un universo molto più ampio. Puoi parlarci del mondo che hai creato? Quali altre opere vi hai già ambientato, o hai in mente di ambientarvi?

Quello di Dragonbound è un mondo nato nel tentativo di avvicinare due razze che adoro, di farle convivere insieme: gli elfi e i draghi. Un mondo che, dopo tante guerre e dissidi, finalmente giunge a un suo coerente epilogo, almeno così era negli intenti dei suoi araldi. Un mondo comunque selvaggio, primitivo e nello stesso tempo affascinante, misterioso, denso di celati segreti che aspettano solo di essere riportati alla luce. Dragonbound è stato creato principalmente partendo dalle sue premesse generali ed esattamente dai pilastri concettuali: la relazione fra le razze dopo la guerra del Dyamar, il Concilio dei Draghi in vista di una loro futura pacificazione, l'uniformazione del linguaggio quale patto per suggellare questa nuova alleanza, in sostanza tutte le dirette conseguenze che scaturiscono da un siffatto evento. E ancora la magia unificata, la compatibilità delle tradizioni elfiche con quelle draconiche, le nuove razze; un esempio sono gli adrar, gli elfi-drago, le classi, per usare un termine rpgistico, le pietre Dracoban e le Aurokos, Le Pietre Guardiane, sulle quali si basa la nuova tecnologia dei draghi, e tantissimo materiale sviluppato.
All'interno di questo mondo già completo in se stesso, si è mosso Drak'kast, il quale sì è un frammento autoconclusivo ma fa oltremodo parte di una saga: il Drakkamal, la Saga dei Draghi eterni. Ogni libro approfondisce un drago in particolare.
Inoltre, sul sito ufficiale è possibile scaricare gratuitamente Dragon Tales: un progetto letterario che prevede una sorta di Atlante in continua espansione, aggiornato ciclicamente con nuove razze, città, luoghi che fanno parte del Dragonbound, oltre a contenerne già tutti i tratti essenziali (per esempio la trattazione generale degli hadragnir, o i profili dei singoli draghi che caratterizzano questa era). In questa maniera, il lettore può scoprire poco a poco i suoi misteri.
Per adesso vi ho solo ambientato avventure di gioco di ruolo per il sistema di Advanced Dungeons&Dragons 2a. Edizione. In futuro, quale elemento della Saga, vi sto ambientando il secondo libro.


6. Nessun progetto in prosa da ambientare nello stesso universo di Drak'Kast, come la cornice che ha per protagonista il ranger Nuam?

No, purtroppo no. E dico "purtroppo" perché molti mi hanno chiesto di scrivere un romanzo o comunque narrativa. Perché non lo faccio? Semplice. Non so scriverlo. Lo ammetto. Sono stato considerato un ottimo descrizionista, che va bene in narrazione orale per il gioco di ruolo, ma non per un'opera letteraria. Il mio strumento artistico è il verso.
Essendo però le mie opere tematiche, è facile che usi prologhi o antefatti in prosa che precedono i versi.


7. Elkodyas, l'eroe cui è dedicato il componimento ascoltato da Nuam, è un drago metamorfosato in elfo cantore. Da cosa deriva questa scelta originale? Il personaggio può essere ricollegato al mito di Orfeo?

La scelta nasce dalla mia volontà di usare ambedue le forme, e in particolar modo una tipologia di personaggio previsto nell'ambientazione di Dragonbound, ossia il naùstarak, il drago metamorfosato. Elkodyas incarna il sapere degli elfi e dei draghi, il tutto perfuso da un profondo amore per la bellezza e la musica. Gli elfi hanno rafforzato, a fronte di ciò, la dimensione dell'incanto, potendo plasmare la materia e avere il controllo perfino sugli esseri viventi.
Elkodyas è stato modellato sul mito di Orfeo, assorbendone le caratteristiche principali e il senso ieratico che scaturisce dai Culti Eleusini. In più, Elkodyas conosce l'antica magia draconica e la forza mistica che in questo periodo ha raggiunto il linguaggio unificato del Teframar: le parole di potere si sono fuse con i versi. La poesia diviene il nuovo strumento col quale combattere i draghi malvagi, che attentano all'equilibrio fra le razze, e i nemici dei difensori dei draghi buoni. All’interno del Drak’kast è contenuta un’Appendice che spiega proprio la nuova poesia del Primordium Draconis.

8. E, meno in sintesi, come funziona il tipo di magia addomesticata dagli hadragnir?

Allora. Tutto nasce quando Eldavyr, il sommo bardo, accostato addirittura alla divinità del Suono (Enneukar), recupera gli Aulmadònviel, i Racconti Perduti: testi capaci di sortire gli effetti più disparati, alla loro semplice lettura. Da ciò, Eldavyr formò una vera e propria gilda di cantori, e ognuno fu il possessore di un Racconto (ben dieci in tutto). Nel tempo, questa forma così interattiva e seducente finì per divenire una fondamentale caratteristica degli incantatori di draghi, pur sempre bardi, ma specializzatisi nella manipolazione della sfera emotiva di un drago; un modo per riportare l'equilibrio fra le razze, in quanto effettivi araldi di questo mondo. Ahimè, però, in futuro, alcuni hadragnir abusarono di tale potere per sottomettere le creature draconiche e così disporre dei loro servigi; ma questa è un’altra storia. Tendenzialmente, tale incanto, che non va confuso con il Draknavas, ossia la sfera di magia draconica, è possibile grazie all'accesso al Draknamal, la memoria primitiva: una specie di memoria alveare condivisa da tutte le creature draconiche, in virtù della loro genìa, con la quale il cantore condivide incantesimi, portenti e conoscenza al pari di un drago. Soprattutto egli entra in contatto, seppur temporaneamente con gli spiriti di alcuni draghi, accrescendone l'impeto e la propria forza mentale. In termini pratici, maggiore ispirazione, estrema sensibilità empatica con la creatura che ha di fronte e così via; quasi riesce a plasmarne l'energia primitiva circostante. L'incantore di draghi fa del drago la sua zona di interazione specifica. Questo, meno in sintesi, ma pur sempre in linee generali. Comunque tutto questo background di fondo è sempre contenuto in Dragon Tales.


9. Quali sono gli elementi più marcatamente ispirati all'epica ellenica e quali all'epica nordica?

Su quella ellenica è basata l'intera concettualità di Elkodyas, e non è un segreto. Il Cantore dei Draghi è stato modellato, sì figurativamente, sull'immagine di Hobsyllwin di Ciruelo Cabral, ma a livello concettuale segue in maniera precisa il Cantore di Tracia, Orfeo. Sviluppa quell'incanto che era tipico delle Sirene, del potere dell'oralità che finanche ha decretato la vittoria di Apollo su Marsia. La costruzione dell'apathe, di quell'illusione che ritrova il proprio paradiso iperboreo nel teatro. I greci chiamavano questa illusione, e quindi la parola stessa in quanto sua creatrice, goeteia, "magia", incantesimo". Perfino alcuni termini richiamano le radici greche, come lo è il Canto di Enduenor, il Drago della Luna (la base è enduein, presente nel nome di Endimione).
L'epica nordica è stata soprattutto assorbita e filtrata attraverso un approccio più strutturale, seguendo più la tradizione scaldica, e di conseguenza la poesia allitterativa, e oltremodo la sua disposizione in strofe. In più, l'uso di alcune kenningar (particolarissime metafore, detto in maniera molto spiccciola).
In termini più generici, anche la presenza di elfi, nani e altre creature mistiche attingono alla sorgente nordica e a quella celtica.


10. E adesso passiamo alla tua esperienza editoriale: com'è stata, e che consigli offriresti agli aspiranti scrittori di fantasy?

La mia esperienza editoriale non è molto fitta, soprattutto perché non ho avuto velleità particolari per la pubblicazione. Ho sempre portato avanti un progetto di diffusione culturale attraverso il formato elettronico (PDF), che adoro tantissimo, soprattutto per la sua simbiosi con la grafica e le immagini. Questo perché ho passato molto del mio tempo con pittori e artisti presso gallerie d'arte e mostre. Grazie a questa esperienza ho sviluppato successivamente una migliore capacità di analisi e soprattutto il senso della figurazione, l'uso del colore poetico al pari d'un pennello e la relazione fra la scultura e la poesia.
Nel 2001 ho pubblicato con Edizioni Laboratorio Giovanile il libro di poesie sui miti greci I Giardini di Orfeo, e poi a seguire pubblicazioni su riviste del settore. Questo perché mi sono occupato nel tempo di Saggistica (sulla poesia), e lo faccio tuttora.
Ecco, diciamo che non sono uno di quelli che manda manoscritti, forse anche per indolenza.
Agli aspiranti scrittori suggerisco, prima di tutto, di non essere troppo appassionati nei confronti della propria opera, ossia di non considerarla a priori come un prodotto unico nel suo genere e già pre confezionato; questo per evitare possibili dissapori con gli editor, o comunque con chi andrà a valutare il testo. Umiltà soprattutto. Secondo, poi, valutare esattamente le case editrici in base al proprio prodotto, e non inviare testi a caso, scoprendo poi che quella casa non tratta il vostro genere. Spreco di tempo ed energie. Precise strategie.
Per ultimo, questo a livello formativo, seguire e partecipare a diversi forum, selezionati, esprimendo il proprio pensiero e la propria visione sulla Poesia, strutturando un sano confronto con gli altri. Soprattutto ci si deve far conoscere per il proprio pensiero, prima, e poi per la propria opera. Ci sono "poeti" che non sanno nemmeno cosa sia un verso.
E per concludere, studiare, impossessandosi d’un bagaglio tecnico-stilistico, in modo da farlo proprio.


11. Per concludere: progetti futuri?

Intanto portare avanti la presentazione di Drak'ast presso le diverse librerie italiane, e organizzare degli incontri con l'autore presso le Scuole Medie. Giorno 8 Ottobre presenterò presso la Libreria Lupo Rosso di Paola Boni, a Padova. Secondo poi, dedicarmi alla stesura del secondo libro della Saga dei Draghi Eterni; questo sarà davvero particolare e potente a livello strutturale.
In più, il prossimo anno curerò presso la Rivista nazionale "In Arte- Multiversi", una rubrica sulla Poesia (a Dicembre concludo la rubrica Mythos che curo già da due anni).


Grazie mille per il tempo che ci hai dedicato, Fabrizio, e buona fortuna con i tuoi progetti!

Io sono Max - I. W. Survive

Max è un terremoto. Inquieta, testarda, bella. Ha scoperto l’amore e il sesso con un’altra donna, e questa donna oggi la sta lasciando.
Come fai ad andartene per una che conosci da tre giorni? Ma Lili se ne va, seguirà la sua cometa e Max comincerà a franare.
Dovrà lottare contro tutto: contro i fantasmi di ieri, le prime carezze e il corpo di Lili, l’irruenza di quell’amore che a vent’anni le ha stravolto la vita, e contro i fantasmi di oggi, la gelosia, le notti in bianco, i goffi tentativi per riconquistare qualcosa di irrimediabilmente perduto. Solo l’incontro con un’altra donna, Leo, miss Orlando, il fuoco nei capelli e un uomo per compagno, risveglierà in Max il coraggio di rischiare ancora. Riscoprendo il piacere sottile della seduzione, l’imbarazzo e lo stupore di un’altra prima volta. “Io sono Max” è proprio come la sua protagonista: un terremoto di ironia e sentimenti. Se tutti nella vita siamo stati Max, forse nessuno l’ha mai raccontato così.

Recensione

Scorrevole, sincero, si divora in un attimo, non solo per piccole dimensioni (130 paginette formato pocket) ma per la capacità di questa piccola storia di coinvolgere in prima persona ognuno di noi.

Come recita il risvolto di copertina, tutti siamo stati Max, una volta nella vita. Uomini o donne, non importa, a quasi tutti è capitato di perdere un amore che si riteneva eterno e di dover affrontare il faticoso calvario che conduce al riappropriarsi della propria vita dopo un abbandono.

I.W.Survive (simpatica e calzante scelta dello pseudonimo) mette su carta quest'esperienza attraverso le parole di Max, giovane, bella, divertente, piantata per un'altra da un giorno all'altro dalla donna con cui era fidanzata da otto anni. In Max si alternano rabbia, incredulità, sconforto, disillusione e l'immane fatica di voltare pagina, in un flusso di coscienza rapido, ironico e travolgente, in sintonia con la personalità esuberante della protagonista. C'è il dramma ma non il melodramma: si avverte e si partecipa alla sofferenza di Max senza scadere in un clima da soap opera che trasformerebbe la storia in un polpettone dozzinale. Al contrario l'autore/autrice (?) con uno stile brillante e genuino e grazie ad un finale fuori dagli schemi riesce a trasformare una storia semplice e non originalissima in un racconto divertente che cattura l'interesse del lettore dalla prima all'ultima pagina.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Io sono Max
  • Autore: I.W.Survive
  • Editore: Absolutely Free Editore
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: Off Topic
  • ISBN-13: 9788897057291
  • Pagine: 134
  • Formato - Prezzo: Copertina morbida - Euro 10,00

19 settembre 2011

Alterra: l'Alleanza dei Tre - Maxime Chattam

Nessuno si era accorto del suo arrivo, e di colpo è sopra tutta la città: una spaventosa, gelida tempesta. Quando il quattordicenne Matt la vede incombere, vorrebbe avvisare i genitori, capire che cosa succede, se c'è un reale pericolo. Ma è già troppo tardi: viene colpito da un fulmine e perde conoscenza.
Quando si risveglia, è solo. La madre e il padre sono scomparsi, volatilizzati i vicini di casa, vuote le strade Cosa è successo?
Insieme all'amico Tobias, Matt cerca disperatamente di trovare qualcuno ancora in vita, in questa New York muta e fredda che sembra non dare speranze. Eppure, i due non sono soli: strane presenze dagli occhi di ghiaccio ne seguono i movimenti, bizzarre creature mutanti li spiano. Ai due ragazzi non resta che fuggire dalla città.
Li attende un mondo selvaggio, nel quale la natura ha ripreso totalmente il sopravvento. Riescono a trovare riparo su un'isola a ovest, presso una comunità di bambini, i "Pan". Il loro rifugio è però tutt'altro che sicuro: perché ad Alterra, gli unici adulti sopravvissuti sono diventati ormai cacciatori di bambini.

Recensione

In un momento editoriale in cui si ammassano nelle librerie pile di young adult, con cacciatrici di vampiri armate di glitter e novelli eroi con la spada in mano e le Converse ai piedi, riuscire a fare la differenza può essere arduo. Alterra è il primo episodio di una trilogia che ci prova, a fare la differenza. Non so se ci riuscirà alla fine, ma le premesse sono molto buone.

Non dirò la solita cosa del "romanzo adatto agli adolescenti, ma che anche gli adulti possono leggere", perché in effetti sarebbe fargli un torto. Alterra è un romanzo per adolescenti, e tenendo conto della sua destinazione, è davvero scritto bene. L'autore si muove con libertà e originalità, pur rimanendo sempre nei confini del genere. La storia fantastica si intreccia alla crescita personale del protagonista, è impossibile separarle e non sarebbe nemmeno giusto.

Tenendo conto di tutto ciò, Alterra risulta comunque un romanzo godibile, che si fa leggere ed appassiona. Davvero molto apprezzabile l'originalità della storia: una Tempesta spazza via il mondo civilizzato del ventunesimo secolo, spazza via gli adulti e tutto ciò che è artificiale, restituendo ai bambini e agli adolescenti una natura selvaggia e incontaminata, nuovamente padrona del mondo. Un po' già sentita risulta la tematica ambientalista, ma visto l'intento educativo della storia non se ne può fare una colpa. Il resto è un mix equilibrato di tecniche di genere, colpi di scena, effetti a sorpresa.

Un buon inizio, insomma. Stiamo a vedere.

Giudizio:

+2stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Alterra. L'Alleanza dei Tre
  • Titolo originale: Autre-Monde. L'Alliance des Trois
  • Autore: Maxime Chattam
  • Traduttore: D. Rizzati
  • Editore: Fazi
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: Lain
  • ISBN-13: 9788876250989
  • Pagine: 382
  • Formato - Prezzo: Rilegato - 18,50 Euro

18 settembre 2011

Il domani che verrà (The tomorrow series 1) - John Marsden

Australia, contea di Wirrawee. Nella campagna vicino Melbourne la vita scorre lenta e monotona, ma otto ragazzi hanno trovato un modo di sconfiggere la noia che li assale ogni estate: una gita nella natura selvaggia del bush australiano. Macchina, bagagli, tende, provviste: è tutto pronto. La loro destinazione è Hell, un paradiso chiamato Inferno, una radura luminosa e isolata che sarà la loro casa per una settimana. Davanti al fuoco a raccontarsi storie, a scambiarsi i primi baci e leggere classici di altri tempi, i ragazzi non sanno che al ritorno la loro vita non sarà più la stessa. Le case vuote, gli animali domestici morti, un'aura di desolazione che avvolge ogni cosa. L'Australia è stata occupata da forze militari sconosciute e i civili sono scomparsi, costretti in enormi prigioni all'aperto: tra i detenuti ci sono i genitori, i fratelli e le sorelle. Sconfitte la paura e l'incertezza, l'angoscia e la fragilità, i ragazzi sceglieranno di combattere per riprendersi il proprio avvenire, sapendo che l'unica possibilità di salvezza è nelle loro mani.

Recensione

Il domani che verrà è il primo volume di un'eptalogia scritta negli anni Novanta da un autore australiano, recentemente tradotto e stampato in Italia da Fazi, probabilmente per seguire la cresta dell'onda dovuta alla trasposizione cinematografica che uscirà a breve.

Nello scrivere la recensione, come al solito, terrò in conto il target cui il libro è rivolto: non si tratta, infatti, di una serie distopica cruda e violenta, ma di una saga per ragazzi che, proprio a causa del target che l'autore si è imposto, resta molto al di sotto delle sue possibilità non riuscendo a imporsi sul pubblico di una certa età.

L'ambientazione è chiaramente tratta dal Signore delle Mosche: alcuni adolescenti appartenenti a diverse tipologie sociali delle campagne australiane (dai figli dei proprietari terrieri alla borghesia cittadina), in seguito al loro rientro da un avventuroso campeggio di cinque giorni nelle profondità di una gola comunemente conosciuta come l'Inferno, scoprono di essere tra i pochi rimasti a piede libero della regione del Wirrawee; durante la loro assenza, infatti, è scoppiato un conflitto non meglio specificato (l'autore non identificherà mai il paese invasore), e la quasi totalità della popolazione -recatasi proprio in quei giorni alla manifestazione più importante dell'anno, il giorno della Commemorazione- è stata tratta in prigionia da un vasto esercito che ha occupato città e campagne.
Per Ellie Linton, la protagonista, e Lee, Homer, Corrie, Kevin, Fi, Robyn, e successivamente Chris, è il rito di passaggio verso la maturità: abbandonati a se stessi, gli otto ragazzi dovranno imparare a sopravvivere da guerriglieri in un regime militare che ha sovvertito la tranquillità della loro pacifica regione di campagna.

Il romanzo ha numerose pecche e alcuni punti forti; comincerò da questi. Quasi tutti i protagonisti non si trasformano immediatamente da studenti liceali in guerriglieri: sono infatti ragazzi cresciuti nelle campagne australiane, in grado di esplorare e scalare, lavorare la terra, allevare il bestiame, usare armi da caccia e guidare mezzi pesanti. Alla luce di ciò, alcune delle loro coraggiose azioni di guerriglia che in un altro contesto risulterebbero stonate acquistano coerenza. Non si creda però che in questo primo volume tali azioni abbondino, perché è prevalentemente di preparazione.
L'ambientazione, dunque, è convincente e coerente: non pesa l'assenza di tratti che descrivano e determinino il conflitto (come d'altronde accadeva nel Signore delle Mosche), perché al centro della storia sta la formazione degli otto ragazzi, costretti a crescere prima del previsto, a prendere decisioni che nemmeno un adulto saprebbe prendere, e ad affrontare senza una guida matura una tragedia spaventosa che nessuno avrebbe mai previsto. I ragazzi si comporteranno come meglio possono per cercare di sopravvivere, sbagliando e rimediando, fino a giungere al finale aperto e che lascia il lettore in uno stato di tensione nell'attesa del prossimo volume.

Com'è chiaro, dunque, il romanzo dovrebbe concentrarsi sui timori dei personaggi, i loro sensi di colpa (saranno costretti a uccidere), le loro speranze, i loro tentativi di ricostituire una società d'equilibrio sul filo del rasoio in cui sono stati catapultati. Purtroppo Marsden ha una prosa abbastanza sciatta e banale, che solo in pochi casi riesce a rendere l'angoscia della situazione. La prospettiva interna (la narrazione è condotta in prima persona dal punto di vista di Ellie), che avrebbe dovuto supportare l'autore nella precisione dei sentimenti della protagonista, non solo li espone superficialmente, ma restituisce ancora più aridamente quelli dei personaggi che la circondano.
Un esempio su tutti: nella prima parte del romanzo, la protagonista e Corrie (di cui stanno visitando la casa in cerca di tracce di vita) si imbattono in un messaggio che il padre era riuscito a lasciarle.

Ci guardammo per un attimo, poi ci abbracciammo strette, piangendo, e corremmo a raggiungere gli altri.
L'autore, con questa sterile cronaca delle loro azioni, non rende per nulla la tensione accumulata, l'emozione del ritrovare il biglietto, la tristezza del leggere le parole del padre di cui non si conosce la sorte. Esaurisce tutte le loro reazioni riportando brevemente come si comportano. E' una mancanza che ritorna in tutto il romanzo: c'è una tragedia spaventosa in atto, qualcosa che nessuno sa come affrontare e a cui nessuno potrebbe mai essere stato preparato. I personaggi di Marsden dovrebbero annegare nelle emozioni, travolgendo e frastornando il lettore; invece, al contrario, spesso risultano laconici, escludendo la compartecipazione del lettore. Si notino per esempio le nascenti storie d'amore tra Ellie e Lee, o tra Homer e Fi: Ellie, inizialmente, è attratta sia da Lee (che la attira perché affascinante e mentalmente superiore a chiunque conosca) che da Homer (fisicamente sensuale), ma basta poco perché si renda conto che verso il secondo il sentimento è superficiale in quanto lo identifica in una gelosia poiché l'amico è a sua volta attratto (e ricambiato) da Fi. Ma il sentimento verso Lee, così com'è reso dall'autore, è altrettanto superficiale e senza ragione di esistere. Siamo ben lontani da una caratterizzazione efficiente di una storia d'amore. Non escludo però che questo aspetto venga ripreso e approfondito nei libri successivi.

Altro elemento che, inevitabilmente considerato il target, rende il libro inadatto a chi ama il realismo, è l'assenza di violenza e crudezza: mancano descrizioni vivide della tragedia in atto: i cadaveri, le case sventrate, le ferite e gli assassinii, tutto viene smussato e addolcito.

Tirando le somme: il mio giudizio (tre stelle) è giustificato dal senso del romanzo, un libro adatto a finire sui banchi di scuola (così com'è stato), privo di forti tinte ideologiche, scevro da forti episodi di violenza e drammaticità. Ha qualcosa del Signore delle Mosche di William Golding e de L'ombra dello scorpione di Stephen King, ma manca del solido impianto ideologico del primo (di cui rovescia il presupposto pessimistico di non confidare nei giovani) e della cruda violenza del secondo (in cui, pure, erano presenti protagonisti di giovane età tra i sopravvissuti, ma di tutt'altro tenore). Tuttavia si lascia leggere volentieri e fa presagire un miglioramento nei volumi a venire.


La saga Tomorrow Series:
  • Il domani che verrà, 2011 (Tomorrow, When The War Began, 1993)
  • The Dead Of The Night (1994)
  • The Third Day, The Frost (1995)
  • Darkness, Be My Friend (1996)
  • Burning For Revenge (1997)
  • The Night Is For Hunting (1998)
  • The Other Side of Dawn (1999)

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Il domani che verrà
  • Titolo originale: Tomorrow, When The War Began
  • Autore: John Marsden
  • Traduttore: Arnone C.
  • Editore: Fazi
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: Lain
  • ISBN-13: 9788876250804
  • Pagine: 250
  • Formato - Prezzo: Brossura - 14,90 Euro

Racconti - Théophile Gautier

Théophile Gautier, Racconti. Introduzione di Carlo Pasi, traduzione di Donata Feroldi. Contiene: Caffettiera, Onuphrius, Omphale, Morta innamorata, Catena d'oro, Pipa di oppio, Notte di Cleopatra, Vello d'oro, Cavaliere doppio, Piede di mummia, Due attori per una parte, Re Candaule, Il club di mangiatori di hascisc, Arria Marcella, Avatar, Iettatura.




Recensione

Precisazione: Théophile Gautier fu uno scrittore e poeta francese vissuto nell'Ottocento, fiero esponente della corrente letteraria del Romanticismo, e considerato un maestro da Baudelaire (che gli dedicò perfino i Fiori del male). Oltre a un paio di romanzi, scrisse numerosi racconti.

In questa raccolta ne sono riuniti sedici, di lunghezza variabile tra le poche pagine e le oltre cento, e di diverso tenore, ma si può notare una certa propensione (tipicamente romantica) all'onirico e al visionario, al sovrannaturale, al motivo del doppio, alle passioni morbose rivolte a perfette bellezze femminili descritte come divine opere d'arte pittorica o statuaria. A volte gli oggetti si animano, prendendo sembianze umane e seducendo l'estatico protagonista coinvolgendolo in un ballo indimenticabile, come accade ne La caffettiera; o si staccano provocanti figure femminili dagli arazzi, attentando alla virtù di un giovane moralmente integro, come in Omphale; vampiri o donne defunte (anche appartenenti a momenti storici molto lontani, come l'Egitto e Pompei) possono superare le barriere della morte in nome dell'amore e della lussuria, imprigionando l'impotente narratore in un dolce sogno proibito e destinato a finire: è ciò che accade a un giovane prete in La morta innamorata, che si ritrova a condurre una doppia vita (prete di giorno, libertino dedito ai piaceri più sfrenati di notte) senza sapere quale sia la realtà; o al protagonista di Piede di mummia, che dopo aver acquistato il piede mummificato di una principessa egizia per usarlo come fermacarte si vede comparire davanti il resto del corpo della ragazza; o a Ottaviano (Arria Marcella) che, innamoratosi del calco che ricopriva il corpo di una pompeiana morta durante l'eruzione, si ritrova proiettato nella Pompei del primo secolo. Altre volte gli amori sono più terreni: il protagonista de Il vello d'oro, innamorato della Maddalena di un dipinto di Rubens, decide di proiettare i propri sentimenti su una giovane donna che le somiglia ma da cui non è attratto; in Avatar l'amante è così ossessionato dalla principessa polacca che l'ha rifiutato da affidarsi alle arti oscure di un medico-bramino per scambiare la propria anima con quella del marito dell'amata; in Iettatura un gentleman, durante un viaggio a Napoli in visita alla fidanzata, scopre di avere il malocchio e di costituire un pericolo per l'incolumità della sua bella Alicia.
A volte è il diavolo che fa capolino, in Onuphrius e Due attori per una parte. O ancora, Gautier (altro tratto tipicamente romantico) ridipinge personaggi, attestati o fittizi, calati in un contesto storico precedente, come l'Egitto, la Grecia antica, l'Italia durante il periodo imperiale, la Norvegia feudale, le cui ambientazioni descrive meticolosamente; così la crudele Cleopatra figura come regina annoiata e temibile in L'ultima notte di Cleopatra, la stupenda etera Plangon di Mileto (La catena d'oro) chiede all'amante che l'ha offesa un alto prezzo per rientrare nei suoi favori, il Re Candaule deve pagare un costo altissimo per aver voluto condividere la bellezza della propria sposa con il suo generale.

Lo stile di Gautier è raffinatissimo, fiammingo nel descrivere personaggi, ambienti e oggetti con un lessico che sarebbe riduttivo definire ricco e ricercato. Il mio consiglio è di gustarsi questi racconti poco a poco, perché la loro lettura consequenziale rischia di far sì che la ripetitività di temi e motivi pesi sul lettore.


Nota: l'edizione cui mi riferisco è quella uscita con La Biblioteca di Repubblica, Ottocento. IBS segna due edizioni, entrambe incomplete: Il vello d'oro e altri racconti, ed. Giunti 1993, e Racconti fantastici, ed. Garzanti 2006.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Racconti
  • Titolo originale: La Cafetière; Onuphrius; Omphale; La Mort Amoreuse; La Chaîne d'or; La Pipe d'opium; Une Nuit de Cléopâtre; La Toison d'or; Le Chevalier double; Le Pied de momie; Deux acteurs pour un rôle; Le Roi Candaule; Le Club des haschichins; Arria Marcella, souvenir de Pompéi; Avatar; Jettatura.
  • Autore: Théophile Gautier
  • Traduttore: Donata Feroldi
  • Editore: La Repubblica
  • Collana: La Biblioteca di Repubblica
  • Pagine: XLIV - 562
  • Formato - Prezzo: Cartonato, sovraccoperta - 7,90 €

16 settembre 2011

Angolotesti: "L'assiuolo" di Giovanni Pascoli

Buonasera a tutti i lettori,
torna oggi Angolotesti, una selezione di testi letterari o poetici nella loro interezza con una breve contestualizzazione perché possiate meglio apprezzarli. Nulla di specifico, come al solito, solo qualche accenno per i non addetti ai lavori.
Dopo Gautier rimaniamo nell'Ottocento, passando però dalla prosa romantica alla poesia simbolista di Giovanni Pascoli. Poeta notissimo (spesso tutt'altro che positivamente) a chi ha terminato la scuola dell'obbligo, come ogni autore imposto necessiterebbe di una rilettura a mente lucida e vergine dalla critica per poterne meglio apprezzare le caratteristiche meno 'accademiche'.
La turbata personalità del poeta romagnolo ha dato vita a numerose raccolte poetiche pervase dal tema degli affetti familiari, custoditi con morbosa gelosia, che si intreccia con la persistente ombra della morte, ora vista come necessaria nel ciclo naturale delle cose, ora come angoscioso nulla. L'assiuolo è tratto da Myricae, prima raccolta poetica dell'autore la cui edizione definitiva (del 1900) contiene circa centocinquantasei componimenti scritti nel corso di vent'anni di vita. In essa l'autore si immagina immerso in un paesaggio notturno così nebbioso da impedirgli di scorgere la luna, circondato da una moltitudine di impressioni soprattutto uditive; spicca tra le altre il verso di un assiolo (uccello popolarmente associato a disgrazie e trapassi),
chiù, il quale da voce si trasforma in singulto e poi in pianto di morte.
Incombono dunque l'angoscia (
un sussulto) e i ricordi (un grido che fu), mentre il frinire delle cavallette si trasfigura in sistri d'argento, antichi strumenti egizi che rimandano ai misteri dell'aldilà (le invisibili porte) che non possono essere spiegati né enunciati, ma a cui si può solo alludere (forse non s'aprono più).
La poesia che segue è un meraviglioso esempio di musicalità, perfettamente resa dallo schema rimico, dalle allitterazioni, dalle sinestesie e dalle onomatopee.



L'assiuolo


Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù
...


Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...


Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?...);
e c’era quel pianto di morte...
chiù...



Giovanni Pascoli nacque nel 1855 in provincia di Forlì da famiglia agiata, quarto di dieci fratelli; ben presto la sua giovinezza fu funestata da una lunga serie di lutti: il padre (ucciso mentre rientrava a casa in carrozza), la madre, tre dei fratelli. Divenuto capofamiglia, Giovanni, dopo aver escluso dalla sua vita qualsiasi relazione sentimentale, tentò morbosamente di ricostruire un nucleo familiare insieme alle due amate sorelle, Ida e Maria, e dalla prima si sentì tradito quando si sposò contro la sua volontà. Personalità fragile e tormentata, Pascoli fece sempre rivivere in sé un fanciullino, la parte infantile soffocata in ogni uomo adulto, figura umile eppure superiore perché capace di vedere la vera realtà delle cose, osservandole con occhi nuovi e attraverso vie intuitive e a-razionali. Pascoli si fece portavoce della rivelazione di una realtà segreta cui può accedere solo il poeta, in quanto in grado di svelare l'universale nel particolare attraverso una catena di analogie simboliche. Il suo percorso poetico va dalle Myricae (1891), piena espressione della corrente poetica simbolista ma fortemente legata al classicismo carducciano, e in cui si intrecciano motivi familiari a motivi naturalistici, ai Poemi conviviali (1904), in cui si ravvede l'inizio della tendenza espressionista, passando per i Canti di Castelvecchio (1903), in cui viene meno il frammentismo che costituiva la più evidente caratteristica di Myricae.
Qualche mese dopo aver pronunciato il discorso
La grande Proletaria si è mossa, inno al nazionalismo italiano e volto a incoraggiare pubblicamente l'impresa coloniale in Libia (il poeta, dopo una giovanile parentesi socialista, era nel frattempo approdato a un populismo conservatore), Pascoli morì di cancro al fegato, nel 1912, a Bologna.
 

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