22 settembre 2011

Quando anche il sole muore - Claudio Gianini

Intrappolato in una vita che non ha più suoni nè identità: un incidente sul lavoro gli ha portato via l'udito e la memoria, costringendolo a uscire dal giro.
Da allora per Pietro Ferri, ex poliziotto, le giornate scorrono in un'anonima routine, scandita soltanto dal sesso clandestino con Roberta e da incubi: incubi atroci ricorrenti, di cui lui stesso è truce protagonista.
Fin quando il 'killer della Ghisolfa', colui che era stato causa del suo incidente, riappare sulla scena con una serie di delitti che sembrano voler rappresentare un chiaro richiamo a Pietro, un invito a rimettersi in gioco, a riprendersi la sua vecchia identità.
E basta poco perché la porta dei ricordi si spalanchi prepotentemente, riportando a galla verità che forse sarebbe stato meglio continuare a ignorare... Poiché alle volte la certezza del niente è meglio di una possibile gioia. Un thriller intenso, in cui il vero mostro da stanare è quello che giace in fondo a noi stessi.

Recensione

Quando il sole muore è però un poliziesco atipico, per quanto il protagonista sia proprio un ex poliziotto, dal momento che alla trama thriller non è lasciato poi molto spazio.

Pietro Ferri è l'agente di polizia rimasto invalido durante la caccia al serial killer della Ghisolfa, l'autore di efferati omicidi che hanno sconvolto Milano. Ha perso l'udito e anche la memoria e della sua personalità è rimasto solo un guscio svuotato della voglia di vivere.
D'improvviso, sono ormai trascorsi cinque anni, una serie di assassini dalle caratteristiche brutali riprende a terrorizzare Milano e Pietro Ferri è coinvolto in prima persona, non solo perché si tratta del killer della Ghisolfa ma anche perché le vittime sembrano seguire i suoi passi come una scia di sangue.

La trama sembrerebbe buona ma sconta una serie di difetti soprattutto - a mio parere - di natura stilistica.
La tonalità descrittiva prende troppo spesso il sopravvento sulla narrazione, rendendo il plot giallo quasi superfluo: prosegue costante un'aggettivazione eccessiva che a volte appesantisce la lettura e ha quasi il sapore dell'ingenuità, soprattutto quando i personaggi si dilungano a descrivere stati d'animo e situazioni emotive.
Sembra quasi che l'investigazione sia un contorno casuale delle vicissitudini mentali dei protagonisti. Che per un poliziesco significa rendere la trama piuttosto debole.

La concentrazione sulla vita interiore del protagonista narrante è eccessiva e a volte esasperante, tanto da rendere nebuloso tutto il resto, dall'ambientazione milanese alla caratterizzazione degli altri personaggi. L'uso della prima persona rende poco spontanea anche l'analisi introspettiva di Pietro Ferri. Che rimane un personaggio nebuloso, e non solo per l'amnesia: forse troppe 'sfighe' concentrate nella stessa persona e in tutti coloro che la circondano da vicino rendono l'approfondimento psicologico poco incisivo - oltre a risultare poco credibili e quasi ironiche.

Ed è un peccato perché la trama avrebbe anche degli sviluppi interessanti, se non fosse troppo incentrata sull'urgenza di rendere sempre immediatamente palese quello che i personaggi pensano o provano e si rivolgesse di più all'azione.

Giudizio:

+2stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Quando anche il sole muore
  • Autore: Claudio Gianini
  • Editore: Lab
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: Narrativa
  • ISBN-13: 9788863162257
  • Pagine: 246
  • Formato - Prezzo: Paperback - Euro 15,00

2 Commenti a “Quando anche il sole muore - Claudio Gianini”

  • 23 settembre 2011 alle ore 00:18
    claudio says:

    Caro Polyfilo,
    Volevo innanzitutto ringraziarti per il tempo e l'energia spesi dietro al mio romanzo.
    E poi volevo aggiungere qualche considerazione.
    Hai definito il libro un poliziesco atipico: non voleva essere e non è un giallo alla Agatha Christie, per così dire. Non voleva essere un rebus che stuzzica l'intelletto, ma piuttosto un pugno nello stomaco. Voleva provocare e destabilizzare. Quindi, se proprio vogliamo classificarlo, allora annoveriamolo tra i neri e diciamo che il plot giallo è un contorno. Come dici tu la narrazione in prima persona è una scommessa, che a me piace perché voglio pensare il lettore in simbiosi con il personaggio piuttosto che in balia del narratore onniscente (e saccente), pronto a cavarlo d'impiccio quando si perde nella storia.
    Il protagonista é uno sfigato, è un perdente che però tenta di ribaltare la sorte. In un Nero non può essere diversamente.
    Ma c'è una cosa che mi piace e che ti rubo magari per una prossima presentazione: Pietro è un guscio svuotato della voglia di vivere.
    Per il resto che dire? I gusti son gusti ed io sono il primo a sostenere che la bellezza non è assoluta.
    Grazie ancora e buon lavoro.
    Ciao
    Claudio

  • 23 settembre 2011 alle ore 12:20
    polyfilo says:

    Caro Claudio,
    grazie a te della risposta pacata e argomentativa alla recensione. Io l'ho definito 'atipico' perchè per come è presentato anche sulla quarta di copertina me lo aspettavo un po' diverso, mi aspettavo che la parte noir fosse più presente è più forte... poi su generi e sottogeneri di gialli e company si potrebbe dibattere a lungo, ma non è certo un problema.
    Quanto alla sfiga quello che mi perplimeva - e che secondo me rimane forzato e poco credibile - era la immane concentrazione di sfiga (non di violenza, eh!) non solo sul protagonista ma anche su tutti gli altri personaggi... a un certo punto mi pareva che bastava si muovessero per ammazzare qualcuno (e non sto parlando del serial killer).
    Riguardo all'uso della prima persona invece la mia non era una critica sulla scelta... però credo - da lettore - che per reggere una scelta del genere deve avere un personaggio davvero ben strutturato e Pietro Ferri da questo punto di vista è un po' debole...
    Peccato, perchè, come ho anche scritto, la trama se fosse gestita meglio sarebbe anche initrigante!
    Buon lavoro a te!
    Polyfilo

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