23 aprile 2016

Speciale Angolotesti: Macbeth di William Shakespeare

Cari lettori,
cade oggi il quattrocentesimo anniversario della morte del più grande drammaturgo esistito, William Shakespeare.
Il mondo anglosassone ha iniziato a programmare celebrazioni della ricorrenza da almeno un anno e le iniziative si sono allargate a tutti gli ambiti, anche quelli non strettamente letterari: la Metropolitana di Londra ad esempio ha rilasciato una nuova versione della mappa della rete in cui i nomi delle stazioni sono stati sostituiti con i nomi dei personaggi più famosi delle tragedie o dei luoghi significativi della carriera del Bardo.
Anche se non siamo inglesi non possiamo certo ignorare un personaggio che ancora oggi influenza enormemente ogni forma d'arte, sia essa cinema, musica o letteratura - basti pensare che alcuni fra i maggiori successi tra i giovanissimi come Twilight o Colpa delle stelle citano apertamente le sue opere. Il secondo autore inglese più citato nel mondo, l'elenco di modi di dire coniati nelle sue opere e diventati di uso comune è infinito (qui trovate una divertente tirata di Bernard Levin che riassume alcuni dei più celebri), e si calcola che siano almeno 3000 i termini da lui coniati entrati di uso comune nella lingua inglese; libri e film ispirati alla sua misteriosa vita si sprecano, riadattamenti delle sue tragedie vengono prodotti annualmente; per questo motivo vi proponiamo oggi un'edizione speciale della nostra rubrica Angolotesti dedicata a una della sue tragedie più famose - secondo alcuni la più bella - che proprio l'anno scorso è tornata al cinema in una splendida versione con il fascinoso Michael Fassbender: Macbeth.

Potere, tradimento, sesso, violenza: probabilmente non esiste un'opera di Shakespeare più moderna della "tragedia scozzese", la cui atmosfera cruenta è forse tra le cause della sua fama di porta sfortuna, tanto che come si sa in ambiente teatrale si preferisce non chiamarla mai con il suo nome proprio.
Pur essendo la tragedia più breve, è anche la più ricca in quanto a tematiche trattate e sicuramente una delle più affascinanti nella sua rappresentazioni del male. La sete di potere di Lady Macbeth, la codardia del marito, le tre Streghe e il sovrannaturale: è davvero difficile scegliere una scena rappresentativa di questa avvincente opera.
Il monologo che abbiamo scelto è uno dei più famosi e significativi. Tratto dall'Atto II, Scena I, si colloca poco prima dell'uccisione del re Duncan da parte di Macbeth. L'uomo è a un passo dal compiere il folle gesto ma, nonostante la moglie abbia con convinzione distrutto ogni suo scrupolo o timore, la coscienza è dura da far tacere e l'uomo ha bisogno di chiamare a raccolta tutto il suo coraggio, immaginandosi che sia il pugnale stesso a prendere l'iniziativa e guidare le sue azioni, trasferendo la responsabilità del suo crimine su oggetti inanimati come il pugnale che lo guida e la campana che segna l'ora dell'omicidio. Un monologo perfetto, che mostra tutta la complessità del personaggio di Macbeth in pochi drammatici passaggi.


Macbeth (Atto II, Scena I)

Is this a dagger which I see before me,
The handle toward my hand? Come, let me clutch thee.
I have thee not, and yet I see thee still.
Art thou not, fatal vision, sensible
To feeling as to sight? or art thou but
A dagger of the mind, a false creation,
Proceeding from the heat-oppressed brain?
I see thee yet, in form as palpable
As this which now I draw.
Thou marshall'st me the way that I was going;
And such an instrument I was to use.
Mine eyes are made the fools o' the other senses,
Or else worth all the rest; I see thee still,
And on thy blade and dudgeon gouts of blood,
Which was not so before. There's no such thing:
It is the bloody business which informs
Thus to mine eyes. Now o'er the one halfworld
Nature seems dead, and wicked dreams abuse
The curtain'd sleep; witchcraft celebrates
Pale Hecate's offerings, and wither'd murder,
Alarum'd by his sentinel, the wolf,
Whose howl's his watch, thus with his stealthy pace.
With Tarquin's ravishing strides, towards his design
Moves like a ghost. Thou sure and firm-set earth,
Hear not my steps, which way they walk, for fear
Thy very stones prate of my whereabout,
And take the present horror from the time,
Which now suits with it. Whiles I threat, he lives:
Words to the heat of deeds too cold breath gives.
[A bell rings]
I go, and it is done; the bell invites me.
Hear it not, Duncan; for it is a knell
That summons thee to heaven or to hell.

Traduzione di Goffredo Raponi:

È un pugnale ch'io vedo innanzi a me
col manico rivolto alla mia mano?...
Qua, ch'io t'afferri!...No, non t'ho afferrato...
Eppure tu sei qui, mi stai davanti...
O non sei percettibile alla presa
come alla vista, immagine fatale?
O sei solo un pugnale immaginario,
un'allucinazione della mente,
d'un cervello sconvolto dalla febbre?
Ma io ti vedo, ed in forma palpabile,
quanto questo ch'ho in pugno, sguainato.
E tu mi guidi lungo quella strada
che avevo già imboccato da me stesso,
pronto ad usare un analogo arnese...
O gli occhi miei si son fatti zimbello
di tutti gli altri sensi,
o la lor percezione è così intensa
che a questo punto li soverchia tutti:
perch'io t'ho qui, dinnanzi alla mia vista,
e sulla lama e sull'impugnatura
vedo del sangue che prima non c'era....
Ma no, che una tal cosa non esiste!
È solo la mia impresa sanguinaria
che prende una tal forma agli occhi miei.
A quest'ora, su una metà del mondo
la natura par quasi che sia morta,
ed empi sogni vanno ad ingannare
il sonno chiuso dietro le cortine.
Le streghe celebran le loro ridde
ad Ecate la pallida; svegliato
dall'allarme della sua sentinella
l'ululato del lupo - l'assassinio
s'avvia furtivamente alla sua impresa,
come un fantasma, a passo lungo e lieve,
come il lascivo andare di Tarquinio.
Tu, però, solida e sicura terra,
non seguire i miei con l'ascolto,
che le tue stesse pietre
non denuncino il luogo ov'io m'aggiro
e tolgano al silenzio di quest'ora
l'orrore che sì bene gli si addice.
Ma io minaccio, e lui continua a vivere.
Le parole, sul fuoco dell'azione
soffiano un'aria troppo raggelante.
(S'ode una campana)
Vado, ed è fatto. La campana chiama.
Duncano, non udirla: il suo rintocco
ti chiama al paradiso od all'inferno.

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