31 ottobre 2010

Confessioni di una maschera - Yukio Mishima

Un giovane cui "difetta in via assoluta qualsiasi forma di voglia carnale per l'altro sesso" deve imparare a vivere celando la propria autentica identità. In pagine in cui risultano indissolubilmente commisti sessualità e candore, esultanza e disperazione, il protagonista di questo romanzo, un classico della letteratura giapponese moderna, confessa le esperienze cruciali attraverso le quali è giunto a conoscere se stesso: dalla "adorazione indicibile" per un paio di calzoni all'elaborazione di fantasie sadomasochistiche, dall'identificazione con personaggi femminili celebri alle sconcertanti interpretazioni di fiabe e motivi iconografici occidentali... L'accettazione di se stesso come uomo diverso dagli altri uomini non si attua senza una lotta, tanto strenua quanto vana, per conquistare la normalità: simula vizi immaginari per far passare inosservate le proprie vere inclinazioni, si costringe a corteggiare giovinette per chiarire sino a qual punto la donna possa offrire piaceri reali, corregge con zelo manifestazioni di rischiosa passionalità...
Ma "le emozioni non hanno simpatia per l'ordine fisso" e i suoi sentimenti reali rimangono, tenaci, quelli nascosti dalla maschera della correttezza ufficiale.

Recensione di Polyfilo

Il richiamo all'espressività teatrale presente nel titolo rende bene l'atmosfera che pervade il racconto del travaglio attraverso rifiuto/accettazione, vissuto da un adolescente che affronta la propria omosessualità, in un contesto regolato da norme sociali e comportamentali che definire "rigide" sarebbe un enorme eufemismo.

Tutte le emozioni vengono nascoste e compresse sotto la superficie compatta di uno strato di cipria come quello utilizzato nel teatro No, elemento del fortissimo tradizionalismo nipponico; sono quasi trasfigurate dal candore abbacinante delle maschere da rappresentazione, negazione della persona in favore del personaggio.

Il protagonista - che arriva a coincidere con l'autore, anche se non esplicitamente - percorre con sguardo retrospettivo una parte del suo percorso esistenziale, quello che arriva fino ai suoi primi vent'anni e alla presa di coscienza della propria dimensione di maschera.

Dalla scuola, schematica imitazione di un'esperienza militare nel periodo della seconda guerra mondiale, alla famiglia, ai rapporti sociali: il controllo della propria immagine e la sottomissione a schemi comportamentali tanto fissi quanto indiscutibili forniscono la cornice in cui si muove il bambino prima, l'adolescente e giovane poi.
La finzione può reggere solo se tutti gli attori, primo fra tutti il protagonista, il cui nome non per caso non viene mai rivelato, sono coesi nel sostenere l'illusione scenica.

Il prezzo di questa feroce repressione è la sublimazione di tutta una gamma di impulsi nella dimensione della fantasia, con diverse sfumature: dai tratti sadici, se rivolte ai propri compagni di studi e coetanei, romantici e 'conformisti', se legati all'universo femminile. L'incertezza in cui si crogiola il protagonista riesce a trovare un orizzonte accettabile solo nel desiderio di incarnare un'immagine maschile di stampo ultraomistico.

E al decadentismo europeo del secondo e terzo decennio del XX secolo si richiama anche lo stile descrittivo del romanzo d'esordio dello scrittore giapponese. I toni e le descrizioni spesso languide e compiaciute sono simili per certi versi all'estetismo dannunziano, da cui pare mutuata anche l'aspirazione sia a toni espressionisti e pesanti, attenti a dettagli, colori, percezioni che hanno un gusto molto libresco - del resto al centro delle passioni del protagonista ci sono le letture, tra le quali un fondamentale del decadentismo europeo, "Controcorrente" di Huysmans -, sia alla ricerca di un'immagine di sè diversa e opposta a quella reale, per esempio nel rapporto difficile con la malattia e la gracilità fisica, ripudiata nelle intenzioni ma sfruttata per evitare la partenza per il fronte durante la guerra.

Così la costruzione di un io forte, di uno strumento narrativo stilisticamente roboante, di una versione di sè accettabile nel rapporto con una ragazza, Sonoko, si scontrano con la fragilità della finzione in cui il giovane è avvolto come in un bozzolo rassicurante.

Il racconto si ferma proprio in quel punto di rottura ineluttabile anche se non ancora decisa: se basta la visione di un torace muscoloso a svelare la teatralità della rappresentazione significa che la stessa non ha più ragion d'essere.

A parte queste considerazioni lo stile narrativo assume un tono piuttosto barocco e a volte troppo compiaciuto nell'autoanalisi e nella descrizione dei particolari. Tanto da sembrare in alcuni punti un'imitazione laterale di precedenti esperienze europee e costituire una tappa ancora non del tutto sviluppata nella costruzione di un proprio modulo espressivo, in risonanza con la situazione vissuta dal protagonista.

Giudizio:

+2stelle+

Recensione di Tancredi

Parlare di Confessioni di una maschera non è affatto semplice, per la difficoltà a distinguere il Mishima autore dal Mishima personaggio, il romanzo dall'autobiografia.

Provare a leggere questo romanzo per quello che appare, ovvero la confessione non richiesta di un personaggio anonimo che racconta della sua infanzia, adolescenza e giovinezza, scandita dalla scoperta dell'omosessualità e dalla lotta contro di essa, non gli rende di certo giustizia. E soprattutto, induce a cogliere nel protagonista narrante un io deviato e depravato, intossicato sin dalla più tenera età da visioni di sesso e morte, legate inevitabilmente a doppio filo.
In effetti, ad uno sguardo già un po' più profondo si può ammirare il finissimo lavoro di caratterizzazione psicologica: il continuo intrecciarsi tra i desideri omosessuali e le visioni di morte, tra eros e thanatos, libido e destrudo fa tanto Freud.

Ma c'è di più. Bisogna ricostruire il Mishima letterato che traspare - appunto - oltre la maschera: solo così appare chiara l'altra chiave di lettura, che vede il desiderio di morte non più come depravazione estrema di un io già deviante, ma iscritto in un'estetica della morte tutta giapponese e tutta, in effetti, tipica di Mishima.

Questo è vero se si considera che per tutto il romanzo l'anonimo protagonista, anziché indugiare nei suoi sogni erotici, che rifiuta nettamente, insegue la morte: e alla fine il quarantacinquenne Mishima la trova davvero, per sua mano, ovviamente.

Chi pensa, a questo punto, di trovarsi davanti ad un romanzo puramente egotista ed autoreferenziale si sbaglia di grosso. Nonostante la totale assenza di un contatto con il prossimo che sia anche solo vagamente erotico, l'anonimo protagonista vive - non può farne a meno - del contatto con gli altri. Ecco che dunque Confessioni di una maschera cessa di essere semplicemente un romanzo di formazione alla giapponese, acquistando una vena decisamente più esistenzialista. Mettendo da parte il conflitto interiore del protagonista, derivante dalla sua soffocata omosessualità, rimane il problema della definizione di sé attraverso il contatto con l'altro. Un tema, questo, che in effetti ricompare nelle opere successive.

Così, mentre l'anonimo confessore ripete a se stesso, come un mantra, "Tutti sono uguali a me", più tardi, nel singolare Stella meravigliosa giunge a concludere:

L'uomo cerca freneticamente gli altri uomini per concludere: "in fondo siamo uguali" e per pensare nello stesso tempo: "ma bene o male io son diverso".

Dimostrata, dunque, la profonda ricchezza di questo breve romanzo, ci si potrebbe chiedere perché negargli la quinta stella. Mi riservo, in effetti, di rivedere il giudizio prossimamente. Lo stile, certamente interessante, capace di mantenere il tono sempre elevato malgrado il ricorrere di immagini piuttosto forti, non mi ha esaltato, cosa che invece mi aspettavo. Dunque quattro stelle e basta, per ora, con la certezza (forse più speranza) di trovare l'indubbio capolavoro di Mishima, meritevole del giudizio massimo.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Confessioni di una maschera
  • Titolo originale: Kamen no horuhaku
  • Autore: Yukio Mishima
  • Traduttore: M. Bonsanti
  • Editore: Feltrinelli
  • Data di Pubblicazione: 1981
  • Collana: Universale economica Feltrinelli
  • ISBN-13: 9788807809569
  • Pagine: 219
  • Formato - Prezzo: Tascabile - 7,50 Euro

29 ottobre 2010

Sette fine - Andrea Ribezzi

Un romanzo poliziesco che inizia sull'altopiano carsico, a pochi chilometri da Trieste, in un piccolo commissariato di pubblica sicurezza. La vicenda si dipana presto ben oltre le quattro mura dell'ufficio di polizia, scende in città, percorre le sue vie, valica i confini e guarda infine il mare, l'Adriatico, che lega diverse culture ed etnie. Sono incroci che riguardano sia i "buoni" che combattono contro la criminalità, sia i "cattivi" che per contro, tentano di eleggerla a sistema. La storia si svolge a metà anni '90, in un periodo immediatamente successivo alle prime guerre balcaniche, momento in cui Trieste inizia ad accelerare la propria vocazione di città di frontiera. La caratteristica principale del romanzo sta nella circostanza che la professione dell'autore è la stessa del protagonista: ispettore di polizia. Una coincidenza che ha permesso di scrivere una vicenda immaginaria ma realistica nell'ambientazione, nelle procedure investigative ed in tutto ciò che è riconducibile all'agire del poliziotto nel suo ruolo, anche se ciò non vale sempre per il protagonista.

Recensione di Polyfilo

Forse il peccato originale dell'ispettore Ravera è quello di avere un padre che fa il suo stesso lavoro?
Per quanto l'ordine non sia quello corretto e ci siano dei cambiamenti nel senso di una maggiore fluidità della lettura nella seconda avventura dell'ispettore triestino, il primo episodio, "Sette fine" presenta delle durezze stilistiche.
La vicenda dell'inchiesta poliziesca unisce diversi filoni, l'omicidio di una ragazza, il traffico di droga tra Italia ed Ex Jugoslavia, la deriva dei servizi segreti balcanici dopo il crollo dei regimi comunisti: un conglomerato di tanti ingredienti forse non sempre cucinati nelle giuste dosi. Risulta difficile tenere insieme i filoni paralleli della trama, anche se l'ambientazione è davvero molto realistica, sia nel contesto delle Forze dell'ordine sia in quello triestino. Si sentono forti il fascino mitteleuropeo della storia nei viottoli della città asburgica e l'amore dell'ispettore per la sua terra. Una terra di confine in cui le storie, le vite e le passioni si intrecciano al riparo della Bora e si riscaldano nella calda penombra dei bar e delle locande.

Così anche la figura di Ravera da un lato rimane superficialmente caratterizzata nel ruolo dell'eroe giustiziere e sciupafemmine, anche perché il romanzo è davvero troppo affollato di nomi e personaggi di cui è laborioso ricordare i nomi e i ruoli, soprattutto nelle gerarchie poliziesche - almeno per i non addetti ai lavori -, mentre i personaggi secondari, compresi i compagni di scorribande di Ravera non riescono a emergere oltre una caratterizzazione appena abbozzata e spesso poco credibile.

Si crea quasi un paradosso per cui mentre la parte 'poliziesca' è fin troppo dettagliata e realistica invece il cotè propriamente romanzesco è meno solido e sarebbe auspicabile un equilibrio più armonioso tra i due elementi narrativi. Soprattutto perchè gli spunti sembrano interessanti.

Giudizio:

+2stelle+

Recensione di Pythia

Andrea Ribezzi fa proprio il consiglio, solitamente rivolto agli aspiranti scrittori, di trattare argomenti noti, creando un ispettore di polizia con alle spalle trascorsi da pompiere e ambientando le sue avventure nella propria città, Trieste. Da un lato, i suoi romanzi sono precisi e corretti nella descrizione delle procedure delle forze dell'ordine, dall'altro però mostrano il difetto di dare per scontato ciò che invece risulta poco familiare al lettore medio.

La Trieste di Ribezzi/Ravera è una terra di confine, non solo dal punto di vista geografico con il suo meltin' pot di cultura italo-slava, ma anche in senso temporale, con un passato che ancora permea il presente in cicatrici indelebili. Un senso di inquietudine trapela dalle vicende che si intrecciano con la Storia, portato sulle turbinose ali della Bora che non lascia scampo. Si ha l'impressione di ritrovarsi in un mondo a parte, dove le regole del vivere quotidiano hanno pieghe proprie e non rispondono alle consuetudini cui siamo abituati: in questo mondo accadono fatti altrettanto oscuri, spesso coperti dalla politica del dopo guerra - e verrebbe da chiedersi quale guerra, e se effettivamente si possa parlare di un "dopo". Questa Trieste affascinante e misteriosa incuriosisce chi vi si trova a confronto per la prima volta, e non solo, ma a fine romanzo questa curiosità non è stata pienamente soddisfatta. Speravo di trovare in questo primo lavoro le spiegazioni di tutti i punti che erano rimasti in sospeso durante la lettura del secondo, ma sono rimasta quasi a bocca asciutta.

Ancora una volta sono stata messa in difficoltà dai dialoghi serrati, spesso poco plausibili per i toni e le scelte lessicali che non hanno molto a che vedere con il parlato, e dalla quasi totale assenza di descrizioni utili a contestualizzare l'azione. Il numero dei personaggi non aiuta a chiarire le idee e il fatto che compaiano tratteggiati rapidamente per poi essere nominati come vecchie conoscenze confonde ancora di più; ulteriore confusione è creata dalla tendenza a coinvolgere più caratteri nello stesso dialogo, senza specificare chi effettivamente stia parlando, costringendo il lettore a uno sforzo mentale per capire chi dice cosa.

La lettura lascia senza fiato per la velocità della narrazione che non concede pause di riflessione per lasciar sedimentare quanto appreso. A romanzo ultimato resta poco, come se le maglie del proprio colino della memoria fossero comunque troppo larghe per afferrare la sabbia finissima che Ribezzi ci offre: resta sì una grande confusione e l'impressione che la propria fame di lettore non sia stata saziata affatto.

Si sente infine la mancanza di un buon lavoro di editing, che avrebbe potuto tra l'altro ridurre la ridondanza di puntini di sospensione e dei punti esclamativi decisamente stucchevoli.

Giudizio:

+2stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Sette fine: la prima indagine dell'ispettore Ravera
  • Autore: Andrea Ribezzi
  • Editore: Ibiskos Editrice Risolo
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: Anthurium
  • ISBN-13: 9788854605695
  • Pagine: 324
  • Formato - Prezzo: Brossura - 12,00

Lo squalificato - Osamu Dazai

"Lo squalificato" (1948), uno dei romanzi più celebri della letteratura giapponese del ventesimo secolo, narra la storia di un uomo, Yozo, che, sentendosi rifiutato dalla società nella quale vive, deve affrontare una condizione esistenziale di estrema solitudine. Ciò che rende intensamente suggestive le "pagliacciate" escogitate da Yozo per sopravvivere tra i suoi simili, patetici i suoi tentativi di dedicarsi alla politica e tormentosi i suoi rapporti con le donne, è il senso di insuperabile ambiguità che domina l'intera esperienza da lui vissuta in bilico tra il piacere di infrangere il codice sociale e il sentimento di colpa per non sapersi adeguare a esso. La "squalifica" alla quale è condannato Yozo (nel cui problematico ritratto certamente si riflettono vicende di cui fu vittima lo stesso Dazai) acquista un senso diverso solo dopo la sua morte, quando l'autore sposta bruscamente e sapientemente il punto di vista narrativo fuori della coscienza del protagonista.

Recensione

Tutto passa.
Questa è la sola e unica cosa che a parer mio s’avvicini alla verità, nella società degli esseri umani, dove ho dimorato sin oggi come in un inferno rovente.
Tutto passa.

Viene facile accostare Dazai al più celebre Mishima: entrambi hanno scritto dei romanzi a forte tematica autobiografica, ed entrambi manifestano nei loro scritti lo stupore irreversibile per le trasformazioni in atto nella società giapponese del secondo dopoguerra.
Mentre, però, in Mishima lo straniamento viene estremizzato, unendosi alla sua combattuta omosessualità, in Dazai si presenta come straniamento dal se stesso. Il giovane Yozo, lungi dal capire una società estranea nella quale si ritrova catapultato, non riesce nemmeno a comprendere se stesso. Non a caso, Dazai ha uno stile narrativo completamente diverso da quello, fortemente lirico ed emotivo, di Mishima: malgrado la scelta della prima persona, la narrazione è distante e distaccata dagli eventi e dagli stati d'animo del protagonista.

Per quanto riguarda la trama, potrebbe pure sembrare un romanzo di formazione un po' alla occidentale: l'abbandono degli studi, le ubriacate notturne, la continua ed esasperata ricerca del sesso, i tentati suicidi. Ma è con uno spirito completamente diverso che il protagonista affronta tutto ciò.

Ciò che caratterizza, ancora, egualmente Dazai e Mishima, è il problema del contatto con l'altro, dello scontro tra individuo e società. Dazai, se possibile, ne è maggiormente ossessionato: lo si comprende bene nella seconda parte del romanzo, quando i dialoghi tra i personaggi diventano occasione di pure disquisizioni. E così, una volta concluso che la società "non è altro che individuo", al protagonista appare chiara la profonda contraddizione, e finalmente riesce a specchiare il suo io sfuggente nella società altrettanto sfuggente ed ambigua: "l'incomprensibilità della società è l'incomprensibilità dell'individuo". Ciò gli fa apparire vana la sua consolidata abitudine a recitare una parte, a vivere come se la vita fosse solo uno spettacolo, a fare finta di essere umano. Il mondo così gli appare "un luogo d'orrore insondabile", un mondo nel quale non c'è posto per lui, "squalificato" come essere umano.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Lo squalificato
  • Titolo originale: Ningen shikkaku
  • Autore: Osamu Dazai
  • Traduttore: M. Bonsanti
  • Editore: Feltrinelli
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: Universale Economica Feltrinelli
  • ISBN-13: 9788807721250
  • Pagine: 150
  • Formato - Prezzo: Brossura - 7.50 Euro

28 ottobre 2010

L'idealista - Geraldine Brooks

"Piccole donne" di Louise May Alcott si apre con le sorelle March che, all'approssimarsi del Natale, rivolgono un pensiero accorato al loro padre lontano. Un anno dopo, alla fine del libro, il signor March torna a casa dalle ragazze. Ma cosa gli è successo nel frattempo? E cosa gli ha lasciato l'esperienza della guerra cui ha partecipato? Il romanzo di Geraldine Brooks colma, appunto, questa lacuna ispirandosi alla figura realmente esistita del padre della Alcott, Bronson, uno degli esponenti - con Thoreau ed Emerson dell'idealismo americano del XIX secolo. Il risultato non è né una biografia, né una continuazione di "Piccole donne" ma un romanzo storico in sé concluso.

Recensione

Puntavo questo libro da tempo, ma questa volta la Brooks mi ha un po' delusa. L'idea di base è quella, già sfruttata da altri scrittori, di prendere il personaggio secondario di un romanzo famoso e trasformarlo nel protagonista della propria opera. Una fanfiction, insomma, in cui il romanzo ispiratore è in questo caso Piccole Donne della Alcott e il personaggio promosso a protagonista è quel signor March che nel romanzo originale compare solo negli ultimi capitoli essendo impegnato come cappellano nella guerra civile americana.

La Brooks si chiede appunto quale sia stata la vita di Robert March in quell'anno passato al fronte, e ripercorrendo l'odissea del cappellano e i suoi disperati tentativi di portare conoscenza e istruzione agli schiavi liberati, offre uno spaccato della realtà selvaggia e violenta della guerra e delle mille ipocrisie e contraddizioni della realtà dello schiavismo. Per quanto riguarda questo aspetto il libro è costruito molto bene, anche perché l'autrice è stata per diversi anni corrispondente di guerra, prima di diventare romanziera, e questo le permette di descrivere questo tipo di realtà in modo realistico e convincente.

L'elemento debole del romanzo sta, a mio parere, nella scelta di affidare la narrazione allo stesso March, che ripercorre il suo anno in guerra in prima persona, alternandolo a flashback della propria gioventù di giovane idealista in viaggio per gli Stati Uniti in cerca di fortuna. Il problema sta appunto nel fatto che Robert March sembra un compendio di tutti gli aspetti peggiori dell'idealismo e non tenta certo di nasconderlo. Pur animato da ottime intenzioni rimane cieco a qualunque esigenza della realtà pratica, facendo più spesso danno che bene a coloro che lo circondano; nella rigidità delle sue convinzioni non si accorge di peccare di arroganza e supponenza, sempre pronto a giudicare gli altri e desideroso di proporsi come maestro per correggere i loro difetti. Lui, in compenso, a venti come a quarant'anni è sempre lo stesso, mai un dubbio lo sfiora sull'opportunità delle sue azioni. Particolarmente irritante è l'atteggiamento paternalista con cui parla della moglie, del suo carattere impetuoso e a volte collerico che lui si impegna premurosamente ad educare e correggere.

Il libro migliora nell'ultima parte quando il punto di vista diventa quello della signora March. Attraverso i pensieri della donna riemerge la narratrice che avevo imparato a conoscere nei precedenti romanzi e che si era così ben camuffata sotto le spoglie del pedante cappellano. Questo colpo di coda finale è un piccolo capolavoro dell'autrice che, trasmettendoci i pensieri della coraggiosa Mamie, ribalta totalmente la prospettiva e getta una nuova luce sull'idealismo del marito, capace di grandi slanci di eroismo verso perfetti sconosciuti ma cieco di fronte ai disagi e alle sofferenze della sua famiglia.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: L'idealista
  • Titolo originale: March
  • Autore: Geraldine Brooks
  • Traduttore: C. Gabutti
  • Editore: Neri Pozza
  • Data di Pubblicazione: 2005
  • Collana: I narratori delle tavole
  • ISBN-13: 9788854500273
  • Pagine: 319
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 16,00

26 ottobre 2010

Tancredi presenta: Michael Cunningham, la morte e l'amore

«È questo quello che facciamo. È questo che le persone fanno. Sopravviviamo per gli altri.»


Vita

Michael Cunningham nasce nel 1952 a Cincinnati, Ohio, nel cuore dell’America rurale e provinciale. Da giovane si trasferisce poi a Pasadena, California, e dopo qualche breve transizione a Chicago e in Germania si stabilisce definitivamente a New York. Il luogo in cui vive Cunningham è importante, perché il diverso sfondo sociale non mancherà di caratterizzare i suoi romanzi, dalla soffocante vita di provincia in Ohio e California alla frenesia metropolitana di New York. Da giovane trova nella musica rock la sua principale strada di espressione, a quindici anni rimane folgorato dalla lettura di Mrs. Dalloway di Virgina Woolf: non ci metterà molto a capire la sua vera strada, e all’Università sceglie di studiare letteratura inglese. Ultima esperienza fondamentale è quella delle comunità gay negli anni Ottanta, in anni, cioè, in cui è emerso con drammaticità il problema dell’AIDS. Cunningham non manca mai di ricordare nelle interviste come sia rimasto segnato dalle sue esperienze in quegli anni, da rapporti di travolgente passione e dalla morte di un caro amico, malato, appunto, di AIDS.



Opere

E’ negli anni Ottanta che inizia a scrivere. Il 1984 segna il suo esordio letterario: Golden States è un romanzo accolto tiepidamente dalla critica e che non conosce un gran successo, finendo fuori stampa dopo la prima magra tiratura. Considerato dall’autore stesso un esercizio di stile giovanile e niente più, racconta la storia di David, un adolescente che vive con la madre e con le sorelle, i cui giorni, nella California dei primi anni Ottanta, sono pieni di attenzione e preoccupazione verso l’amatissima famiglia. La narrazione è in terza persona, e nulla lascia presagire le future scelte stilistiche e narrative dell’autore.

Il successivo Una casa alla fine del mondo del 1990 segna il primo timido passo di uno scrittore ormai adulto, pronto ad avventurarsi in territori narrativi e stilistici inauditi. La monotonia della narrazione viene spezzata nell’alternarsi di ben quattro punti di vista, che però rimangono espressi ancora in terza persona. Più audace, forse, la scelta della trama: il romanzo narra la storia di due amici, Jonathan e Bobby, che vivono una inconsapevole storia d’amore, prima, stretta nei confini delle loro esperienze adolescenziali e, successivamente, confinata in un impossibile rapporto a tre. Ai due si aggiunge Claire, amante platonica di Jonathan e madre della figlia di Bobby: da questi presupposti prende avvio il loro esperimento di vita alternativa, di famiglia allargata fuori dai schemi che vive in una casa “alla fine del mondo”. Di nuovo, dunque, l’ambiente domestico, la valenza dell’istituzione della famiglia: protetta ossessivamente nel primo romanzo, adesso ne viene rivelata l’inevitabile vacuità. Ma la morte, tema portante dell’intera produzione di Cunningham, è sempre dietro l’angolo: l’esperimento di vita alternativa è destinato a fallire, Rebecca, figlia di tre genitori, viene portata via dalla madre, e sostituita con Erich, malato di AIDS.

Cinque anni dopo, puntuale, il nuovo romanzo: Carne e sangue. Dopo aver sperimentato il fuoco multiplo Cunningham vi attinge pienamente, scrivendo un romanzo che è una grande epica familiare: cento anni di storia americana dagli anni Trenta fino ad un lontano futuro attraverso gli occhi di un’intera famiglia popolata di uomini spregiudicati, donne traditrici, malati di AIDS, ragazzi gay e casalinghe depresse. E’, questo, il suo romanzo più prettamente americano, in cui lo sfondo sociale si erge a personaggio ulteriore, compartecipe di questa grande storia tragica.

Con Le Ore, Premio Pulitzer 1999, Cunningham compie il grande balzo. Le Ore è, finalmente, una rivelazione letteraria, che porta l’autore ad essere, da scrittore di nicchia con un’esigua schiera di ammiratori, a scrittore tradotto in tutto il mondo. Al successo del libro si aggiunge quello del film. Le Ore è, finalmente, la liberazione di un Cunningham fino ad allora trattenuto: lo scrittore scopre finalmente la narrazione in prima persona e si lascia andare al suo sogno adolescenziale più nascosto, scrivere della sua amata musa, Virginia Woolf. Il celebre romanzo attraversa un singolo giorno della vita di tre donne: la Woolf, colta nella redazione del suo celebre Mrs. Dalloway; Laura Brown, casalinga disperata degli anni Cinquanta che legge il romanzo della Woolf e che – su ammissione dello stesso Cunningham – finì col somigliare fin troppo alla madre dell’autore; Clarissa “Dalloway” Voughn, lesbica in carriera alla fine degli anni Novanta, divisa tra l’amore per la sua compagna e la devozione verso Richard, poeta gay malato di AIDS. Le Ore è, insomma, la piena realizzazione del percorso di scrittura di Cunningham, un percorso che sembra, in realtà, averlo riportato a sé stesso: è, insomma, un vero e proprio nuovo esordio letterario. Da allora i giornalisti, i critici ed i lettori non smetteranno di bersagliarlo di domande, di chiedergli, soprattutto, perché mai un uomo gay senta il bisogno di scrivere un romanzo su tre donne, una delle quali è la scrittrice Virgina Woolf; e la risposta non si fa attendere: “Virginia c’est mois”, dice Cunningham senza alcun timore. In realtà non è solo Virginia, ma anche Clarissa, e soprattutto Richard, ammettendo che c’è lui stesso dentro ogni suo singolo personaggio in egual misura.

Successivamente Cunningham pubblica un libricino, Dove la terra finisce, metà saggio e metà racconto nel quale descrive la vita della cittadina di Provincetown. E intanto in Italia il suo editore, Bompiani, fa uscire nel 2003 un altro libricino, Mr Brother, che unisce due vecchi racconti (Mr brother, uno squisito gioco letterario e Puttana, un Cunningham insolitamente crudo) ad un saggio dell’autore sulla scrittura della sua amata Woolf.

Dopo questa parentesi, Cunningham torna a concepire un romanzo che si presenta come il gemello, per certi versi, di Le Ore. Giorni memorabili, del 2005, è un romanzo che condivide con il precedente almeno due elementi portanti: la struttura tripartita e l’omaggio letterario. Dopo Virgina Woolf, Cunningham omaggia il poeta americano Walt Whitman – ma al contrario della Woolf, Whitman non si fa personaggio (salvo un’accidentale apparizione in qualità di passante occasionale), ma è presente tramite la sua poesia, che fa da filo conduttore a più livelli. Appositamente rimaneggiata, la sua filosofia di esaltazione di un Io molteplice diviene messaggio chiave dell’intero romanzo, che pure attraversa ben tre epoche. Caso quanto meno eccezionale, il romanzo narra tre singole storie – questa volta in sezioni staccate, non più alternate – ambientate nella New York di fine Ottocento, nel nostro presente e infine in un lontano ed alieno futuro. Emerge allora, come vero tema centrale, la disumanizzazione: iniziata con l’industrializzazione alienante dell’Ottocento, proseguita con l’era tutta nostrana della paura e dei kamikaze e giunta, nel futuro immaginato da Cunningham, in un’umanità smarrita che cerca di definire se stessa nel confronto con gli alieni e con gli androidi.

Conferma di quello che sta emergendo come un vero e proprio trend personale, è appena uscito il nuovo lavoro di Cunningham, Al limite della notte, omaggio letterario rivolto a Thomas Mann e al suo celebre Morte a Venezia.



Commento

Nella variegata produzione letteraria di Michael Cunningham, che passa dal bildungsroman all’epica familiare all’omaggio letterario, si possono ravvisare una serie di evidentissimi e luccicanti temi portanti. A saltare immediatamente all’occhio è il forte gioco di contrasti: i personaggi di Cunningham sono continuamente stritolati tra due estremi, l’amore e la morte. A ben vedere, non si tratta di due assoluti contrapposti, ma di due facce della stessa medaglia. L’amore e la morte sembrano inevitabilmente connessi, e non solo perché l’AIDS – che nei suoi romanzi è sempre simbolo di morte ed elemento tragico – è una malattia associata alla sessualità: Cunningham giunge persino a definire l’amore stesso come un cancro che ti divora dall’interno (così in Carne e sangue). Ma non c’è solo questo: grande è la varietà dei personaggi e dei caratteri scolpiti dalla sua penna, immensa e mastodontica è la loro caratterizzazione – e per quanto diversi, sono tutti, in un modo o in un altro, inconsapevolmente o consapevolmente, per scelta personale o costretti dalla forza della tragedia, a cercare se stessi, a definire le loro identità, muovendosi tra le infinite fluttuazioni della loro sessualità, perennemente ambigua e, soprattutto, del loro essere.

Camera con vista - Edward Morgan Forster

Lucy Honeychurch e George Emerson sono i due protagonisti del romanzo di Edward Morgan Forster. Intorno alla loro contrastata vicenda sentimentale l'autore affronta uno dei suoi temi preferiti: quello del cuore non sviluppato e della lacerazione tra perbenismo ed emotività. E' l'anima stessa dell'Inghilterra, un'anima nordica, gotica, puritana, contrapposta allo spirito mediterraneo, gioioso, pagano e rinascimentale che i due protagonisti non a caso respirano proprio a Firenze, dove è ambientata la prima parte del libro.


Recensione

L'italiano in bocca agli italiani è un fiume dalla voce profonda, con inaspettate cataratte e scogli che lo preservano dalla monotonia.

Classico romanzo da comodino molto amato dalle donne in vena di romanticismi e, generalmente, altrettanto schivato dagli uomini a causa della perenne etichetta di ‘Romanzo d’amore’.
Sì. Ci siamo. Camera con vista è un romanzo che ha per protagonista la tipica donna inglese dell’età edoardiana, divisa tra due uomini diametralmente opposti e oppressa dalle convenzioni dell’epoca e dai tentativi di plagio delle donne di famiglia. Ma Camera con vista è anche il trampolino di lancio di un mostro sacro del modernismo quale Edward Morgan Forster, conosciuto al grande pubblico come autore del romanzo in questione e nient’altro (tranne, forse, Casa Howard), ma autore anche, si pensi un po’, di testi molto più pregni da un punto di vista storico e sociale come ad esempio Passaggio in India o Maurice.

Nota: la recensione conterrà più avanti anticipazioni sulla trama. Sono dell’opinione che pretendere di parlare di un classico del Novecento con un minimo di profondità prescindendo da scelte narrative che stanno alla base del messaggio del romanzo sia perfettamente inutile. Lettore avvisato.

Lucy Honeychurch, giovane di famiglia benestante in viaggio in Italia con la bigotta e nubile cugina Charlotte che le fa da chaperon, non è molto entusiasta del suo arrivo alla pensione Bartolini, a Firenze: la padrona, infatti, sebbene le avesse promesso due camere con vista sul Lungarno, provvede loro due sistemazioni più modeste del previsto. L’imperdonabile condotta degli Emerson, a tavola, la mette nelle condizioni di dover accettare uno scambio moralmente sconveniente: Mr. Emerson, infatti, ha offerto loro di sistemarsi nella camera sua e del figlio, con ampie finestre sulla vista desiderata dalle due donne.
Un approfondimento della conoscenza con i due signori rivela il carattere anticonformista dell’anziano inglese, che ha trasmesso i suoi principi al figlio George: gli Emerson sono schietti, atei, e hanno sempre sulla lingua opinioni originali su ogni cosa e persona: sono, insomma, estromessi dalla società benpensante dell’epoca. Uno sventurato accadimento avvicina Lucy e George, e quest’ultimo, durante un picnic sulle colline del Fiesole, si lascia andare a un comportamento vergognoso nei confronti dell’ingenua ragazza, che, spinta dalla cugina, decide di partire immediatamente da Firenze con destinazione Roma. Tornata in Inghilterra, Lucy accetta la proposta di matrimonio di Cecil, l’esatto opposto di George: quadrato, conformista, sprezzante nei confronti della famiglia di lei, acculturato ma senza alcuna apertura mentale. Lucy dimostra un temperamento vivace soffocato dalle persone che la circondano (non ultimo Cecil) che si ravviva quando George e il padre si trasferiscono casualmente poco distanti dal suo villino.

Camera con vista è un romanzo breve e non esattamente pregno di avvenimenti o di spiccate introspezioni; i personaggi non sono particolarmente indimenticabili e certo non vi si possono leggere grandi passioni d’amore comprensibili a un pubblico contemporaneo; è invece un buon romanzo che aiuta a comprendere la posizione delle ragazze di buona famiglia in un periodo in cui le suffragette (mai nominate nel romanzo, ma la cui ombra aleggia minacciosamente) stavano iniziando a incatenarsi alle ringhiere e a dare fuoco alle cassette postali per ottenere il diritto di voto. Lucy, che per tutto il romanzo è bocca di pensieri altrui (quelli della cugina; quelli della madre; quelli di Cecil e infine quelli degli Emerson), e che riesce a esprimere se stessa solo attraverso la musica, infine affronta le convenzioni sociali e familiari per rifiutare un matrimonio conveniente e sceglierne invece uno d’amore.

Il romanzo è interessantissimo per un altro aspetto: presenta l’Italia d’inizio Novecento vista dagli occhi di un inglese, sia pure anticonformista come Forster: in un luogo di passioni e di libera espressione, così lontano dalle imposizioni e dalla rigidità del mondo inglese, Lucy appare prima scioccata e poi conquistata dalla spontaneità degli italiani. E’ il suo viaggio in Italia che causa in lei i cambiamenti tali da poter ravvisare i limiti dell’Inghilterra (perché, si sa, un viaggio non è un viaggio se non permette di tornare a vedere con occhi nuovi il luogo di partenza) e, soprattutto, tali da poter comprendere e amare i colori dell’animo di George Emerson. Forster denuncia così le ipocrisie sociali dell’Inghilterra edoardiana, così come farà con le ipocrisie imperialiste in Passaggio in India.

Un ultimo appunto sullo stile di Forster: situandosi appena prima dell’epoca modernista (1908), il romanzo è molto classico (ancora ottocentesco) nello stile e nella forma. Accurato, ricercato, di tanto in tanto persino poetico: se non per la trama, consiglio questo romanzo per lo splendido effetto che fa se letto in poltrona con una tazza di tè, o, ancora meglio, su un prato assolato con un cestino da picnic.

Dal romanzo è stato tratto un famosissimo film di James Ivory con Helena Bonham Carter, Julian Sands e Maggie Smith.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Camera con vista
  • Titolo originale: A room with view
  • Autore: Edward M. Forster
  • Traduttore: M. Caramella
  • Editore: Mondadori
  • Data di Pubblicazione: 2001
  • Collana: Oscar classici moderni
  • ISBN-13: 9788804493839
  • Pagine: 242
  • Formato - Prezzo: Brossura - 9,00 Euro

23 ottobre 2010

Wild Cards. Le origini - AA.VV., Curato da George R.R. Martin con suoi contributi

New York, 1946: il virus alieno Wild Cards stermina gran parte della popolazione. I sopravvissuti vengono colpiti da mutazioni genetiche: la maggioranza - i Joker - restano orribilmente sfigurati, pochissimi invece pescano l'asso e acquistano poteri da supereroi. Da questa realtà alternativa George R.R. Martin ha fatto nascere, insieme a una rete di scrittori impegnati in un gioco di ruolo, un romanzo a mosaico destinato a espandersi, nei molti volumi della serie, in un vero universo narrativo. Buoni o malvagi, i supereroi - l'ambiguo e astuto Dr. Tachyon, il misterioso Croyd Crenson, e poi Cap'n Trips, Bagabond, Sewer Jack, Puppetman - alternano avventure mozzafiato e scene di vita quotidiana, esibiscono poteri impensabili e umanissimi vizi e virtù, si rivelano come simboli e avatar delle nostre fantasie più sfrenate.

Recensione

Poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1946, in una base dell’esercito americano atterra un oggetto volante insolito che, per quel che ne si sa, potrebbe anche appartenere ai tedeschi. L'essere che ne scende, dall'aspetto indubbiamente umano ma dai bizzarri costumi, asserisce di essere un alieno di nome Tachyon (che in realtà è l'abbreviazione del suo lungo nome) e di venire per mettere in guardia la Terra: il Wild Card, portato da scienziati del pianeta Takis per testarlo sugli esseri umani, risulta disperso a causa dello scontro che ha ingaggiato con i suoi simili per impedire loro una simile barbarie.

Il Wild Card è un virus che agisce a livello genetico: può rimanere allo stato latente oppure agire sul DNA dell'organismo ospite causando varie conseguenze; alcuni degli infetti, i più, muoiono immediatamente e in modo atroce; altri, i Joker, subiscono mutazioni immediate che li trasformano in orrendi freaks più o meno umanoidi; pochi di loro, infine, gli Aces, sviluppano poteri tra i più disparati. C'è chi consegue la levitazione a vari gradi di potenza, chi può passare attraverso le pareti, chi sviluppa capacità telecinetiche che variano dallo spostare una monetina al far volare un carrarmato; c'è chi può leggere nel pensiero, chi può influenzare gli umori, chi può prevedere il futuro. Il virus affetta la popolazione americana in varie ondate, e ci sono testimonianze della sua diffusione oltreoceano; questo primo volume copre i decenni '50-'80, ripercorrendo varie fasi della storia politica e culturale americana opportunamente riviste in chiave fantascientifica-urban fantasy.

Formulare un giudizio su un'antologia a cui hanno lavorato circa tredici autori diversi è, comprenderete, difficoltoso. Diverso è il livello di ognuno di loro, diverso il taglio del racconto: alcuni si mantengono nell'ambito del privato, presentando normali cittadini americani che in un dato momento della loro vita sviluppano il virus, ma i più sono smaccatamente politici, e si concentrano sulle feroci repressioni degli Aces filocomunisti (o semplicemente sospettati di esserlo), sul loro impiego 'per il bene della nazione', sul nuovo ruolo sociale dei Jokers che sono diventati, naturalmente, la nuova feccia della società americana; copevoli soltanto di aver sviluppato orrende mutazioni, sono stati relegati all'interno di un nuovo ghetto, Jokerville (la nuova Harlem), di fatto zona franca priva di leggi, squallida e sporca, povera e traviata, senza che il governo tenti in alcun modo la loro tutela o integrazione. I racconti s’intrecciano a vari livelli, presentando più facce della stessa moneta o recuperando personaggi precedentemente nominati (il Dottor Tachyon, tanto per nominarne uno, rimasto sulla Terra in aiuto degli infettati), sviluppandoli maggiormente o mostrando la loro sorte diverso tempo dopo la loro prima apparizione.

Tutti i racconti variano tra le trenta e le sessanta pagine: né troppo brevi da concludersi indegnamente, né troppo lunghi da annoiare. L’antologia, inoltre, è divisa in sezioni frammezzate da intermezzi usciti direttamente dalla penna di George Martin, che ha anche scritto uno dei racconti più lunghi (non uno dei migliori, ahimè) di questo primo capitolo della saga, nonché Prologo ed Epilogo: articoli di giornale, estratti da conferenze, testimonianze registrate, il tutto a rendere l’universo di Wild Card il più realistico possibile.

Non è nulla di particolarmente originale, né un capolavoro della letteratura: i debiti ai fumetti americani, soprattutto a X-Men (naturalmente) si sprecano, ma è un esperimento interessante e una lettura che, se si chiudono entrambi gli occhi sui molti refusi dell’edizione Rizzoli, risulta dilettevole e gustosa.

Tra gli autori del primo volume dell’antologia, oltre al già citato Martin, figurano Howard Waldrop, Walter Jon Williams, Melinda M. Snodgrass, David D. Levine, Lewis Shiner, Victor Milàn, Edward Bryant, Leanne C. Harper, Stephen Leigh, Carrie Vaughn e John J. Miller.

Un po’ di storia su Wild Cards:
L’antologia, come narrato da Martin nell’Epilogo al primo volume, nasce da una sessione di gioco a SuperWorld (una sorta di Dungeons&Dragons versione Urban Fantasy) di George R.R. Martin con altri colleghi scrittori. Tra il 1985 e oggi sono usciti numerosi volumi, tutti curati da Martin, ma non tutti contenenti un suo contributo:

  • Wild Cards I (1987)
  • Wild Cards II: Aces High (1987)
  • Wild Cards III: Jokers Wild (1987)
  • Wild Cards IV: Aces Abroad (1988)
  • Wild Cards V: Down & Dirty (1988)
  • Wild Cards VI: Ace in the Hole (1990)
  • Wild Cards VII: Dead Man's Hand (1990)
  • Wild Cards VIII: One-Eyed Jacks (1991)
  • Wild Cards IX: Jokertown Shuffle (1991)
  • Wild Cards X: Double Solitaire (1992)
  • Wild Cards XI: Dealer's Choice (1992)
  • Wild Cards XII: Turn of the Cards (1993)
  • Wild Cards: Card Sharks (1993) (Book I of a New Cycle trilogy)
  • Wild Cards: Marked Cards (1994) (Book II of a New Cycle trilogy)
  • Wild Cards: Black Trump (1995) (Book III of a New Cycle trilogy)
  • Wild Cards: Deuces Down (2002)
  • Wild Cards: Death Draws Five (2006)
  • Wild Cards: Inside Straight (2008) (Book I of the Committee triad)
  • Wild Cards: Busted Flush (2008) (Book II of the Committee triad)
  • Wild Cards: Suicide Kings (2009) (Book III of the Committee triad)
  • Wild Cards: Fort Freak (in uscita) (romanzo autoconclusivo)

Non si ha notizia, al momento, se la Rizzoli abbia acquistato i diritti per tutti i volumi o momentaneamente solo per il primo.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Wild Cards. Le origini
  • Titolo originale: Wild Cards
  • Autore: AA.VV. - Curato da George R.R. Martin
  • Traduttore: Bentsik R., Benucci Serva A.
  • Editore: Rizzoli
  • Data di Pubblicazione: 2010
  • Collana: HD
  • ISBN-13: 9788817041188
  • Pagine: 566
  • Formato - Prezzo: Rilegato, sovraccoperta - 16,00 Euro

21 ottobre 2010

Un giorno questo dolore ti sarà utile - Peter Cameron

James ha 18 anni e vive a New York. Finita la scuola, lavoricchia nella galleria d'arte della madre, dove non entra mai nessuno: sarebbe arduo, d'altra parte, suscitare clamore intorno a opere di tendenza come le pattumiere dell'artista giapponese che vuole restare Senza Nome. Per ingannare il tempo, e nella speranza di trovare un'alternativa all'università («Ho passato tutta la vita con i miei coetanei e non mi piacciono granché»), James cerca in rete una casa nel Midwest dove coltivare in pace le sue attività preferite — la lettura e la solitudine —, ma per sua fortuna gli incauti agenti immobiliari gli riveleranno alcuni allarmanti inconvenienti della vita di provincia. Finché un giorno James entra in una chat di cuori solitari e, sotto falso nome, propone a John, il gestore della galleria che ne è un utente compulsivo, un appuntamento al buio... I puntini di sospensione sono un espediente abusato, ma in questo caso procedere oltre farebbe torto a uno dei pochi scrittori sulla scena che, come sa bene chi ha amato Quella sera dorata, chiedono solo di essere letti. Anticipare le avventure e i pensieri di James rischierebbe di mettere in ombra la singolare grazia che pervade questo libro, e da cui ci si lascia avvolgere molto prima di riconoscere, nella sua ironia inquieta e malinconica, qualcosa che pochi sanno raccontare: l'aria del tempo.

Recensione

Era da tanto che non leggevo un romanzo simile! Sono contento, perché questo romanzo è la prova che la narrativa adolescenziale non è morta, anzi.

Potrei sposare un parere abbastanza comune in quelli che hanno letto questo romanzo: è il degno erede del giovane Holden. Ma sarebbe riduttivo; non sarebbe giusto né per il romanzo di Salinger (che non può avere eredi!) né per Cameron, perché il suo libro va ben oltre il genere del romanzo di formazione. Il protagonista, il linguaggio, lo stile, la narrazione: tutto è diverso.

"Un giorno questo dolore ti sarà utile" è il tentativo, consapevolmente riduttivo, di dipingere l'adolescenza, o meglio, quel momento di passaggio tra adolescenza e.. non dico età adulta, quanto piuttosto "futuro incerto post-liceale". Lungi dal voler descrivere le dinamiche psicologiche DELL'adolescente maschio comune, l'autore sceglie un protagonista alquanto particolare, per descrivere i suoi personalissimi problemi e pensieri ed angosce ed aspettative.

Interessante la narrazione: segue il modello del diario, ma si sdoppia su due piani temporali diversi (l'inizio dell'estate, subito dopo la fine delle superiori, e qualche mese prima). Come se non bastasse, la narrazione è ben congegnata, permette all'autore di toccare tutti i punti che gli interessano senza forzare la trama. Bellissimi, a proposito, i dialoghi tra il protagonista e la psicologa: paranoie adolescenziali miste a libere divagazioni, che passano anche per mere disquisizioni linguistiche.

Lo stile non è da meno: sembra dominare il tutto un atteggiamento disilluso e distaccato, particolarmente raffinato, che ripetutamente sfiora l'ironia. Ogni singola parola segue perfettamente questo stile, che compone pezzo per pezzo la visione del mondo e della vita del protagonista.

Anche il finale mi è piaciuto, per quanto semplice. Nessun effetto a sorpresa, nessuna esagerazione: solo un salto più avanti nel tempo, quando il protagonista ha imparato a lottare contro le sue paure ed ha capito che, davvero, "un giorno questo dolore sarà utile".

P.S. nota di demerito per l'Adelphi: come al solito chi ha scritto la quarta di copertina non ha capito niente del libro.

Giudizio:

+5stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Un giorno questo dolore ti sarà utile
  • Titolo originale: Someday This Pain Will Be Useful To You
  • Autore: Peter Cameron
  • Traduttore: G. Oneto
  • Editore: Adelphi
  • Data di Pubblicazione: 2007
  • Collana: Fabula
  • ISBN-13: 9788845921810
  • Pagine: 206
  • Formato - Prezzo: Brossura - 17,50 Euro

La caduta dell'aquila - Conn Iggulden

Per alcuni Cesare è il nome di un traditore della patria, per altri quello di un eroe. Un destino stranamente ambiguo per un uomo che non è abituato a esitare. Che ha attraversato il Rubicone e ha marciato verso Roma, suscitando l'ira di Pompeo e del Senato. Ora i suoi avversari non sono più barbari da sottomettere nel nome della Repubblica, questa volta è contro la sua gente che dovrà combattere. In campi di battaglia che, ancor prima del suo arrivo, già risuonano della sua fama, tra la Grecia, l'Asia e l'Egitto, si ammanterà di nuove vittorie. Saranno anni intensi e dolorosi. Solo al termine di lunghe peregrinazioni potrà tornare a Roma in trionfo, e qui gettare le basi di quello che diverrà il più grande Impero di tutti i tempi. Ma quanto più in alto vola l'aquila, tanto più rovinosa è la sua caduta, quando la storia ha deciso un epilogo che sembra non rendere giustizia.

Recensione

Narra la leggenda che, non appena fondata la città di Roma, i due fratelli Romolo e Remo presero a litigare su chi dovesse regnarvi. La disputa si risolse, come tutti sappiamo, con l'assassinio di Remo da parte del suo gemello. La guerra fratricida, la lotta interna sembra quindi già inscritta nel destino di Roma fin dalle sue origini. La guerra civile cui Iggulden dedica buona parte del romanzo va intesa proprio in quest'ottica, come una guerra tra fratelli: Cesare si ritrova a combattere contro Pompeo, suo concittadino, suo genero, suo alleato fino a poco tempo prima. Allo stesso modo i due schieramenti sono composti da persone che posseggono le stesse armi, le stesse tecniche di combattimento, lo stesso sangue romano.

La figura di Cesare prevale su tutte le altre perché è l'unica che riesce a restare saldo in mezzo al caos: lui rimane lucido, appronta piani, tattiche, tranelli, piange perfino, è clemente e spietato al tempo stesso. L'autore riesce davvero a rendere la complessità della sua personalità. Cesare sembra desiderare ardentemente il ritorno a Roma ma continua a rimandarlo imbarcandosi in mille nuove avventure e quando finalmente si ritrova nella sua città non ne è appagato, pensa che il ricordo, la nostalgia che ne provava gliela rendessero immensamente più cara: "Quando Roma era a mille miglia a Occidente, gli era facile vederne la gloria e apprezzare la grandezza del suo insegnamento, delle sue invenzioni, dei suoi scambi. [...] L'immagine interiore di Roma si sfracellava contro la dura verità, e allora sentiva acuto il desiderio di andarsene lontano lasciandosi tutto alle spalle". Il Cesare che Iggulden tratteggia in questo romanzo non è solo un condottiero valoroso che combatte per la sua città o per il potere personale, Cesare combatte per qualcosa di più: per sentirsi vivo, perché non può farne a meno, perché nonostante i suoi trionfi non prova quella soddisfazione che si era aspettato di provare. Sembra quasi una raffigurazione dell'uomo moderno sempre insoddisfatto, sempre alla ricerca di qualcosa, incapace di fermarsi e godere di ciò che ha conquistato.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: La caduta dell'aquila
  • Titolo originale: Emperor. The Gods of War
  • Autore: Conn Iggulden
  • Traduttore: Gianna Lonza
  • Editore: Piemme
  • Data di Pubblicazione: 2007
  • Collana: Pocket
  • ISBN-13: 9788838433535
  • Pagine: 429
  • Formato - Prezzo: Brossura - 6.50 Euro

20 ottobre 2010

Le Benevole - Jonathan Littell

Maximilian Aue dirige una fabbrica di merletti nel Nord della Francia, la guerra è ormai lontana. È nato in Alsazia da madre francese: parla così bene la lingua materna che non ha avuto difficoltà a nascondere, durante il caos del dopoguerra, il suo passato da ufficiale delle SS. Racconta la sua storia senza alcun rimorso.
Infanzia in Francia, studi di diritto e di economia politica in Germania: il giovane Maximilian è intelligente, colto, omosessuale (in lui l'omosessualità si lega all'incesto, all'amore morboso per la sorella). Sorpreso in un luogo compromettente, viene salvato da un giovane SS che lo prende sotto la sua protezione: Max entra nelle SS anche perché è affascinato dall'ideologia nazista. Dopo essere stato a Parigi, passa sul fronte orientale: in qualità di ufficiale redige rapporti per i vertici del Reich sull'avanzare della campagna di Russia. Ferito alla testa a Stalingrado, si salva per miracolo e diventa un eroe nazionale.
In seguito lavora a stretto contatto con Himmler per riorganizzare i campi di concentramento, e viene spedito a cercare in Ungheria manodopera per le industrie belliche. A Berlino, sotto le bombe, si dedica alla scherma e al nuoto; assiste ai concerti diretti da Karajan e Furtwängler; ha una sterile storia sentimentale con una donna. Dopo un tentativo di fuga in Pomerania, ritorna nella capitale e vive il crepuscolo del nazismo.

Recensione

Accingersi a scrivere qualcosa su un libro come 'Le benevole' fa sentire come sull'orlo di un buco nero: più ci si avvicina all'orlo dell'abisso, più ci si sente attratti dalla curiosità e avvinti dal desiderio di saperne di più.

L'ufficiale delle SS, Herr Obersturmbahnfuhrer Aue, è uno di quei personaggi che entrano pericolosamente dentro il lettore: il suo racconto degli ultimi tre anni della 2a guerra mondiale, dall'invasione nazista dell'URSS - l'operazione Barbarossa - al crepuscolo degli dei con il crollo del III Reich è un capolavoro che si avvinghia a chi legge, impedendogli di chiudere il libro finché il sonno non prevale, e si erge sugli albori del terzo millennio proiettando un'ombra sinistra che si allunga dal secolo breve, ancora minacciosa.

La parabola dell'ufficiale, ascendente nella carriera e discendente nell'inferno dell'animo umano, comincia con l'invasione dell'Ucraina da parte delle Panzer Division tedesche: la sua adesione alle SS era cominciata in patria, attraverso canali legati all'Università di giurisprudenza e in modo quasi casuale. Aue è affascinato dall'ideologia del corpo scelto creato da Himmler ma in modo molto teorico: il suo è un animo 'nobile', con fortissimi interessi letterari e artistici, umanistici in senso lato e profondo, capace di sensazioni intense ed estremamente sensibile. Stringe legami con personaggi colti all'interno delle SS, uno di questi è il suo protettore, che lo salva da un arresto a Berlino, in un luogo di incontri omosessuali.
Aue non si rende conto delle implicazioni antisemite delle politiche hitleriane finché non si ritrova con una pistola in mano, in un villaggio sperduto della campagna bielorussa, dentro una fossa, immerso nel fango mischiato al sangue degli ebrei sottoposti alla soluzione finale.
A questa caduta, graduale ma consapevole - e per questo ancora più terribile -, nell'abisso dell'orrore dell'Olocausto si intreccia quella personale legata alla storia famigliare di Herr Aue: è l'abisso invocato dall'abisso di biblica memoria.
Ma quale dei due abissi invoca l'altro? Quale orrore rispecchia e trasfigura l'altro, in un legame di sadica reciprocità?

La storia si dispiega in momenti diversi come variazioni su un tema musicale omogeneo, come suggerisce la suddivisione del romanzo in capitoli coi nomi di composizioni musicali: la musica è però quella della danza di Macabrè, una sinfonia di folli, intonata da un idiota, che non significa nulla.
Dopo la fase tragica dell'avanzata nell'entroterra sovietico, ferito alla testa, Aue, grazie anche alla protezione, sgradita ma non rifiutata, di due oscuri personaggi berlinesi, si gode un periodo di convalescenza sul Caucaso, nelle retrovie. Molto di questa fase del racconto è dedicato alla dotta disputa sulle origini di una popolazione caucasica di religione ebraica: se da una parte gli ufficiali più intransigenti vorrebbero dimostrarne i legami etnici con il popolo ebreo per giustificarne l'eliminazione, altri, tra cui Aue e il suo amico, ricercatore di lingue orientali e semitiche, Paul Voss, cercano di sventare questa ricostruzione per salvare la tribù caucasica di convertiti, ma senza esporsi all'accusa di collaborazionismo filogiudaico.
Il dibattito che vede il suo culmine in un processo 'politico' di profondissima erudizione storica sarebbe comico se le sue implicazioni non fossero tragiche: e la descrizione degli orrori cui Aue aveva assistito e - volente o nolente - preso parte in Ucraina e Bielorussia lo rendono paradossalmente credibile.

I segni lasciati da queste vicissitudini sulla psiche dell'ufficiale rimangono ferite sempre aperte nella carne viva e si sommano alle vicende famigliari di incesto, l'amore frustrato e sempre rincorso per la sorella, sublimato nell'autodegradazione e nella ricerca ossessiva di incontri omosessuali. Man mano che la psiche si sfalda, si scinde, si dilania nell'orrore, di cui il Nazismo è solo una forma esteriore, Aue sperimenta un malessere sempre più fisico, non riesce a mangiare nulla senza subire coliche e continue febbri lo consumano.

La caduta fisica e psichica subisce solo una battuta d'arresto nella suite caucasica, ricca di digressioni dotte: guarito dala ferita, persa l'amicizia con Voss e inimicatosi parte della gerarchia delle SS sull'ortodossia rispetto alla soluzione finale della 'questione ebraica', Aue finirà nell'occhio del ciclone di Stalingrado. La salvezza, una fuga rocambolesca che lo riporta in una Berlino ormai in vicinanza dell'assedio sovietico, sembra quasi una maledizione.
Aue si ritrova, ancora una volta e in parte suo malgrado, a far parte della diabolica ed efficiente macchina della Shoah. Che, vista dalla cornice deformante della scrivania dei burocrati ministeriali addetti all'organizzazione dello sterminio, assume dei contorni se possibile ancora più atroci...

Il ritmo di quella che è ormai divenuta una 'danza della morte' subisce nella parte finale di questo capolavoro un'accelerazione parossistica: così anche il disfacimento dell'io narrante diventa più veloce, come se avvicinandosi all'orlo dell'abisso, la sua attrazione fosse sempre più irresistibile. Dal vuoto simulacro di relazione con una giovane berlinese, da cui l'orrendo Aue riesce a farsi amare sinceramente, alla fuga in Pomerania, quasi incontro all'invasore sovietico, l'orrore delle fasi finali della guerra si tinge anche di ridicolo, come avviene per l'incontro faccia a faccia con un Hitler, molto vicino al ritratto che si può trovare nel recente docu-film 'La caduta', che precipita la dimensione fantastica della narrazione nel dramma della realtà storica. L'autodistruzione in una Berlino da 'anno zero', senza speranze neppure per i bambini, è l'unica via di fuga.

La fine, in tutti i sensi, del romanzo mostra invece che per Aue non c'è possibilità di salvezza: per lui se anche le Erinni si trasformano in Eumenidi - le Benevole del titolo, riprese dall'Orestea di Eschilo dove però l'orizzonte finale è armonico - non c'è scampo al dolore atroce della consapevolezza.

Giudizio:

+5stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Le Benevole
  • Titolo originale: Les Bienveillantes
  • Autore: Jonathan Littell
  • Traduttore: Margherita Botto
  • Editore: Einaudi
  • Data di Pubblicazione: 2007
  • Collana: Supercoralli
  • ISBN-13: 9788806187316
  • Pagine: 953
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 17,00

16 ottobre 2010

Intervista a Giusy de Nicolo, autrice di Porcaccia, un vampiro!

L'autrice

Giusy de Nicolo, classe '73, è nata e vive in Puglia. Nel 2003 ha vinto il concorso Giallo Wave con il racconto "Nel covo dei rapitori", soggetto e cosceneggiatura del corto "Daccapo" in concorso al RIFF 2007. Nel 2009 ha pubblicato il romanzo a puntate "SweetDreams" sulla rivista "Voce del Pololo".





Il libro

"Allora Andrea Magli" iniziò, "ho due possibilità, ti uccido o ti lascio andare. Tu che consigli?" "Io... per favore... non..." "Lo immaginavo" sorrise.
Pasta al burro a fine mese. Una città hard rock come Bari. La faida dello zerbino con la famiglia del secondo piano. Andrea "Cespuglio" Magli è uno studente con la sindrome del criceto. Ludovico, dark e fascinoso, sembrerebbe l'ideale per toglierlo dalla gabbia, se non fosse un vampiro pericolosamente bisex e per giunta nel mirino del racket.



L'intervista



Quest'oggi vi presentiamo quattro chiacchiere con Giusy de Nicolo. L'intervista, noterete subito, ha un tenore diverso da quelle solitamente pubblicate su questo blog: per una volta, visto il tono del romanzo di Giusy, sono stati abbandonati i toni professionali e abbiamo preferito una chiacchierata senza peli sulla lingua, che a volte sfiora il triviale, ma che non abbandona mai l'ambito della letteratura. Sperando che l'amore per il sarcasmo di intervistata e intervistatrice non urti nessuno, vi lascio all'intervista.
1. Di solito le interviste iniziano coi complimenti. Questa inizia con un GRAZIE (tutto maiuscolo) per non averci rifilato l'ennesimo vampiro harmony-bimbominkia. Visto che siamo in tema -e visto che da un po' avevo voglia di parlarne qui sul blog-: puoi dirci cosa pensi del filone? Su quali classici vampireschi ti sei formata e cosa ne pensi del modo in cui si è evoluto il genere?

Ma PREGO! Per onestà, devo comunque ammettere che non avrei potuto scriverne uno neanche volendo, visto che ho il coefficiente romantico di un cinghiale calabrese. Al gothic romance preferisco Stoker, o i vampireschi contemporanei di Martin e Lindqvist. Quanto all'evoluzione del vampiro, se da un lato condivido la sua reinterpretazione in chiave moderna, altrimenti mi darei la proverbiale zappa sugli alluci, dall'altro mi domando, perché trasformarlo da killer spietato in fatina al luminol?


2. Tanto lo so che hai omesso di dire che veneri la Hamilton perché ti vergogni. A proposito, sei una fan di Anita Blake e non hai infilato nel romanzo nemmeno una ragazzetta cazzuta? Come mai questa marginalità di figure femminili?

Io non venero la Hamilton: le sue storie di emo-porno-vampiri sono il mio piccolo sporco segreto. È diverso! Comunque, sappi che nella prima stesura di Porcaccia il protagonista era una ragazza. Arrivai al penultimo capitolo, rilessi e gettai tutto. Secondo me faceva un effetto terribile, le dinamiche erano molto più scontate, i personaggi e la loro evoluzione poco interessanti. Insomma, un disastro.


3. Un disastro non saprei dire, però sono d’accordo, l’effetto non sarebbe stato lo stesso: Porcaccia scardina i cliché anche perché finalmente viene a cadere la figura della fanciullina assediata o assediante. Proprio per questo penso che piacerà a chi ne ha piene le scatole di vampiri fighetti e donnine ansimanti; in compenso, credo, avrà qualche difficoltà a essere recepito dalle fruitrici di goth-romance. Sei d’accordo? A tal proposito, sono d’obbligo i complimenti alla casa editrice per il rischio: ho visto che la collana in cui sei inserita solitamente contiene proprio goth-romance.

In realtà, non credo che Porcaccia sia così ostico per chi apprezza il gothic romance. È come dire che chi legge romance ama solo il romance, cosa di cui non sono convinta. Immagino dipenda dall'aspettativa: se pensi di avere in mano una storia ultraromantica rimarrai irrimediabilmente deluso da qualunque libro non lo sia. Considera poi che io stessa ho grosse difficoltà ad etichettare il mio romanzo, tutt'ora non sono sicura se sia urban fantasy, noir o qualche altra cosa. E a proposito, tu che dici? Il critico sei tu.
Ma comunque, quando l'ho scritto non mi sono affatto posta il problema del genere o dell'antigenere. Avevo questo film in testa ed ho cercato di renderlo al meglio.
Quanto alla casa editrice, sì, sono stati decisamente coraggiosi. Lasciami dire che sono stati fantastici: si sono innamorati della mia storia e nel giro di poche settimane hanno deciso di rischiare, mentre io ero ancora lì a rosicchiarmi le unghie presagendo lettere di rifiuto sdegnato con un calcio nel sedere in allegato. Hanno compiuto una scelta che obiettivamente può spiazzare il loro pubblico abituale. Anzi, meglio se non ci penso, altrimenti mi risale l'ansia.


4. No, niente ansia, per carità! Se il tuo romanzo amplia gli orizzonti dei lettori e della casa editrice, tanto di guadagnato, no? Sai che ho avuto sempre problemi a classificare i romanzi che leggo? Hai ragione, Porcaccia sfugge alle etichette. ‘Urban fantasy’ metterebbe a tacere il fatto che, alla fine, il vampiro è un pretesto o una metafora. ‘Noir’ invece potrebbe far pensare a un crimine che non c’è. Forse calza meglio la definizione di gotico nel senso originario del termine: non solo per definizione comprendeva il filone vampiresco, ma era un bacino in cui trovavano posto le istanze represse. Ed è il caso dei personaggi di questo romanzo, no?

Gotico forse rimanda a un approccio “serioso” alla scrittura da cui ho cercato di tenermi alla larga. Però certo, i due protagonisti hanno cose di cui non parlano, cose con cui si sforzano di convivere, in un modo o nell'altro. Entrambi, con gli ovvi distinguo, applicano delle strategie per tenere al guinzaglio i propri demoni. Andrea, tra l'altro, usa l'ironia per difendersi, e per non andare fuori di testa quando si ritrova infilato in una situazione da incubo. In generale, non gli importa di essere giudicato più scemo di quanto non sia, o superficiale.


5. Hai parlato di Andrea, quindi è il momento adatto per andare al cuore dell'intervista: dicci dove hai pescato Ludovico. Con indirizzo e numero di telefono, per favore.

Giammai!!!! Vabbè, ricomponiamoci. Ma sono contenta ti sia piaciuto. È grazioso, nevvero? Forse un po' complicato da gestire, decisamente ad alto mantenimento. Però ha l'indubbia virtù di non piazzartisi davanti sussurrando: “Sono bello, dannato e tenebroso. Amami baaaby!” Anzi, ha anche lui il suo personale, e talvolta discutibilissimo, senso dell'umorismo.
Facendo finta di essere seri, posso dirti che è il figlio di una serie di suggestioni diverse, che vanno da un saggio di antropologia sociale sul kharisiri, il vampiro, chipaya, a un anonimo ritratto datato XVII Secolo, esposto al Museo di Storia dell'arte di Arezzo. Il resto è frutto della mia mente malata.


6. Torno un attimo seria, o almeno ci provo, prima che i lettori pensino che il tuo libro appartenga al genere Le barzellette di Totti. Il tuo romanzo è finito nelle case italiane in un periodo tristemente adatto, oltre che per i recenti avvenimenti di cronaca nera avvenuti proprio in Puglia, per il clima universitario torrido quasi quanto lo era negli anni ’60-‘70. Non è strettamente attinente a Porcaccia, ma visto che l’ambiente universitario è fondamentale per buona parte della storia, ti andrebbe di parlarcene? Qualche esperienza vissuta in prima persona all’interno dell’ateneo di Bari, qualche parola sul clima universitario durante i tuoi anni di frequenza (per il tuo romanzo si è parlato di vendolismo, no?), la tua opinione su come si sta evolvendo l’università oggi?

Quello universitario, per me, è stato un periodo felice. Nonostante le difficoltà economiche e la disorganizzazione cronica dell'Ateneo barese, mi piaceva il clima che vi si è respirato per tutti gli anni '90, il fervore politico e culturale e la sensazione che stessimo costruendo qualcosa di utile per noi stessi. Il livello di scontro ideologico era alto, ma non paragonabile all'attacco sistematico all'istruzione pubblica cui stiamo assistendo. E guarda caso, il fenomeno “Vendola”, inteso come coagulamento intorno alla sua figura di un movimento che si riconosce in certi valori, è nato proprio in quegli anni.


7. Tornando a parlare più specificatamente del romanzo: sfatato il mito della donna che pubblica offrendo prestazioni sessuali (e che ormai è stato sostituito dal più morigerato mito della donna che pubblica perché il suo compagno ha una casa editrice), com’è arrivato Porcaccia nelle tipografie della Mamma Editori?

Per misteriosi e imperscrutabili disegni del Fato!
Ero alla ricerca di un editore serio per la mia creatura, e per serio leggi “che non attua la turpe pratica della pubblicazione con contributo”, cosa a mio avviso più degradante della cessione di favori sessuali, e mi imbatto in questa collana dal nome allettante, “A cena con il vampiro”. Scrivo all'editore, che nel frattempo si scopre essere una signora gentile, coltissima e abbastanza spostata, e mi ritrovo nel docks.forumcommunity, il sito dove i testi proposti vengono discussi, smontati e sminuzzati dal gruppo di lettura e scrittura, la Bloody Roses Secret Society. Insomma, un approccio ai manoscritti molto diverso, ma a suo modo riposante, perché almeno hai la certezza che il tuo lavoro venga letto davvero. E puoi far tesoro di una serie di consigli sensati per migliorare la tua scrittura, se accetti la critiche con fair play.


8. Attenta, che così accusano entrambe di essere marchettare! Si metta a verbale che la sottoscritta non ha ricevuto alcun compenso per la stesura di questa intervista. Giusy, lo sappiamo che le menti come te non appena pubblicano hanno già per le mani qualcosa di nuovo. A noi puoi dirlo, cos’è?

Se vuoi dire che la mia testa è una inarrestabile betoniera di puttanate, allora sì, è vero. Ammetto di essere in fase ludico-riflessivo, nel senso che mi sto trastullando con un paio di idee. Una potrebbe diventare una storia molto cupa e dissacrante di bambini scomparsi. Per quanto riguarda l'altra, diciamo che Andrea sta rompendo le scatole perché vorrebbe sistemare alcune sue faccende. Ma non so ancora se lo accontenterò.


9. Un seguito di Porcaccia? Ammetto che non mi dispiacerebbe, anche se solitamente temo i sequel proprio quando la storia mi è più piaciuta. Non so, secondo me c’è un tempo per ogni cosa; è pur vero che il tuo romanzo è molto breve, quindi ben si presta a una continuazione. Vado con l’ultima domanda: lasciando da parte le solite fregnacce del ‘Leggetemi perché i miei libri rappresentano il vero mondo dei ggggiovani’, potresti parlare ai lettori del tuo romanzo con parole tue, suggerendo un motivo per cui dovrebbero leggerlo?

Mi piace pensare che sia un libro scritto bene, in cui si ride molto, senza mai dimenticare che i mostri veri, purtroppo, possono camminare alla luce del sole.


E' tutto, Giusy, grazie per la gentilezza e disponibilità, è stato proprio divertente. Al prossimo romanzo!


14 ottobre 2010

L'acchiapparatti - Francesco Barbi

Ghescik è il becchino di Tilos, un ometto gobbo e storpio che vive al cimitero, ai margini del paese. e che coltiva una passione gli scritti antichi. Una notte si presenta dall'amico Zaccaria, strambo e solitario acchiapparatti, con un libro rilegato in pelle scura, vinto grazie a una scommessa con lo speziale. Risale a epoche in cui la magia non era stata ancora messa al bando e sembrerebbe contenere le memorie di un defunto negromante. Ghescik non fa parola dello strano diadema rinvenuto in un sotterraneo della «torre maledetta», ma ha un solo modo per scoprire se certi suoi sospetti sono fondati: far tradurre il libro a Zaccaria che, inspiegabilmente, ha sempre avuto grandi doti come decifratore delle lingue arcane. Inseguiti dagli sgherri dello speziale, becchino e acchiapparatti verranno catapultati nei meandri di una vicenda terribile che non coinvolgerà i soliti eroi, ma una compagine di personaggi inconsueti: un cacciatore di taglie sfigurato, una prostituta dalle molte risorse, un gigante che parla per proverbi sgrammaticati e una schiera di feroci tagliagole.

Recensione

Nel panorama del fantasy italiano sembrerebbe arrivata una folata d'aria fresca, con un romanzo insolito e originale: "L'acchiapparatti" può vantare i personaggi più strampalati che si siano mai incontrati dalle nostre parti e una trama avvincente e per nulla scontata. Sia i protagonisti che i comprimari, ma anche le semplici comparse sono ben delineati, mostrando una vita propria e indipendente, e non danno affatto l'idea di seguire una strada già impostata. Le atmosfere si rifanno indubbiamente al calssico fantasy di Tolkien o Brooks senza però essere banali o già viste. Un pacchetto simile merita di essere trattato con i guanti bianchi, ma un'edizione forse frettolosa e certamente non accurata gli toglie freschezza, rendendolo pesante e ripetitivo.

Termini imprecisi (il nome corretto dei dadi d'osso è astragali), giri di parole, contorcimenti perifrastici, innumerevoli sinonimi per evitare ripetizioni anche quando non è necessario. Ad esempio, nella rissa del primo capitolo non si capisce quanti siano i personaggi coinvolti, solo perché l'autore non chiama per nome il misterioso giovanotto - tale Gelco, presentato nelle prime righe con tanto di testimoni. Ancora, a pag 50, Ghescik viene chiamato becchino, zoppo, gobbo, storpio, pur essendo l'unico personaggio presente.

Gli schemi si ripetono fino alla noia: si incontrano sempre "loschi figuri" che nel giro di due righe scopriamo di conoscere già. Il giochetto è carino, ma se dosato in modo adeguato. Lo stesso si può dire delle digressioni storico-socio-culturali che introducono numerosi capitoli: interessanti, ma fredde e decontestualizzate.
Di una madre che non tratta la propria creatura come un figlio, scrivere che lo guarda con occhi materni è una evidente contraddizione. Piuttosto pietà, dispiacere, dolore, compassione: gli occhi materni lasciamoli a chi prova un sentimento di madre, che lo sia oppure no.

Il magico cerchietto di metallo viene chiamato "diadema": è vero che in tempi passati il termine indicava una fascia metallica che cinge la fronte, ma il lettore di oggi, anno 2010, pensa a quello di Miss Italia.

Zaccaria, tra tutti i nomi da fantasy, stona un po', ma ci guadagna con la sua simpatia: peccato che sia un'accozzaglia esagerata del DSM-IV che lo rende poco plausibile.

La storia avrebbe davvero meritato uno sforzo in più: rispetto all'edizione precedente si vede lo sforzo compiuto, ma non è abbastanza, e lo dico a malincuore.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: L'acchiapparatti
  • Autore: Francesco Barbi
  • Editore: Baldini Castoldi Dalai
  • Data di Pubblicazione: data
  • Collana: Romanzi e racconti
  • ISBN-13: 9788860736529
  • Pagine: 466
  • Formato - Prezzo: Rilegato, sovraccoperta - 18,50 Euro

13 ottobre 2010

Come diventare buoni - Nick Hornby

Come si fa a diventare buoni? E soprattutto, che cosa significa essere buoni? Katie Karr non se l'è mai chiesto: una donna che ha scelto di diventare medico per aiutare gli altri e che ha cresciuto i figli ai valori morali più profondi non ha nemmeno bisogno di chiederselo. Finché quella donna non tradisce il marito. E allora il marito, David, decide di dare una svolta alla sua vita. Abbandona le arguzie sarcastiche con le quali non risparmiava nessuno, nemmeno la moglie e i figli, e rinuncia a versare veleno su tutto e tutti nella rubrica che firmava regolarmente su un quotidiano locale; insomma smette di essere "l'uomo più arrabbiato di Holloway" per diventare buono. Ma buono sul serio, facendo perdere a Katie ogni punto di riferimento.

Recensione

Se questo libro fosse una favola per bambini, di quelle che si concludono con una morale, il messaggio sarebbe: state attenti a quello che desiderate, potrebbe avverarsi!
Ad esempio, se avete un marito incapace di qualunque affermazione che non trabocchi di sarcasmo, sempre pronto a trasformare un banale scambio di opinioni su cosa mangiare a cena in una feroce guerra verbale, potreste avere la tentazione di desiderare che sia una persona diversa. Meglio ancora una persona buona. E qui sta la fregatura: perché alla fine cosa rende una persona buona? C'è una "manuale di bontà" ed è sufficiente seguirlo passo passo? Perché Katie, la protagonista di questo romanzo, è convinta di essere una persona buona, soprattutto in virtù del proprio lavoro, quello di medico, che le permette di aiutare le persone. Ma l'improvvisa crisi mistica del marito David, che in 48 ore subisce una metamorfosi completa da "Dr. House con le palle girate" a "Madre Teresa rediviva" mette in crisi tutte le sue certezze.
David pensa di poter rimediare ad un esistenza passata a vomitare commenti acidi sul prossimo, diventando un campione di altruismo, disposto a pensare solo bene di chiunque. A patto che questo chiunque sia disposto a seguire il nuovo David sulla strada della conversione. Altrimenti il nuovo David ti inserirà d'ufficio nell'elenco dei "borghesi egoisti e cattivi". In questo elenco rientra subito la nostra Katie, incapace di comprendere questo repentino cambiamento del marito ma soprattutto incapace di accettare che un uomo che si atteggia a Gandhi verso perfetti sconosciuti ma che non è in grado di cogliere o interessarsi all'infelicità dei propri cari possa davvero essere definito buono.

E' la "maschera della bontà" che vuole solo celare un insopportabile vuoto interiore, quella che viene fatta a pezzi in questo libro, con un cinismo che viene solo raramente alleggerito da siparietti ironici. David è alla ricerca di un'umanità, un'empatia vero il prossimo, che si è persa da qualche parte negli ultimi 20 anni della sua vita e questa ricerca avrà conseguenze devastanti su tutti.

In questo senso il romanzo è originale e coinvolgente ed evita di essere solo l'ennesima variazione sul tema dello sfascio di un matrimonio, sul quale non viene detto nulla che non sia già stato raccontato in un film di Woody Allen in modo più divertente.

Alla fin fine il romanzo è carino e scorrevole, ma forse il cinismo è in alcuni tratti eccessivo, l'incomunicabilità tra i coniugi un po' esasperata così come è un po' esasperata la capacità analitica di Katie, voce narrante del romanzo. Hornby infatti se la cava più che bene nell'adottare un punto di vista femminile come io narrante del racconto, ma forse calca la mano, pescando a piene mani nello stereotipo "le donne sono iper-riflessive, gli uomini non riflettono su nulla". Katie infatti viviseziona ogni parola, ogni gesto, ogni evento; lo esamina, lo contro-esamina, lo ribalta... Qualcuno ricorda i surreali dialoghi psicanalitici degli adolescenti di Dawson's Creek? Ecco...

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Come diventare buoni
  • Titolo originale: How to be good
  • Autore: Nick Hornby
  • Traduttore: Viviani S.
  • Editore: Guanda
  • Data di Pubblicazione: 2005
  • Collana: Narratori della fenice
  • ISBN-13: 9788846208231
  • Pagine: 292
  • Formato - Prezzo: Brossura - 15.00 Euro
 

La Stamberga dei Lettori Copyright © 2011 | Template design by O Pregador | Powered by Blogger Templates