26 ottobre 2010

Tancredi presenta: Michael Cunningham, la morte e l'amore

«È questo quello che facciamo. È questo che le persone fanno. Sopravviviamo per gli altri.»


Vita

Michael Cunningham nasce nel 1952 a Cincinnati, Ohio, nel cuore dell’America rurale e provinciale. Da giovane si trasferisce poi a Pasadena, California, e dopo qualche breve transizione a Chicago e in Germania si stabilisce definitivamente a New York. Il luogo in cui vive Cunningham è importante, perché il diverso sfondo sociale non mancherà di caratterizzare i suoi romanzi, dalla soffocante vita di provincia in Ohio e California alla frenesia metropolitana di New York. Da giovane trova nella musica rock la sua principale strada di espressione, a quindici anni rimane folgorato dalla lettura di Mrs. Dalloway di Virgina Woolf: non ci metterà molto a capire la sua vera strada, e all’Università sceglie di studiare letteratura inglese. Ultima esperienza fondamentale è quella delle comunità gay negli anni Ottanta, in anni, cioè, in cui è emerso con drammaticità il problema dell’AIDS. Cunningham non manca mai di ricordare nelle interviste come sia rimasto segnato dalle sue esperienze in quegli anni, da rapporti di travolgente passione e dalla morte di un caro amico, malato, appunto, di AIDS.



Opere

E’ negli anni Ottanta che inizia a scrivere. Il 1984 segna il suo esordio letterario: Golden States è un romanzo accolto tiepidamente dalla critica e che non conosce un gran successo, finendo fuori stampa dopo la prima magra tiratura. Considerato dall’autore stesso un esercizio di stile giovanile e niente più, racconta la storia di David, un adolescente che vive con la madre e con le sorelle, i cui giorni, nella California dei primi anni Ottanta, sono pieni di attenzione e preoccupazione verso l’amatissima famiglia. La narrazione è in terza persona, e nulla lascia presagire le future scelte stilistiche e narrative dell’autore.

Il successivo Una casa alla fine del mondo del 1990 segna il primo timido passo di uno scrittore ormai adulto, pronto ad avventurarsi in territori narrativi e stilistici inauditi. La monotonia della narrazione viene spezzata nell’alternarsi di ben quattro punti di vista, che però rimangono espressi ancora in terza persona. Più audace, forse, la scelta della trama: il romanzo narra la storia di due amici, Jonathan e Bobby, che vivono una inconsapevole storia d’amore, prima, stretta nei confini delle loro esperienze adolescenziali e, successivamente, confinata in un impossibile rapporto a tre. Ai due si aggiunge Claire, amante platonica di Jonathan e madre della figlia di Bobby: da questi presupposti prende avvio il loro esperimento di vita alternativa, di famiglia allargata fuori dai schemi che vive in una casa “alla fine del mondo”. Di nuovo, dunque, l’ambiente domestico, la valenza dell’istituzione della famiglia: protetta ossessivamente nel primo romanzo, adesso ne viene rivelata l’inevitabile vacuità. Ma la morte, tema portante dell’intera produzione di Cunningham, è sempre dietro l’angolo: l’esperimento di vita alternativa è destinato a fallire, Rebecca, figlia di tre genitori, viene portata via dalla madre, e sostituita con Erich, malato di AIDS.

Cinque anni dopo, puntuale, il nuovo romanzo: Carne e sangue. Dopo aver sperimentato il fuoco multiplo Cunningham vi attinge pienamente, scrivendo un romanzo che è una grande epica familiare: cento anni di storia americana dagli anni Trenta fino ad un lontano futuro attraverso gli occhi di un’intera famiglia popolata di uomini spregiudicati, donne traditrici, malati di AIDS, ragazzi gay e casalinghe depresse. E’, questo, il suo romanzo più prettamente americano, in cui lo sfondo sociale si erge a personaggio ulteriore, compartecipe di questa grande storia tragica.

Con Le Ore, Premio Pulitzer 1999, Cunningham compie il grande balzo. Le Ore è, finalmente, una rivelazione letteraria, che porta l’autore ad essere, da scrittore di nicchia con un’esigua schiera di ammiratori, a scrittore tradotto in tutto il mondo. Al successo del libro si aggiunge quello del film. Le Ore è, finalmente, la liberazione di un Cunningham fino ad allora trattenuto: lo scrittore scopre finalmente la narrazione in prima persona e si lascia andare al suo sogno adolescenziale più nascosto, scrivere della sua amata musa, Virginia Woolf. Il celebre romanzo attraversa un singolo giorno della vita di tre donne: la Woolf, colta nella redazione del suo celebre Mrs. Dalloway; Laura Brown, casalinga disperata degli anni Cinquanta che legge il romanzo della Woolf e che – su ammissione dello stesso Cunningham – finì col somigliare fin troppo alla madre dell’autore; Clarissa “Dalloway” Voughn, lesbica in carriera alla fine degli anni Novanta, divisa tra l’amore per la sua compagna e la devozione verso Richard, poeta gay malato di AIDS. Le Ore è, insomma, la piena realizzazione del percorso di scrittura di Cunningham, un percorso che sembra, in realtà, averlo riportato a sé stesso: è, insomma, un vero e proprio nuovo esordio letterario. Da allora i giornalisti, i critici ed i lettori non smetteranno di bersagliarlo di domande, di chiedergli, soprattutto, perché mai un uomo gay senta il bisogno di scrivere un romanzo su tre donne, una delle quali è la scrittrice Virgina Woolf; e la risposta non si fa attendere: “Virginia c’est mois”, dice Cunningham senza alcun timore. In realtà non è solo Virginia, ma anche Clarissa, e soprattutto Richard, ammettendo che c’è lui stesso dentro ogni suo singolo personaggio in egual misura.

Successivamente Cunningham pubblica un libricino, Dove la terra finisce, metà saggio e metà racconto nel quale descrive la vita della cittadina di Provincetown. E intanto in Italia il suo editore, Bompiani, fa uscire nel 2003 un altro libricino, Mr Brother, che unisce due vecchi racconti (Mr brother, uno squisito gioco letterario e Puttana, un Cunningham insolitamente crudo) ad un saggio dell’autore sulla scrittura della sua amata Woolf.

Dopo questa parentesi, Cunningham torna a concepire un romanzo che si presenta come il gemello, per certi versi, di Le Ore. Giorni memorabili, del 2005, è un romanzo che condivide con il precedente almeno due elementi portanti: la struttura tripartita e l’omaggio letterario. Dopo Virgina Woolf, Cunningham omaggia il poeta americano Walt Whitman – ma al contrario della Woolf, Whitman non si fa personaggio (salvo un’accidentale apparizione in qualità di passante occasionale), ma è presente tramite la sua poesia, che fa da filo conduttore a più livelli. Appositamente rimaneggiata, la sua filosofia di esaltazione di un Io molteplice diviene messaggio chiave dell’intero romanzo, che pure attraversa ben tre epoche. Caso quanto meno eccezionale, il romanzo narra tre singole storie – questa volta in sezioni staccate, non più alternate – ambientate nella New York di fine Ottocento, nel nostro presente e infine in un lontano ed alieno futuro. Emerge allora, come vero tema centrale, la disumanizzazione: iniziata con l’industrializzazione alienante dell’Ottocento, proseguita con l’era tutta nostrana della paura e dei kamikaze e giunta, nel futuro immaginato da Cunningham, in un’umanità smarrita che cerca di definire se stessa nel confronto con gli alieni e con gli androidi.

Conferma di quello che sta emergendo come un vero e proprio trend personale, è appena uscito il nuovo lavoro di Cunningham, Al limite della notte, omaggio letterario rivolto a Thomas Mann e al suo celebre Morte a Venezia.



Commento

Nella variegata produzione letteraria di Michael Cunningham, che passa dal bildungsroman all’epica familiare all’omaggio letterario, si possono ravvisare una serie di evidentissimi e luccicanti temi portanti. A saltare immediatamente all’occhio è il forte gioco di contrasti: i personaggi di Cunningham sono continuamente stritolati tra due estremi, l’amore e la morte. A ben vedere, non si tratta di due assoluti contrapposti, ma di due facce della stessa medaglia. L’amore e la morte sembrano inevitabilmente connessi, e non solo perché l’AIDS – che nei suoi romanzi è sempre simbolo di morte ed elemento tragico – è una malattia associata alla sessualità: Cunningham giunge persino a definire l’amore stesso come un cancro che ti divora dall’interno (così in Carne e sangue). Ma non c’è solo questo: grande è la varietà dei personaggi e dei caratteri scolpiti dalla sua penna, immensa e mastodontica è la loro caratterizzazione – e per quanto diversi, sono tutti, in un modo o in un altro, inconsapevolmente o consapevolmente, per scelta personale o costretti dalla forza della tragedia, a cercare se stessi, a definire le loro identità, muovendosi tra le infinite fluttuazioni della loro sessualità, perennemente ambigua e, soprattutto, del loro essere.

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