31 dicembre 2013

Bilancio del 2013 - Speciale nuovo anno

Oggi è l'ultimo giorno del 2013 ed è tempo di bilanci: ma come si può istituire il bilancio di un anno di letture di più di dieci persone? Per rendere l'idea, un po' di numeri: quest'anno abbiamo recensito 263 libri, pubblicato 110 articoli di varia natura, e intervistato 4 autori. Abbiamo pubblicato diversi approfondimenti e articoli d'opinione, infittito le news, e inaugurato - oltre alla rubrica settimanale Listopia - uno speciale tematico a cadenza mensile che finora si è occupato dei vincitori del Premio Hugo, di quelli del Premio Nobel, e dei romanzi a tema natalizio (domani conoscerete il nuovo Speciale che ci terrà compagnia per gennaio).
In più volevamo mettervi al corrente di una nuova notizia: a partire da gennaio vorremmo creare una newsletter mensile a cui potrete iscrivervi e che vi informerà con un'unica mail dei nostri migliori contenuti pubblicati durante il mese trascorso. Nei prossimi giorni vi daremo tutte le informazioni del caso.
Infine, come facciamo ormai da anni, abbiamo stilato una lista rappresentativa di libri che ci sono piaciuti particolarmente o che particolarmente non abbiamo apprezzato: ecco a voi una selezione di quindici recensioni pubblicate quest'anno, secondo i criteri che seguono:



+5stelle+ Cinque dei libri più belli recensiti quest'anno +5stelle+

La festa del caprone di Mario Vargas Llosa - Einaudi
Scrive Patrizia:

Il romanzo si snoda attraverso tre linee narrative. La prima, quella che apre il romanzo, ha la voce di Urania Cabral, affermata professionista che ha lasciato Santo Domingo all’età di quattordici anni e vi torna dopo 34 senza un motivo specifico. Forse, dopo tanti anni, è pronta a fare i conti con il proprio passato e i suoi passi, durante l’abituale corsa mattutina, la portano sulla soglia della vecchia casa di famiglia, dove vive ancora il padre Agustin Cabral, ex Presidente del Senato ai tempi di Trujillo, immobilizzato a causa di un ictus e con il quale aveva interrotto tutti i contatti dal giorno della partenza per gli Stati Uniti. Urania, nel corso della sua lunga giornata, si ritrova anche a parlare con nostalgici anziani e con giovani che hanno mitizzato il periodo della dittatura ricordando con nostalgia che tutti lavoravano e non c’era microcriminalità; l’orrore è diventato mito, si trova a pensare una stupefatta Urania che ricorda bene la mancanza di libertà, anche nella propria vita personale, imposta dal regime di Trujillo.

Il mio nome è rosso di Orhan Pamuk - Einaudi
Scrive Valeria Pinna:

Il mio nome è rosso è un libro molto complesso: per arrivare all'ultima pagina e comprenderlo a fondo sono richieste molta pazienza e dedizione. Ma vi assicuro che il risultato è un'esperienza senza dubbio appagante. L'amore, il sesso, la morte, l'omicidio, la bellezza, l'arte, la miniatura, la religione, i conflitti interiori dell'animo umano sono tutti protagonisti di questo grande affresco di una Istanbul di fine Cinquecento ritratta in un'atmosfera realistica e magica allo stesso tempo.

Padiglione Cancro di Aleksandr Solgenitsin - Newton Compton
Scrive Antonio:

Nello spirito primitivo del premio Nobel, i libri di Solgenitsin sono pregni di idealismo. Ciò che Solgenitsin condanna è la corruzione, la superficialità, il qualunquismo che mal si adattano alla sua visione di una scelta di vita ascetica ma piena di disponibilità verso il prossimo. L’eroe di Solgenitsin è quello che, per quanto colpito dalle sventure e dalla perfidia del prossimo, riesce a rimanere ancorato ai propri principi di solidarietà ed abnegazione.

Limonov di Emmanuel Carrère - Adelphi
Scrive Polyfilo:

Carrère, con l'abilità di uno sceneggiatore professionale, raccoglie in prima persona e racconta le esperienze del suo protagonista in maniera esemplare, unendo momenti lirici e aneddoti sordidi, mettendo in mostra tutti gli angoli nascosti della sua policroma personalità ed evidenziandone contraddizioni e lati oscuri. Ma quel che è più importante è che riesce a cucire in modo perfetto, senza eccessi e senza sbavature, il ritratto di un dissidente e artista con il ritratto di una nazione. Si rimane nell'ambito del romanzo di formazione e nello stesso tempo, come in un saggio di geopolitica, la storia, quella recente degli ultimi due decenni del crollo dell'URSS, dell'era di Eltsin e degli oligarchi e infine della democrazia di Putin dalle forti venature di cesarismo, irrompe con tutta la sua forza nella narrazione.

Prima che sia notte di Reinaldo Arenas - Guanda
Scrive Tancredi:

Nella sua autobiografia, che ripercorre una vita umile eppure pulsante, energica, instancabile, che non si piega mai, Arenas intreccia gli affetti e le passioni e i tormenti: gli uomini che l'Isola ha offerto al suo desiderio insaziabile (più di cinquemila, proclama); la passione della scrittura, soffocata dal regime, tradita dagli amici scrittori ipocriti, mai ripagata dagli editori stranieri; i regimi, prima quello di Batista, poi quello di Castro, e quella brevissima, di una illusoria felicità, parentesi rivoluzionaria cui aveva pure aderito, salvo indovinare ben presto il colore dell'operazione condotta dal lider maximo. L'amore (omosessuale), la scrittura, la politica sono le tre passioni di Arenas, ma anche i tre volti di Cuba, che l'autore demolisce e ricostruisce in un infinito gioco di specchi: Cuba è l'isola di sole e mare, di spiagge popolate di bei ragazzi, di amori urlati con vitalità e fierezza; Cuba è anche l'immenso salotto letterario che Arenas e i suoi popolavano, un salotto umile, alla buona, più una taverna che un circolo di intellettuali; Cuba è, ed è diventata soprattutto, l'isola del mare negato, delle spiagge popolate di militari, delle prigioni e dei campi di lavoro forzato.

+1stella+ Cinque dei libri recensiti cui è stato assegnato il voto minimo +1stella+

Sul lato sbagliato della strada di Amanda Mazzi - Erasmo
Scrive Pythia:

Questo romanzo non avrebbe dovuto essere pubblicato così com'è. È una questione di rispetto per i lettori, che spendono denaro e tempo per un prodotto non conforme, e anche per l'autrice, che nonostante la cura, la passione e la dedizione sicuramente impiegate viene penalizzata da un lavoro a metà. Manca decisamente una revisione degna di questo nome, per forma e contenuti: il buono c'è, ma si perde in una marea di imperfezioni.

Il buon Gesù e il cattivo Cristo di Philip Pullman - Tea
Scrive Sakura:

Definito "apocalittico" dal Guardian, questo romanzetto non merita certo tanto scalpore (e in effetti il libro in Italia è passato pressoché inosservato): sebbene l'esistenza di Cristo, passata sotto silenzio, incarni ancora una volta l'aspra critica di oscurantismo rivolta dall'autore alla chiesa cattolica, nonché i travisamenti di cui i testi sacri sono sempre stati oggetto, Pullman rinuncia alla sua vena polemica, o non riesce a esprimerla appieno. La narrazione è pacata, fin troppo politically correct nell'evitare di approfondire episodi particolarmente controversi che avrebbero potuto essere spunto di critica, come il rapporto tra Maria Maddalena e Gesù o l'incontro di quest'ultimo con la donna di Canaan.

Tutto ciò che sappiamo dell'amore di Colleen Hoover - Rizzoli
Scrive Valetta:

Come sempre evito ogni spoiler, ma non posso fare a meno di inveire contro la stupidità del finale in cui tutti gli ostacoli che separavano i nostri innamorati svaniscono nell'aria come per magia e Will finalmente comprende che la sua aspirante fidanzata è molto più importante del benessere del suo fratellino di nove anni che non ha nessuno al mondo. Splendido messaggio. Molto maturo. A dirvela tutta ci sarebbero mille altre cose che ho odiato a proposito di questo libro, ma mi sembra inutile e tedioso lamentarmi per pagine e pagine, perciò concluderò dicendo che l'ho trovato prevedibile, superficiale, noioso e, a dispetto delle infinite tragedie che l'autrice si è ostinata a infilarci, assolutamente poco toccante.

Drood di Dan Simmons - Elliot
Scrive Valetta:

Questo è il terzo romanzo che leggo collegato o ispirato dall'opera incompiuta di Dickens, includendo Il ladro di libri incompiuti di Matthew Pearl e Il mistero di Edwin Drood riveduto e completato da Leon Garfield, ed è sicuramente anche il più deludente, il che è tutto dire se si considera che il libro di Pearl era stato un potentissimo sonnifero. Dickens era sicuramente un romanziere pieni di difetti ma ha creato personaggi e storie straordinarie, come sia possibile che coloro che decidono di ispirarsi a lui producano solo schifezze proprio non si spiega. Sarà il desiderio di emulazione senza averne il talento, sarà l'idea che i lettori sono una manica di ignoranti che non possono leggere un romanzo ambientato nell'800 senza subire una conferenza scritta sull'epoca vittoriana, fatto sta che sto seriamente considerando di abbandonare tutte le speranze e curare la mia astinenza da Dickens rileggendo le sue opere per l'ennesima volta.

Confessioni di un barman di Paolo Marini e Mirco Cavalli - Curiosando Editore
Scrive Polyfilo:

Il problema di base dell'esperimento di Marini è che pare essere mancato un serio intervento di editing che riuscisse trasformare - ammesso che fosse possibile - del materiale grezzo da diario privato in un prodotto editoriale potabile. La classica zucca in carrozza, insomma. Se anche l'idea in sé potrebbe essere intrigante e offrire buoni spunti di sviluppo - e lo insegna Tom Cruise in Cocktail -, nel percorso intimo di Cuper Bennati, barman con base fiorentina ma cosmopolita e vagabondo nell'anima oltre che nel cuore, manca una trama vera e propria.

+5stelle+ Piccoli e medi editori a cinque stelle +5stelle+

La nemica di Iréne Nèmirovsky - Elliot
Scrive Polyfilo:

Da un lato l'analisi spietata dell'ipocrisia imperante in certi strati sociali e all'interno dei meccanismi famigliari, in particolare nel rapporto fortemente autobiografico tra madre e figlia, prelude a temi che saranno caratterizzanti in romanzi successivi, in particolare in Jezabel, dall'altro lo stile, per quanto non privo di ingenuità sentimentali, manifesta una notevolissima capacità descrittiva, un tratto abile nel cesellare con poche pennellate situazioni e personaggi, forse senza scendere in profondità come avverrà nei romanzi più tardi, ma perfettamente in grado di mostrare i tormenti dell'animo nella complessità di accenti e sfumature che contraddistingue la scrittura di grande valore.

Il portiere e lo straniero di Emanuele Santi - L'asino d'oro
Scrive Daniele:

Emanuele Santi affascina con toni enfatici ed evocativi, tanto che sembra quasi di essere con Camus mentre vola da un palo all’altro prima di vedere la propria carriera sportiva stroncata dalla tubercolosi. Così, attraverso l’ardore indipendentista che infiammava gli animi degli algerini che, non potendosi riversare in altri contesti a causa delle repressive leggi coloniali francesi, si concentrava tutto nelle partite di calcio, il lettore vede quanto Camus fosse influenzato dalla propria patria e fosse sensibile ai soprusi che subiva dalla Francia. L’autore ha effettuato una ricerca molto approfondita riguardo quel periodo e, unendola alla propria capacità di raccontare storie di sport, ha creato un credibile e affascinante punto di vista su quanto vissuto - sportivo e non - l’autore de “Lo straniero” abbia messo nelle sue opere. Quindi, fin dal titolo, “Il portiere e lo straniero”, mostra al lettore il nodo principale dell’argomento. Dalla prima pagina all’ultima ci si trova davanti a un’opera che non mostra mai cali nell’intensità della narrazione, sempre precisa nel dimostrare la tesi alla propria base e avvolgente quasi fosse un romanzo.

Un'eredità di avorio e ambra di Edmund de Waal - Bollati Boringhieri
Scrive Mara:

La tristezza e il rimpianto per lo splendore perduto in modo irrimediabile, che investono Edmund de Waal e chi legge dapprima davanti al Palazzo parigino, ora sede di un istituto di previdenza privato; indi a quello viennese, contemporaneo del primo, dove ora è la società che riunisce i casinò austriaci. Pure il percorso illustrato si fa via via più intimo e drammatico allorché si giunge sulla Ringstraße. L’Autore si sofferma sulla figura del trisavolo Ignace, del quale ci mostra un perspicuo ritratto. Nella nostra storia incontriamo ben tre Ignace: divertente e facile ritrovarli. Questo trisavolo, neri i folti capelli e la barba, così come ce lo presenta una fotografia del 1871, era uomo d’affari spregiudicato e passionale, con numerose amanti, padre di tre figli, che vediamo poco dopo, ragazzini: il minore è Viktor, il futuro padre di Elisabeth, nonna amatissima da Edmund e figura chiave nel racconto. Ignace, in quell’anno, si fece costruire il palazzo scintillante sulla Ringstraße e volle che, proprio nella grande sala da ballo, ben visibili da tutti, la serie di dipinti alle pareti raffigurasse episodi biblici tratti dal libro di Ester: Ester incoronata regina di Israele, in ginocchio al cospetto del gran sacerdote vestito con gli abiti rabbinici… E poi gli Ebrei che annientano i figli di Aman, il nemico di Israele.

Berlino segreta di Franz Hessel - Elliot
Scrive Mara:

Lo stile è scorrevole, quasi musicale, in grado di adattarsi al registro itinerante del racconto. I toni ci sono tutti, con preferenza verso l'umoristico e l'ironico, come il contrasto tra i "sogni di gloria" di Wendelin e la modesta realtà della pensioncina in cui egli vive , "al quarto piano sopra negozi ed uffici, tra Friedrichstrasse e Unter den Linden". Protagonista assoluto è il paesaggio cittadino, che emerge discreto, il supporto imprescindibile, il sipario sul quale s'intrecciano le vite degli stravaganti personaggi, tutti ritratti con cura dal vivo. I cognomi adottati sono espressione del personaggio stesso, ma in una sorta di rovesciamento sarcastico: ad esempio, un tale Schilfkrot (Ranocchia, in tedesco) è un applaudito cantante, ispirato ad una celebrità dell'epoca, realmente esistita e famosa a Berlino in quel periodo. Donne fatali, alla Marlene Dietrich (alla quale Hessel dedicò un suggestivo libretto, nel 1931), come Margot, che ama indossare camicie maschili e passeggiare a cavallo nel Tiergarten, in compagnia di baldi giovani, Wendelin in testa, va da sé. O come l'inquietante, sessualmente ambigua, Fancy Freo, la cui specialità consiste nell'eseguire "le più audaci canzonette berlinesi con il massimo di raffinatezza e il minimo di sguaiataggine".

Il candelabro sepolto di Stefan Zweig - Skira
Scrive Mara:

Anno 455 e.v.: Roma è conquistata e saccheggiata dai Vandali di Genserico. L’imperatore Petronio Massimo fugge abbandonando la città, ma viene ben presto ucciso dalla folla esasperata. E’ il papa Leone Magno, poi diventato santo, a fermare i Vandali chiedendo loro di non distruggere Roma e di non massacrare la popolazione. In pochi giorni la Città è spogliata delle sue ricchezze: l’operazione viene effettuata in modo rigoroso, sistematico… teutonico, senza incontrare alcuna resistenza da parte degli abitanti atterriti. Nella pacifica Comunità Ebraica locale si diffonde il terrore: tutti sono consapevoli che la sventura occorsa al popolo ospitante si tradurrà in dolore e nuove persecuzioni per gli Ebrei.

Ringraziandovi ancora una volta - calorosamente - di averci seguito per tutto il 2013, ci auguriamo che continuerete a farlo anche quest'anno. I nostri buoni propositi? Continuare a offrirvi il meglio che possiamo, come sempre.


Lo staff della Stamberga


Lavori in corso

Cari lettori,
se avete visitato la nostra pagina nelle ultime ore avrete notato una certa "instabilità". Con l'arrivo del nuovo anno abbiamo deciso di fare qualche piccolo rinnovamento per rendere il sito più moderno e facilmente leggibile. Si tratta di un cambiamento che avevamo da tempo in cantiere e che, grazie anche alle pazzie della piattaforma che ci ospita, comporta qualche inevitabile difficoltà di transizione.
Nel frattempo i post continueranno a essere pubblicati regolarmente, portate pazienza e restate con noi!


Lo Staff della Stamberga

Dal libro al film: Lo Hobbit. La desolazione di Smaug

***Attenzione: contiene spoiler per chi non ha visto il film***

Nota preliminare: solitamente la rubrica Dal libro al film è a titolo più informativo che opinionistico, ma quest'articolo farà eccezione, perché temo di rientrare nel novero degli spettatori decisamente non entusiasti dall'attesa seconda parte de Lo Hobbit. La domanda principale è: c'era proprio bisogno di tre film di tale spropositata lunghezza?

La desolazione di Smaug è precisamente poco burro spalmato su troppo pane, se mi passate la citazione. La pellicola si apre con un flashback di un anno precedente agli eventi del primo film, un dialogo lungo e mortalmente soporifero tra Gandalf (Ian McKellen) e Thorin Scudodiquercia (Richard Armitage), che per di più mi è toccato vedere due volte perché il cinema che proiettava il film ha deciso di rimettere daccapo la pellicola per favorire i tanti maleducati ritardatari, ma questa è un'altra storia. Peraltro ho sempre creduto che iniziare libri e film con lunghe e tediose spiegazioni fosse un pessimo modo per ingraziarsi l'interesse del lettore/spettatore, ma tant'è.
La storia torna quindi nel presente, con i nani e l'hobbit inseguiti instancabilmente dagli orchi guidati da Azog (Manu Bennet). A questo punto, dopo scene allungate a dismisura e scene aggiunte per far brodo, Jackson inverte la tendenza e decide che la parte in cui il gruppo viene ospitato da Beorn il mutapelle (interpretato da Mikael Persbrandt) è troppo noiosa, come illo tempore lo era stata quella con Tom Bombadil, e la riduce a cinque minuti di incontro. 
Dopo la scoperta che Azog è nientemeno che uno dei più importanti luogotenenti del Negromante (?), inizia uno degli archi di punta del film, l'arrivo dei nani a Bosco Atro, abitato da strane creature con lentine blu fluo e modi metrosexual chiamate elfi silvani. Codesti elfi irrompono dopo lo scontro tra nani e ragni (una delle poche scene da salvare in tutto il film) e catturano i nani per condurli presso re Thranduil (Lee Pace).
A questo punto avviene l'impensabile. 
Lo spettatore medio, lo sappiamo, non è contento se
a) mancano le tette (versione maschile) 
b) manca una coppia struggente su cui fantasticare (versione femminile). 
Purtroppo per Hollywood, a Tolkien di queste cose importava una fava. Nella trilogia di LOTR Jackson aveva risolto ingigantendo il ruolo di Arwen attribuendole di tutto, dal salvataggio di Frodo originariamente avvenuto per mano di Glorfindel allo straripamento del Bruinen che uccide i cavalli dei nazgûl e nel libro causato da Elrond, per poi spettacolarizzare la sua relazione romantica con Aragorn. Ne Lo Hobbit, mancando completamente la materia prima da ingigantire (i personaggi femminili), Jackson decide di scritturare Evangeline Lily (la Kate di Lost) per farne il capitano delle guardie del reame di Bosco Atro, la bella Tauriel, su cui Legolas, figlio del re Thranduil, sbava in ogni singola scena
La cosa è già ridicola di suo, se si considera che Orlando Bloom, pur portandosi bene i suoi anni, al contrario del personaggio che interpreta non è immortale, e quindi sembra il padre del se stesso di LOTR. Perché inserire forzosamente un personaggio inutile nell'economia della trama e che risulta ridicolo perché è (e si vede) più vecchio nel prequel che nel film che lo segue cronologicamente? Solo per potergli fare incontrare il padre del suo futuro amico Gimli (Peter Hambleton) e denigrare il ritratto del figliuolo che il nano si porta dietro? 
Ma il fondo non è ancora stato toccato: il triangolo no, noi non lo avevamo considerato nelle nostre fantasie più deliranti (e nemmeno la coppia, se è per questo), ma Jackson sì: prende il nano più attraente della compagnia dopo Thorin (che è troppo preso dal suo ruolo emo per poter avere un interesse amoroso), cioè Kili (Aidan Turner), e suggerisce un'attrazione tra i due sancita dalle solite battute goliardiche che dall'alba dei tempi servono a sottolineare la tensione sessuale piuttosto che a mascherarla:
Kili: "Non vuoi perquisirmi? Potrei avere un'arma sotto i pantaloni"
Tauriel: "Oppure nessuna."
Legolas rosica, le chiede perché quel nano insolente continui a fissarla dimenticando che da quando è comparso in scena anche lui non ha fatto altro. Lei risponde che per essere un nano è piuttosto alto. Io mi ficco due dita in gola: un nano e un elfo in un'opera derivata da un libro di Tolkien, non so se mi sono spiegata. E no, abbassate quelle mani, le vostre elucubrazioni sul rapporto da atleti negli spogliatoi tra Legolas e Gimli non mi interessano.
Ma torniamo alla trama. La situazione viene ancora una volta risolta da Bilbo, che ha ormai perso i riflettori, tutti concentrati sugli sfavillanti sguardi tra Tauriel, Legolas e Kili: grazie al potere dell'anello, riesce a liberare i nani dalle prigioni nell'ennesima scena di fuga allungata della durata di trenta minuti, poiché - a differenza del libro - non solo i nani vengono scoperti dagli elfi, ma vengono anche attaccati dagli orchi.
Durante la pausa, la signora accanto a me mi rivolge questa domanda:
"Ma secondo te quando inizia il film? Finora non hanno fatto altro che scappare".
Apro la bocca per risponderle che no, il libro è ben altro, c'è tanta roba interessante, ma mi rendo conto che ha ragione. Il film è un'eterna fuga rocambolesca.
"Non lo so, signora. Spero nel secondo tempo."



Il secondo tempo è effettivamente quello in cui inizia il film. Gandalf si reca a Dol Guldur per indagare sulle forze oscure che si stanno mettendo in moto, dove incontra Radagast (Sylvester McCoy) e scopre che le tombe dei nazgûl sono vuote. La compagnia frattanto arriva a Pontelagolungo (Esgaroth), poco sotto le pendici delle Montagne Nebbiose, e riesce a entrarvi di nascosto grazie al barcaiolo Bard (no, non è interpretato anche lui da Orlando Bloom, ma da Luke Evans che gli somiglia una cifra, ed è la seconda volta che hanno la geniale idea di mettere i due attori insieme nello stesso film), che li nasconde in casa salvo poi realizzare che il ritorno del legittimo erede del regno sotto la montagna potrebbe risvegliare il drago e dunque distruggere la sua città. Bard è un personaggio complesso, e almeno questa aggiunta l'ho apprezzata: povero e vedovo, con tre figli a carico, è per di più vittima della sfiducia della gente in quanto discendente di Girion, che ebbe l'occasione di uccidere Smaug ma sbagliò il colpo.
Thorin, sempre più preda dell'ossessione di recuperare il suo regno e le sue ricchezze, si allea con il governatore di Esgaroth (il sempre ottimo Stephen Fry) promettendo prodigiosi tesori alla città in cambio dell'equipaggiamento necessario a intraprendere la spedizione. La loro partenza avviene in pompa magna ma di corsa, e Thorin si lascia dietro Kili, che in un atto di eroismo durante la fuga da Bosco Atro è stato colpito da una freccia avvelenata, Fili (Dean O'Gorman), che non vuole abbandonare il fratello, Oin (John Callen), che vuole occuparsi del compagno ferito, e Bofur (James Nesbitt), così, senza motivo (si era svegliato tardi). Mi chiedo dove la sceneggiatura voglia andare a parare dividendo in questo modo il gruppo: mentre i restanti membri dell'impresa raggiungono la Montagna Solitaria e riescono a entrarvi (sempre grazie a Bilbo), i quattro nani rimasti a Pontelagolungo vengono attaccati dai soliti orchi, e quando Kili rischia di essere ucciso arriva... no, non lo spettro di
Tolkien a fare a pezzi il set e a incenerire la sceneggiatura, e no, nemmeno i suoi eredi a far causa a Jackson, no, purtroppo neanche i fan ad accoppare Kili pur di non assistere a quello che già sappiamo avverrà: ad arrivare è Tauriel che, preoccupata per le sorti del nano ferito, ha abbandonato i suoi doveri nel reame di Bosco Atro e ha raggiunto a sua volta Esgaroth, pedinata dall'immancabile Legolas che la segue come un pulcino fa con la chioccia.
In una scena molto simile a quella in cui Aragorn guarisce Frodo, Tauriel cura il febbricitante e moribondo Kili usando l'athelas in un tripudio di litanie elfiche, sospiri e sguardi languidi. Le femmine della sala sono in un brodo di giuggiole. I maschi si lamentano perché il costume di scena fa vedere poco le tette della Lily. Io sono sotto la poltrona e sto mangiando una delle mie copie de Lo Hobbit chiedendo perdono a Tolkien.



L'ultima parte è dedicata alla Montagna Solitaria e a Smaug, finalmente visto in tutta la sua magnificenza: Bilbo s'infiltra nei sotterranei alla ricerca dell'Arkengemma, ma nonostante indossi l'anello il drago riesce a fiutarlo e si risveglia. Bilbo cerca di giocarlo, ma Smaug si avvede della presenza dei nani e si avventa su di loro per distruggerli: il gruppo tenta di imprigionarlo versandogli addosso un'enorme quantità di oro fuso, ma il drago si libera e spicca il volo verso Pontelagolungo per distruggerla. Perché il drago lasci degli intrusi nella tana, decidendo di punto in bianco di andare ad attaccare gli umani, non ci è dato sapere, così come non ci è dato sapere perché mai i nani credessero di poter uccidere un drago con dell'oro fuso. Finalmente, comunque, azione, azione vera intendo, utile allo svolgimento della trama, senonché dopo mezz'ora di fiamme e di gente che corre, anche questa scena finisce per stancare e non si vede l'ora che proiettino i titoli di coda.



Lo ribadisco: ce n'era bisogno?
Lo Hobbit, il libro, è una storia semplice, adattabile anche a un pubblico più adulto, essenziale, leggera e scanzonata. Tre film, pur saccheggiando le Appendici e le raccolte di Racconti, sono troppi. A meno che, come ha dovuto fare Jackson, non si allunghi e si inventi, ma che non mi si dica che non c'era altra scelta: la scelta c'era, narrare la storia in un unico film (cosa che poteva essere stata fatta efficacemente) o al massimo due (con l'aggiunta dei retroscena), ed è stato scelto altrimenti per ragioni puramente economiche. Lo Hobbit, com'è evidente da questo secondo capitolo, è un film nato per il 3D: visivamente spettacolare, povero di contenuti, infedele allo spirito del libro.

Film bocciatissimo, insomma, se non si fosse capito, ad eccezione di qualche isolato spezzone. Temo al pensiero di ciò che Racconto di un ritorno farà della Battaglia dei Cinque Eserciti.




30 dicembre 2013

Listopia: I milleuno libri da leggere almeno una volta nella vita (#621 - 640)

Quante volte ci siamo imbattuti in una di queste liste? La stessa BBC ne aveva stilata una da cento libri (piuttosto faziosa, se volete la mia opinione). Scopo di queste liste, è noto, non è permettere al lettore di scoprire nuovi libri e nuovi autori, bensì distruggere ogni sua pretesa di letterato facendolo sentire oltremodo ignorante per il gran numero di volumi che, a fine lista, scopre di non aver non solo mai letto, ma nemmeno sentito nominare. Noi vi proponiamo questa, pubblicata in volume, che già da diversi anni circola più minacciosamente della videocassetta di The Ring (o di Pootie Tang - questa è pessima, se la capite vergognatevi) distruggendo l'autostima di ogni lettore che credeva di aver letto tutti o la maggior parte dei cosiddetti libri da leggere prima di morire. La lista in questione ha i suoi difetti. Intanto è stata stilata approssimativamente nel 2005, per cui la sezione 2000 risulta incompleta; inoltre mette in lista solo narrativa, ed è eccessivamente sbilanciata su romanzi pubblicati nel corso del 1900, glissando decisamente su quelli pre-Ottocento. Continuiamo con un'altra carrellata di venti romanzi: nel corso degli articoli vedremo quali sono stati pubblicati in Italia e quali risultano ancora inediti.



621. Wild Harbour – Ian MacPherson (1936)

This is the world of universal future war. Faced with the threat of bombs, bacteriological warfare and poison gas, a married couple whose pacifism compels them to opt out of 'civilisation', take to the hills to live as fugitives in the wild.
Plainly and simply told, Wild Harbour charts the practical difficulties of living rough in the beautiful hills of remote Spayside. In this respect the book belongs to a tradition of Scottish fiction reflected in novels such as Stevenson's Kidnapped and Buchan's John Macnab. But it takes a darker and more contemporary turn, for although Hugh and his wife Terry learn to fend for themselves, they cannot escape from what the world has become.


622. Assalonne, Assalonne! – William Faulkner (1936)

Nel gennaio del 1937, recensendo su «El Hogar», il recente Assalonne, Assalonne!, Borges scriveva: «Conosco due tipi di scrittore: l'uomo la cui prima preoccupazione sono i procedimenti verbali, e l'uomo la cui prima preoccupazione sono le passioni e le fatiche dell'uomo. Di solito si denigra il primo tacciandolo di "bizantinismo" o lo si esalta definendolo "artista puro". L'altro, più fortunato, riceve gli epiteti elogiativi di "profondo", "umano", "profondamente umano" o il lusinghiero vituperio di "barbaro"... Tra i grandi romanzieri Joseph Conrad è stato forse l'ultimo cui interessavano in egual misura le tecniche del romanzo e il destino e il carattere dei personaggi. L'ultimo fino alla straordinaria comparsa di Faulkner. A Faulkner piace esporre il romanzo attraverso i personaggi. Il metodo non è del tutto originale ... ma Faulkner vi trasfonde una intensità quasi intollerabile. In questo libro di Faulkner vi è un'infinita decomposizione, un'infinita e nera carnalità. Lo scenario è lo Stato del Mississippi: gli eroi, uomini annientati dall'invidia, dall'alcol, dalla solitudine, dai morsi dell'odio. Assalonne, Assalonne! è paragonabile a L'urlo e il furore. Non conosco maggior elogio di questo». Né noi conosciamo migliore presentazione di questa. Assalonne, Assalonne! è apparso per la prima volta nel 1936.


623. Le montagne della follia – H.P. Lovecraft (1936)

Sicuramente la più avventurosa tra tutte le storie scritte da Lovecraft, Le montagne della follia è un romanzo che si svolge nell'Antartide, e narra di una spedizione scientifica che si trova alle prese con dei reperti vecchi di milioni di anni che si riveleranno in seguito degli esseri alieni giunti sulla Terra dalle profondità dello spazio cosmico. Questi esseri, tornati alla vita dopo un lungo periodo di ibernazione, faranno vivere agli scienziati protagonisti della vicenda una serie di avventure mozzafiato nel sottosuolo antartico, che li porteranno a contatto con le vestigia di un'antichissima civiltà scomparsa da millenni.


624. La foresta della notte – Djuna Barnes (1936)

Al centro della Foresta della Notte dorme la Bella Schizofrenica, in un letto dell’Hotel Récamier. T.S. Eliot, accompagnando questo libro alla sua uscita, scrisse che vi trovava «una qualità di orrore e di fato strettamente imparentata con quella della tragedia elisabettiana». E presto il romanzo sarebbe diventato una leggenda. La foresta della notte è del 1936.





625. Gente indipendente – Halldór Laxness (1936)

Nella selvaggia Islanda a cavallo fra i secoli XIX e XX, la vita del bracciante Bjartur di Sumarhús sembra giungere a una svolta: finalmente, dopo diciotto anni passati al servizio dell'ufficiale distrettuale, è in grado di acquistare un appezzamento di terreno nella brughiera orientale e dichiararsi indipendente. Dopo anni di pasti frugali e duro lavoro, animati unicamente da discussioni di poesia e letteratura, di politica e di religione, il variegato nucleo familiare di Bjartur potrà definitivamente insediarsi nella casupola di torba da lui stesso costruita. Non solo la storia di un contadino alla conquista della propria emancipazione, ma anche della società islandese dell'epoca, di cui l'autore mostra le piccolezze e le meschinità.


626. Auto da fé – Elias Canetti (1935)

Romanzo primo e ultimo di Canetti, narra l'incrociarsi delle vite di Kien, misantropo e profondo amatore dei testi antichi e Therese, la sua governante, dura e meschina. Da una parte un grande studioso, Kien, che ritiene superflui i contatti con il mondo e ama in fondo una cosa sola: i libri. Dall'altra la sua governante, Therese, che raccoglie in sé le più raffinate essenze della meschinità umana. Il romanzo racconta l'incrociarsi di queste due remote traiettorie e ciò che ne consegue: la minuziosa, feroce vendetta della vita su Kien, che aveva voluto eluderla con la stessa accuratezza con cui analizzava un testo antico.


627. The Last of Mr. Norris – Christopher Isherwood (1935)

First published in the 1930s, The Berlin Stories contains two astonishing related novels, The Last of Mr. Norris and Goodbye to Berlin, which are recognized today as classics of modern fiction. Isherwood magnificently captures 1931 Berlin: charming, with its avenues and cafés; marvelously grotesque, with its nightlife and dreamers; dangerous, with its vice and intrigue; powerful and seedy, with its mobs and millionaires—this is the period when Hitler was beginning his move to power. The Berlin Stories is inhabited by a wealth of characters: the unforgettable Sally Bowles, whose misadventures in the demimonde were popularized on the American stage and screen by Julie Harris in I Am A Camera and Liza Minnelli in Cabaret; Mr. Norris, the improbable old debauchee mysteriously caught between the Nazis and the Communists; plump Fräulein Schroeder, who thinks an operation to reduce the scale of her Büste might relieve her heart palpitations; and the distinguished and doomed Jewish family, the Landauers.


628. Non si uccidono così anche i cavalli? – Horace McCoy (1935)

Anni 30: in piena Grande Depressione Robert e Gloria, entrambi a Hollywood in cerca di un ingaggio, per sbarcare il lunario si iscrivono a una maratona di ballo nei pressi della spiaggia di Malibu: in cambio di vitto e alloggio i partecipanti devono danzare per giorni e giorni senza mai fermarsi, fino allo sfinimento. In palio ci sono mille dollari e, soprattutto, la possibilità di farsi notare dai produttori e dai registi che bazzicano questi eventi. La maratona attira sbandati senza quattrini e giovani in cerca di successo, e ben presto si trasforma in una vera e propria lotta per la sopravvivenza, dove non c'è spazio per i sentimenti né per la pietà umana e dove tutto, anche la sofferenza, è ridotto a spettacolo per gli occhi insaziabili del pubblico. Fino all'epilogo macchiato di sangue. Una storia nera e inquietante che ricorda fin troppo da vicino la nostra epoca malata di reality show.


629. La casa a Parigi – Elizabeth Bowen (1935)

Dopo aver pubblicato E' morta Mabelle, una raccolta di alcune fra le migliori short-stories di Elizabeth Bowen, presentiamo adesso un romanzo che, apparso nel 1935, viene a segnare per concorde ammissione dei critici uno dei momenti più alti delle sue capacità narrative.
La casa a Parigi si apre all'inizio su un mondo di tranquilla normalità. La signora e la signorina Fisher madre e figlia che, in passato, avevano gestito una piccola pensione per studentesse straniere nella loro casa a Parigi, hanno accettato di ospitare per una giornata due bambini in viaggio senza i rispettivi genitori.


630. I naufraghi – Graham Greene (1935)

Anthony Farrant abbandona l'Inghilterra degli anni Trenta e diventa l'uomo di fiducia, il guardiaspalle di un magnate svedese senza scrupoli e senza pietà. Nel mondo spietato dell'alta finanza internazionale Farrant trova la forza per riscattare lo squallore della sua esistenza.







631. Giorni in Birmania – George Orwell (1934)

Questo testo è il primo romanzo scritto da Orwell. Protagonista è il trentacinquenne John Flory, mercante angloindiano di legname che, insofferente ai codici di comportamento dei sahib bianchi e attratto dalla cultura orientale, si muove a cavallo tra due mondi senza riuscire a trovare una propria collocazione e, privo della forza morale necessaria per ribellarsi alla comunità bianca, rimane frustrato dagli inevitabili compromessi.


632. Il segreto delle campane – Dorothy L. Sayers (1934)

La pianura dei Fens è una terra desolata che vive sotto la continua minaccia della palude. I suoi abitanti sono taciturni e schivi e vivono un'esistenza dallo scorrere lento. Eppure, l'apparente grigiore nasconte ribollimenti drammatici: un giorno viene trovato un cadavere nel terreno della chiesa, orrendamente mutilato e dentro la tomba di un altro defunto. Il fatto accade a Fenchurch St. Paul, uno dei paesini dei Fens, poche case raccolte attorno a un'enorme chiesa. Nessuno è in grado di dare un nome al cadavere. Il rettore di Fenchurch conosce lord Peter Wimsey e gli viene spontano chiedere il suo aiuto. Lord Wimsey è tutto quello che gli abitanti del paese non sono: sofisticato, colto, ironico. Inoltre ha una sottile intelligenza analitica che gli permette di vedere al di là delle apparenze. E in quel macabro delitto intravvede una grandezza che supera qualunque immaginazione. Grandezza di metodo, soprattutto. Che cosa c'è di grande, si domanda, nel provincialismo di Fenchurch? La chiesa e le profonde gole di bronzo delle campane che cantano ognuna un suo inno e ognuna ha il suo nome. E come in un elegante gioco di prestigio, estrae dal suo cilindro la soluzione. Imprevista. Fulminante.


633. Il romanzo da tre soldi – Bertolt Brecht (1934)

Il Dreigroschenroman è il primo romanzo scritto dal grande drammaturgo, e sviluppa in un vasto intreccio narrativo motivi, ricerche e personaggi della Dreigroschenoper.


634. Romanzo con cocaina – M. Ageyev (1934)

È la storia, negli anni precedenti e successivi alla rivoluzione, di un giovane moscovita che si dipinge senza compiacimenti: attratto dalla voluttà dell’umiliazione e del dolore, tratta con crudeltà spaventosa la madre di cui si vergogna, seduce l’ingenua Zinočka e la contagia con la sifilide. Tra l’amicizia per Burkevic che divenuto bolscevico lo respingerà e lo sfortunato amore per Sonja, la cocaina lo accompagnerà nella sua discesa agli inferi.




635. Il postino suona sempre due volte – James M. Cain (1934)

E' la storia, scarna, di una passione devastante, che ha per teatro uno scalcinato distributore di benzina su una statale a pochi chilometri da da San Francisco, per ostacolo un marito rozzo e brutale e per via di fuga nient'altro che la tenebra. A questo romanzo ci si arrende al primo incontro, come Frank Chambers a Cora, uno dei più temibili e vessatori fantasmi femminili che abbiano mai abitato le pagine di un romanzo: nelle parole dello stesso Cain, neppure una donna, ma "il desiderio fatto realtà".


636. Tropico del Cancro – Henry Miller (1934)

Romanzo in prima persona, o meglio vera e propria autobiografia con il ritmo narrativo di un romanzo, l'opera racconta, con linguaggio fluidamente realistico, la vita e le imprese dell'autore e dei suoi amici, aspiranti artisti, nei quartieri poveri della Parigi degli anni '30. Una storia piena di alberghi modesti, di stanze infestate dalle cimici, di risse e di sbornie ricorrenti, di emigrati, di truffe e di postriboli, ma soprattutto un'avventura umana di straordinario spessore, un simbolico viaggio lontano da tutte le convenzioni, alla scoperta della propria identità. Apparso nel 1934 a Parigi, il libro conquistò subito notorietà più per i suoi presunti contenuti pornografici che per il suo straordinario e innovativo valore letterario.


637. Una manciata di polvere – Evelyn Waugh (1934)

Tony Last, il protagonista di Una manciata di polvere, è un gentleman inglese, tra le cui peculiarità caratteriali c'è certamente la sciocchezza.
Tony non capisce mai niente: sbaglia grossolanamente nei suoi giudizi, nelle sue previsioni, nella sua valutazione morale e intellettuale del prossimo.
Tony è un imbecille, ma è un imbecille meraviglioso, quasi eroico nella sua riluttanza ad accettare la bruttezza morale di ciò che lo circonda.
In un mondo in cui ciò che conta è soltanto il potere, Tony rimane un idealista che, nonostante tutte le prove contrarie, pensa che esistano al mondo la bellezza, l'onestà e la rettitudine. Fra tanti eroi del romanzo degli anni trenta, quasi tutti immersi nell'impegno politico e intellettuale, spicca Tony Last, questo glorioso, amabile imbecille.


638. Tenera è la notte – Francis Scott Fitzgerald (1933)

Francis Scott Fitzgerald ha condensato come in uno straziante testamento in questo libro che conosce molte versioni, ma non quella definitiva, la cronaca del naufragio di una generazione, la storia di un amore esigente e crudele vissuto, anzi patito, come un peccato capitale, la denuncia della seduzione del denaro e la confessione dell'inevitabile sconfitta della sensibilità.





639. Teniamo duro, Jeeves – P.G. Wodehouse (1933)

Pelham Grenville Wodehouse (Guildford, Surrey, 1881 - Southampton, New York, 1975) è il più importante scrittore umoristico del '900 e ancora oggi uno dei più popolari. Le sue opere - circa 90 romanzi e svariate raccolte di racconti, oltre a commedie e soggetti per film - sono pubblicate regolarmente in non meno di 25 lingue. Il suo personaggio più famoso, una figura ormai proverbiale, è Jeeves, l'impeccabile e onnisciente maggiordomo al servizio di Bertie Wooster, giovane signore che si caccia sempre nei guai. I due sono protagonisti di 12 romanzi e numerosi racconti.


640. Chiamalo sonno – Henry Roth (1933)

Il «caso Henry Roth» è forse unico nella letteratura del Novecento. Nel 1934 Chiamalo sonno, opera prima di uno sconosciuto newyorkese di 28 anni, fu salutato dalla critica come un capolavoro. Poi l'oblio. Roth si ritirò nel Maine ad allevare anatre, e per decenni il suo silenzio è stato interrotto solo da qualche raro racconto. Nel 1960 alcuni critici influenti promossero la ristampa del suo romanzo e rapidamente, nel giro di pochissimi anni, Chiamalo sonno ha superato i 2 milioni di copie e oggi è unanimemente considerato un classico, uno dei massimi risultati della letteratura del secolo, non solo statunitense. Si può leggere Chiamalo sonno come un romanzo di formazione e come un romanzo sociale, come descrizione della New York degli inizi del Novecento e come studio di rapporti familiari filtrati da una sensitiva coscienza infantile, come «romanzo ebraico» e come metafora del rapporto di trasformazione dell'europeo in America.

Speciale Natale: Hogfather - Terry Pratchett

Terry Pratchett, popolare autore britannico nato a Beaconsfield nel 1948, è noto in tutto il mondo per la sua serie di romanzi umoristici Mondo Disco (Discworld), iniziata nel 1983 con il romanzo Il colore della magia e arrivata ormai al quarantesimo volume pubblicato in UK a ottobre, Raising Steam. I volumi, che si è soliti dividere in sottocicli, sono romanzi fantasy che parodiano tutti i cliché della letteratura fantastica: il ciclo Scuotivento è dedicato all'omonimo mago pasticcione e all'Università Invisibile; quello sulle Streghe ha per protagonista il trio Nonnina Weatherwax, Tata Ogg e Magrat Garlic, che rappresentano i tre volti della Triplice Madre (la vecchia, la madre e la vergine); il ciclo Guardia, dai toni più giallistici, è incentrato sulle indagini della Guardia Cittadina di Ankh-Morpork; l'arco narrativo Morte presenta come protagonista la Morte personificata, che compare come cameo in praticamente tutti gli altri romanzi; Tiffany è rivolto ai più giovani e racconta le avventure di un'apprendista strega; Moist von Lipwig, il ciclo più recente - composto da soli tre romanzi - e più adulto, è dedicato alle divertenti peripezie di un truffatore. Hogfather, ventesimo romanzo ambientato nel Mondo Disco, è il quarto del sottociclo Morte. In Italia, dove i romanzi sono stati inizialmente tradotti da Salani in ordine sparso e solo di recente si è intrapresa la pubblicazione in ordine cronologico (l'ultimo romanzo tradotto, All'anima della musica!, è uscito in UK nel 1994 come sedicesimo volume del ciclo), è tuttora inedito.


IT'S THE NIGHT BEFORE HOGSWATCH AND IT'S TOO QUIET.
Where is the big jolly fat man? Why is Death creeping down chimneys and trying to say Ho Ho Ho? The darkest night of the year is getting a lot darker...
Susan the gothic governess has got to sort it out by morning, otherwise there won't be a morning. Ever again...
The 20th Discworld novel is a festive feast of darkness and Death (but with jolly robins and tinsel too).
As they say: You'd better watch out...


Recensione

Ankh-Morpork si accinge a festeggiare Hogswatch, la notte magica in cui tutto può accadere, persino che un enorme uomo-maiale vestito di rosso arrivi nelle case a bordo di una slitta trainata da maiali, si cali giù dal camino, beva lo sherry e mangi i tortini lasciati dai bambini prima di andare a letto, per poi metter doni nelle loro calze appese se sono stati buoni.
Quando tre figure incorporee e incappucciate si presentano alla Gilda degli Assassini commissionando l'omicidio di Hogfather, il capo pensa a uno scherzo. Ma quando nelle casse compaiono milioni di dollari, non può far altro che accettare il folle incarico e affidarlo al più folle assassino della Gilda, l'inquietante Mr. Teatime, che più che al denaro promesso è interessato alla sfida che comporta l'eliminazione di un'entità che esiste solo in quanto personificazione antropomorfica.
Anche Susan Sto Lat, nipote acquisita di Morte che desidera solo una vita normale, aspetta Hogswatch dopo aver messo a letto i bambini di cui è governante. Solo che, invece di Hogfather, dal camino si cala suo nonno con un vestito rosso e una barba finta, insieme al maggiordomo Albert in abito verde e cappellino a punta: Morte ha deciso di sostituirsi a Hogfather, e Susan, temendo che il nonno sia impazzito e abbia tolto di mezzo quello vero, si ritroverà suo malgrado a indagare.
Nel frattempo, all'Università Invisibile compare lo Gnomo delle Verruche.

Terry Pratchett catapulta il lettore in una magica parodia a tema natalizio, trasformando il grasso e bonario vecchietto nel più triviale Hofather (letteralmente "Babbo Maiale"). Ma il romanzo, che trasuda geniali trovate, offre all'autore l'occasione di inoltrarsi ancora una volta nel mondo delle religioni, della fede e delle credenze popolari. L'innocuo e benevolo Hogfather non è altro che una divinità nata insieme all'uomo in tempi di sacrifici per far sorgere il sole, ed evolutasi insieme all'umanità per andare infine a ricoprire il ruolo che oggi le spetta grazie alla fede dei bambini, esattamente allo stesso modo in cui le divinità maggiori nascono, esistono e mutano in misura della fede dei loro devoti.

Il plot intreccia coralmente le vicende di diversi personaggi, tutte avvenute nel corso di un'unica, dilatata notte: mentre Mr. Teatime mette in atto il suo piano per eliminare Hogfather, obbedendo inconsapevolmente a un piano più grande e oscuro deliberato da entità superiori, i Regolatori, Morte viaggia a bordo della slitta di Hogfather per consegnare i doni ai bambini in sua vece, mantenendo così viva la loro fede. Con astuzia è riuscito a coinvolgere nella ricerca del vero Hogfather la nipote Susan, che può arrivare dove a lui, a sua volta entità super partes, non è permesso. Se il romanzo si fosse limitato a questi intrecci il risultato sarebbe stato migliore, ma - come quasi sempre - Pratchett non riesce a resistere alle sbavature, e arricchisce un romanzo già lungo e saturo di un altro sottointreccio ambientato nell'Università Invisibile, dove compaiono nuove divinità minori di cui di cui l'Arcimago Ridcully cerca di scoprire l'origine interrogando una nuova macchina pensante, l'Hex.

Geniale l'idea di affidare un romanzo a tema natalizio a uno dei personaggi più cinici usciti dalla penna di Pratchett, la giovane Susan, tra i cui principali precetti impartiti ai pargoli annovera il don't get afraid, get angry insieme alla raccomandazione di non temere i mostri sotto il letto ma di pestarli con l'attizzatoio. Per Susan, che ha tagliato i ponti con la famiglia e affronta la vita con impagabile stoicismo, gli spiriti faranno tutto in una notte. Ma niente finale buonista per Terry Pratchett, che di buonista - fortunatamente - non ha assolutamente nulla. Eppure nemmeno lui, forse, data l'occasione, è riuscito a resistere a un po' di sentimentalismo.


Sottociclo di Morte:
  • Morty l'apprendista, 1991 (Mort)
  • Il tristo mietitore, 2008 (Reaper Man)
  • All'anima della musica!, 2013 (Soul Music)
  • Hogfather, inedito in Italia
  • Thief of Time, inedito in Italia

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Hogfather
  • Autore: Terry Pratchett
  • Editore: Gollancz
  • Data di Pubblicazione: 2013
  • ISBN-13: 9781473200135
  • Pagine: 368
  • Formato - Prezzo: Rilegato - 9,99 £
 

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