30 dicembre 2009

Intervista a Rosa Ida d'Emidio, autrice de "La Rua"

L'autrice


Rosa Ida D'Emidio è l'autrice de La Rua e di numerosi romanzi gialli tra cui ricordiamo: Ombre sull'iride, Colpo al cuore dell'iride, Quattro sassi e L'altro colore dell'iride, tutti pubblicati con la casa editrice Eclissi







Il libro


Epoca contemporanea. Piccola città di provincia del centro Italia. Nunzio è un ragazzo tanto giovane quanto inesperto della vita che ha da poco ricevuto un'eredità inaspettata: la grande "casa del melo". L'arrivo di questa dimora ricca di fascino e di storia lo mette al centro delle ire di numerosi parenti che non accettano il fatto compiuto. Nessuno comprende infatti il motivo per cui il defunto nonno abbia nominato proprio Nunzio come beneficiario di quella grande e antica casa che, a prima vista, sarebbe spettata di diritto ad altri membri della famiglia. Gli zii insistono sul fatto che Nunzio non sia in grado di occuparsi di tutti i lavori di manuntenzione necessari e spingono affinchè ceda l'eredità asserendo di essere molto più capaci di lui di occuparsi dell'ormai datata dimora. Ma accade qualche cosa d'imprevisto. Un'anziana signora si presenta alla porta decisa non solo ad affittare ma anche a restaurare a proprie spese un intero piano della casa del melo. Superando le remore iniziali, Nunzio accetta e per lui avrà inizio un'avventura umana ed esistenziale che cambierà ogni sua certezza. Berenice, questo è il nome della sua nuova inquilina, non sembra solo portare un tocco di "originalità" e di vita nuova...Berenice ascolta e comunica con l'ambiente circostante, sa riconoscere la bellezza e l'arte... e sembra soprattutto essere uno degli obbiettivi, se non addirittura l'artefice, di alcuni strani omicidi che sconvolgono la tranquillità della vita di provincia. Ciò che stupisce gli inquirenti è che le vittime del misterioso omicida sembrano essere solamente inermi ed innocenti anziani. Ma forse la persona o le persone che si celano dietro i delitti non sono semplicemente degli squilibrati. E forse le vittime non sono solo dei vecchietti indifesi. Forse anch'essi celano, dietro le loro vite apparentemente tranquille, un passato poco chiaro. E magari sanno anche perché Berenice è tornata in un luogo che l'ha vista bambina, un luogo che racchiude segreti incofessabili nascosti fra le pieghe degli anni e della storia stessa. Sara' compito di Nunzio e di Mariangela, la sua fidanzata, comprendere cio' che sta accadendo per fare finalmente giustizia e chiudere un conto aperto molti anni prima della loro nascita e che putroppo, involontariamente, li coinvolge in prima persona.



L'intervista



1. Innanzittutto vorrei farti i complimenti per il successo dei tuoi libri gialli, di cui l’ultimo uscito è proprio La Rua. Com'è nato questo libro?

Come nascono tutti i miei libri. Ho inventato una persona (Nunzio) e l’ho collocata in un posto preciso, le ho dato una vita. Poi il resto è venuto da solo. Non so mai all’inizio di un libro come si svilupperà la storia.


2. Qual è il tuo legame con il luogo di ambientazione del tuo romanzo?

La città di provincia dove si svolge il romanzo è la mia città di origine, Ascoli Piceno. O meglio, è quello che ricordo della mia città com’era quarant’anni fa, perché in realtà, dopo essermi trasferita a Milano, Ascoli l’ho frequentata pochissimo.


3. Berenice è il personaggio principale attorno a cui si svolge la vicenda. Il suo temperamento artistico, stravagante, generoso, coraggioso e determinato ha conquistato i lettori. Ci sono aspetti di lei che ti riflettono?

Sì, certo. Berenice ha molto di me, ma più di come vorrei essere che di come sono, forse. Nunzio, invece, con i suoi dubbi e le sue debolezze, è la parte di me più sincera.


4. Si dice che quando si crea un personaggio sia necessario “immergersi in esso” pensando come penserebbe lui, reagendo come reagirebbe lui e desiderando ciò che desidererebbe lui. Come è avvenuto tutto ciò con Berenice?

I personaggi hanno la loro anima. Non è necessario immergersi in essi. Sono vivi, fanno quello che vogliono e dicono quello che vogliono. A volte, correggendo la prima stesura, sono io che li censuro e spesso mi riesce difficile perché sento che si oppongono e non me ne sono per niente grati.


5. Nunzio è l’altro personaggio principale che anima la vicenda. Anche lui rappresenta l’indipendenza, l’ingenuità e l’entusiasmo giovanile. Come è nato il suo personaggio?

Volevo mettere al centro della storia un personaggio maschile giovane, perché negli altri libri non l’avevo ancora fatto, i personaggi giovani erano tutti femminili. All’inizio non è stato facile, nelle prime pagine avevo il sospetto che Nunzio fosse gay e l’idea mi piaceva. Poi ho capito che non lo era.


6. La storia si svolge in un piccolo paese in cui i ricordi e i soprusi sofferti da una famiglia ebrea durante la seconda guerra mondiale sono ancora molto vivi e chi cerca di ottenere giustizia e verità viene ostacolato in ogni modo possibile. Come è nata l’idea di questa vicenda?

In parte forse dipende dal fatto che ho vissuto nella mia città quando la guerra era appena finita. Il clima del tempo mi è rimasto dentro, nel ricordo più profondo, anche se di fatto le vicende raccontate sono inventate di sana pianta.
In parte, però, credo che davvero nelle piccole città o anche semplicemente nelle famiglie numerose, nei luoghi “chiusi” ci siano molti intrighi, molti segreti e molti “occhi aperti dietro le persiane socchiuse”. Infine, sicuramente mi ha influenzato il momento storico in cui viviamo, con quella miscela di intolleranza, di egoismo, di prepotenza, di ingiustizia che sentiamo quotidianamente sulla nostra pelle.


7. Parlaci della casa Editrice Eclissi, per cui scrivi anche tu. Cito una frase dal sito della casa Editrice Eclissi “La casa editrice Eclissi, nata nell’anno 2006, si propone di interpretare il mestiere di editore in maniera attenta alla qualità delle proposte editoriali e alla domanda medio-alta di quel lettore che cerca una letteratura di evasione di buon livello”. Che difficoltà si incontrano nel tenere fede a questo obiettivo e quali soddisfazioni si ottengono?

Eclissi è nata proprio per dare spazio ai giovani talenti sconosciuti che difficilmente vengono presi in considerazione dalle grandi case editrici. Per ora è piccola, ma è sana, libera, indipendente, punta sulla qualità dell’offerta e io credo che crescerà e si affermerà sempre di più. Le difficoltà sono enormi perché il mercato editoriale in questo momento è “inquinato” e, secondo me, due sono i fattori che ostacolano la produzione di buoni libri. Il primo è che tutti scrivono e pochi leggono. Ma questo sarebbe irrilevante ai fini del mercato se si pubblicassero solo i libri veramente meritevoli. Invece le case editrici grandi ormai pubblicano solo autori che hanno già un nome noto, indipendentemente dall’interesse di quello che scrivono e le case editrici piccole, per sopravvivere, si sono messe a chiedere contributi e pubblicano anche libri scadenti. L’altro fattore di inquinamento è la pubblicità ingannevole. Non solo si legge poco, ma inevitabilmente si finisce col leggere solo quello che i media propongono con insistenza, che non sempre è il meglio. In questo ginepraio Eclissi fa quel che può: non chiede contributi agli autori e sceglie liberamente i migliori tra le centinaia di manoscritti che riceve. Per ora pensa di far bene ed è soddisfatta della risposta del pubblico, poi si vedrà.


8. La casa editrice si dedica principalmente a due collane: i gialli e le storie di vita personali. Sempre citando il sito della casa editrice, la seconda “esce dai confini del giallo per affrontare senza mediazioni e finzioni la fatica del vivere e del morire”. Una scelta editoriale coraggiosa che spesso fatica a farsi ascoltare dal pubblico. Eppure, per molti lettori, le storie di vita sono quelle più importanti perché insegnano e aiutano. Sei d’accordo?

Sì, certo. Penso che questa seconda collana che ha come logo “I gatti” può incontrare davvero interesse da parte del pubblico. I tre libri che abbiamo pubblicato finora sono davvero molto belli. Il problema è che per la letteratura non di genere è ancora più difficile uscire sui banchi delle librerie e contendere il posto al bestseller del momento che magari è meno valido, ma che grazie al meccanismo di cui ho parlato sopra, il libraio è sicuro di vendere. Bisogna insistere, non credere al commesso che dice che il libro che chiedete è irreperibile, che non è distribuito, che non si può ordinare. Magari pacchi di quello stesso libro in quello stesso momento giacciono a pochi metri da voi nei ripostigli e negli scantinati, ancora sigillati.


9. Parliamo della collana di romanzi gialli. Quali temi vengono più frequentemente affrontati?

Eclissi sta cercando di trovare quella che ha chiamato “la strada italiana al giallo/noir”. Sta pubblicando storie ambientate nelle nostre città e nei nostri paesi e nei più diversi ambiti lavorativi, non certo per provincialismo, ma perché è una cosa abbastanza nuova, che pochi hanno fatto prima e che il lettore sembra gradire. Poi c’è la ricerca di stili diversi, di nuove formule sia tematiche che narrative. Ogni libro è del tutto differente dall’altro e gli autori vengono scelti anche per la loro capacità di portare qualcosa di particolare.


10. Qual è il tuo rapporto con il pubblico?

Eclissi intende anche saggiare i gusti del pubblico per poterli meglio soddisfare.
Il mio pubblico mi gratifica moltissimo. Mi stupisco sempre quando qualcuno che magari non ricordo di aver mai conosciuto mi ferma per strada per dirmi quanto gli è piaciuto questo o quel libro. E’ un pubblico attento, esigente ma molto generoso. Io sono fiera delle mie opere, come tutti gli autori, ma sono anche molto schiva. Non sembra, ma prima di ogni presentazione sto male una settimana, vorrei nascondermi sotto terra, partire per la legione straniera e giuro che in futuro farò solo la nonna. Poi comincio a parlare del mio libro ed entro in un altro mondo in cui esistono solo i miei personaggi.


11. Quali sono i tuoi progetti futuri?

Ho in cantiere un altro libro, sempre rigorosamente giallo, questa volta, finalmente, ambientato a Milano. E inoltre continuerò attivamente a collaborare perché Eclissi acquisti sempre più lettori e allarghi i suoi confini con nuove idee e nuove proposte.


Grazie mille, Rosa per questa intervista.

Buona lettura a tutti.

29 dicembre 2009

Pane e tempesta - Stefano Benni

Quali sono le ventisette azioni dell’uomo civile?
Lo scoprirete a Montelfo, il paese più magico e fantastico del mondo. In un romanzo di sfrenata comicità. Stefano Benni monta un grande circo di creature indimenticabili: il Nonno Stregone, Ispido Manidoro, Trincone Carogna, Sofronia e Rasputin, Archimede detto Archivio, Frida Fon, lo gnomo Kinotto, il beato Inclinato, Simona Bellosguardo, il gargaleone e il cinfalepro, Fen il Fenomeno, Piombino, Raffaele Raffica, Alice, don Pinpon e don Mela, Zito Zeppa, la Jole, Gino Saltasù, il sindaco Velluti, Ottavio Talpa, Bubba Bonazzi, Bum Bum Fattanza, Nestorino e Gandolino, Sibilio Settecanal, Tramutone, la Mannara, Giango, i fratelli Sgomberati, Bingo Caccola e Tamara Colibrì, Maria Sandokan, Adelmo il Cupo, Checca e Caco.

Recensione

Il mio primo libro di Stefano Benni l'ho letto in meno di due giorni. Non è lunghissimo, poco meno di duecentocinquanta pagine, e mi ha lasciato soddisfatto.

Per chi è cresciuto in un piccolo paese dove i bar hanno clienti fissi e con soprannome e patronimico, dove chi arriva anche da una contrada vicina viene seguito con lo sguardo come un alieno finché non sparisce all'orizzonte, dove spesso c'è una passeggiata con belvedere su paesaggi non urbanizzati, leggere "Pane e tempesta" dà un brivido di nostalgia profonda: sembra di essere lì, in certe giornate d'estate, deserte, dove l'unico movimento d'aria è causato dalle carte della briscola o del tressette col morto. Montelfo potrebbe essere un qualunque villaggio collinare dell'Italia centro-meridionale.

In un susseguirsi di cornici concentriche dallo stile un po' barocco, quasi da "mille e una notte", come in una spirale, si precipita nella vita di un énsemble formato da una folla di personaggi, talora in disaccordo, spesso fuori tempo tra di loro. I racconti richiamano in vita episodi della seconda guerra mondiale, scene dell'Italia del boom economico e via a seguire, fino al vortice senza uscita dell'attuale crisi economica e politica.

Probabilmente molti dei motivi del Bar Sport, che fanno parte da tempo del repertorio dello scrittore, potrebbero risultare bolsi; a me hanno messo voglia di leggere altro di Benni. E poi c'è da chiedersi: ma un autore, se non cambia stile, risulta necessariamente ripetitivo?

Lasciandosi cullare dai racconti di nonno stregone si arriva dolcemente sul limitare del bosco, luogo della coscienza collettiva dove risiedono i misteri e le storie di una comunità, che, per quanto piccola e marginale, assume comunque un'identità propria. E la ricerca di quest'identità, diventata necessaria davanti alla minaccia che rischia di sostituire il piccolo e bisunto Bar Sport con un moderno centro commerciale, in stile "non luogo" alla Augè, trova la sua dimensione nel racconto dei racconti.

Come sostiene uno dei personaggi - nessuno dei quali viene troppo approfondito, perché altrimenti si perderebbe la coralità come funzione ineludibile del gruppo - se anche il Bar Sport, sede fisica della vita comune, dovesse soccombere e venire cancellato dall'incedere delle ruspe che incarnano una modernità spietata e spersonalizzata, non per questo verrebbero cancellati anche i legami che quel luogo ha testimoniato nella sua rassicurante e quotidiana monotonia. Finché rimarranno vivi nel cuore e nel racconto dei protagonisti, sopravviveranno a ogni avversità, a ogni tempesta.

Il racconto ci lascia sul limitare del bosco, tra il buio e la penombra di questo intrico di fronde e rami secolari, dove la natura ha ricoperto la strada asfaltata e ogni traccia umana, sull'orlo dell'ignoto. La scelta di varcare la soglia del ricordo attraverso il racconto, quella spetta solo al lettore.

Dettagli del libro

  • Titolo: Pane e tempesta
  • Autore: Stefano Benni
  • Editore: Feltrinelli
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: I Narratori
  • ISBN-13: 9788807017919
  • Pagine: 248
  • Formato - Prezzo: Brossura, sovraccoperta - Euro 19,99

28 dicembre 2009

I giorni della Rotonda - Silvia Ballestra

San Benedetto del Tronto, vigilia di Natale del 1970: il peschereccio Rodifa naufragio vicino al porto, sotto gli occhi della città. Le operazioni di recupero dei corpi tardano e in paese scoppia la rivolta. Inizia così un decennio di militanza che terminerà nel 1981, con il tragico rapimento di Roberto Peci, fratello del primo pentito delle Brigate Rosse. A ripercorrere le storie di quei ragazzi che sognavano la rivoluzione è Aldo Sciamanna in una lisergica notte passata nel carcere militare di Torino. Le loro sono vite destinate a scomparire, annichilite dalla violenza e dal più implacabile strumento di repressione dei primi anni Ottanta: l’eroina. È l’eroina che trasforma la Rotonda di San Benedetto da centro politico a ricettacolo di “appestati”, teatro di un’autodistruzione funzionale al potere. Così la quindicenne Mari assiste alla caduta, crudele e docile, di una generazione. In questo clima (recentemente definito da uno storico “glaciazione degli anni Ottanta”), solo la letteratura può ridare la parola a chi è disposto a farsi salvare.
Alternando i toni dissacratori e ironici di sempre a un incedere più amaramente assorto, Silvia Ballestra ci consegna un romanzo rivelatore delle troppe rimozioni della nostra storia recente, ricordandoci che è allora che l’Italia, fra silenzi e superficialità, ha imboccato la strada del declino.

Recensione

Ci sono solo un paio di modi per raccontare un'epopea, sia pure di provincia quale questa: o la racconti da dentro ma allora devi essere Omero (o, al massimo, Tolstoj), oppure la guardi da lontano, da fuori, e la interpreti con distacco. Con la distanza della separazione.

Silvia Ballestra ha fatto così. Ha scelto poi l'architettura della suite: tre sono i movimenti (dispari: 1981, 1983 e 1985) che, raccontando se stessi, leggono a ritroso eventi precedenti. Cittadina marinara San Benedetto del Tronto (in acronimo, Sbt), nascosta in fondo alla carta della regione Marche, ormai quasi in odore di sud: una semi-terronia, sollucchero per leghisti di ritorno. Che invece le sue radici, ripiantumate dal romanzo di Ballestra, le ritrova tutte in una stagione di lotte politiche importantissime, di civismo diffuso, di solidarietà popolare autentica. Ancorché giovanile. Perché sono i giovani sanbenedettesi i veri motori della Storia romanzesca qui narrata. Sono gli anni Settanta che si dispiegano, a Sbt, partendo da un mito fondativo dolorosissimo e, per questo, indelebile: il naufragio del peschereccio "Rodi" il 23 dicembre 1970.

Un relitto rovesciato che affondava lentamente davanti alla costa della città. Tanto vicino che sembrava lo si potesse toccare. Nessuno ebbe il coraggio di farlo e vi morirono (per imperizia dei mancati soccorsi? per avidità di chi avrebbe potuto fornire mezzi alternativi a quelli preposti? per disorganizzazione delle Autorità? Eccetera direi) dieci persone o, meglio, sette morti e tre dispersi, come in una guerra. A quella vergognosa vicenda (dei soccorsi inviati quasi una settimana dopo; la "scusa" fu il mare troppo grosso) la città si ribellò in massa: blocchi stradali e ferroviari, proteste della popolazione, barricate e falò per le strade. E quei giovani di cui dicevo, quelli politicizzati, quelli di sinistra (erano gli anni di Lotta Continua), si fecero carico delle grida di dolore, interpretarono il lutto della città intera, seppero trasformare il malcontento e la ribellione in agire politico: da quei giorni di lotta e dall'attività politica di base dei mesi successivi nacque il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore pesca, che in Italia non c'era ancora.

Da qui o, meglio, nei deliri lisergici del protagonista del primo movimento assistiamo a come, nel giro di pochi anni, l'eroina inonda San Benedetto (la città sarà, proporzionalmente, una delle capitali nazionali del flagello droga, al livello delle metropoli come Roma o Milano) spazzando via un'intera generazione (senza nemmeno Videla, senza voli della morte, bastavano siringhe piene della sostanza "giusta"), portandosi dietro buona parte di quella consapevolezza ed impegno politici, distruggendo un tessuto sociale assolutamente sano e che si reggeva su valori forti seppur tradizionali, arrivando infine alla perdita di ogni innocenza.

Quando la città diventa teatro del rapimento di Roberto Peci (fratello del primo pentito BR, Patrizio) e poi assiste, sgomenta ed impotente, al suo folle assassinio, l'innocenza scompare e si chiude un'epoca. Finisce un mondo. Il seguito, così come il romanzo tratteggia - secondo movimento 1983 -, sarà la fuga nel personale (che sarà pure politico, ma "solo" politico singolare, di individuo) con l'educazione sentimental-sessuale di Mari, quindicenne alle prese con i primi turbamenti, con le delusioni procurate dai maschietti, con la difficoltà di rapportarsi all'istituzione-famiglia, con il soccorso finale (o la resa) a quelle anime morte con una siringa nel braccio. Nel terzo atto entra in scena, celata come si deve dietro il filtro della "letteratura", l'autrice e la voce in prima persona declinata al "tu" si tinge di una certa malinconia o di un'amarezza che suona invece maturità.

E' l'età adulta, è la distanza, è quel distacco di cui parlavo all'inizio. Lo sguardo da lontano (Ballestra vive a Milano ormai da parecchi anni) che segna una cifra emotiva, prima ancora che stilistica: perché lo sguardo ha bisogno della messa a fuoco e la voce necessita di spazio per raggiungere il cuore del lettore. Per concupirne i ricordi. Alla fine, la Storia, questo romanzo, tocca le corde della memoria comune (quella del Paese e non del "paese") perché racconta qualcosa che è accaduta a Sbt e, in maniera più che identica, in ogni altro angolo d'Italia. Discoteche e "look parade", generazioni che si susseguono e che, della precedente, sembrano conservare il peggio o il nulla o chissà. Così coltiviamo indignazione, malinconia, partecipazione, incazzatura, dolore. Poi disimpegno, solitudine, vacuità.

Gli anni Ottanta ormai sono lontani, si sono portati via tutto, come una piena. Che però è un vuoto. Profondo, infinito. Definitivo. Ma, come Ballestra, non siamo tristi: "tempo un paio d'anni e vieni via pure tu", si dice nel finale. Siamo venuti via. Scappando. E lontani.

Dettagli del libro

  • Titolo: I giorni della Rotonda
  • Autore: Silvia Ballestra
  • Editore: Rizzoli
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: La Scala
  • ISBN-13: 978-88-17-03660-3
  • Pagine: 376
  • Formato - Prezzo: Rilegato, sovraccoperta - Euro 18,50

25 dicembre 2009

Porci con le ali - Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera

In questo libro, emblema della generazione del Sessantotto, due ragazzi della Sinistra studentesca scoprono la vita, il suo sapore, e raccontano in presa diretta le loro emozioni. L'iniziazione al sesso, al piacere, la ricerca dell'amore, il dolore, la solitudine, la fantasia: tutto si intreccia nelle loro riflessioni, tessute con la naturalezza e la forza della sincerità. Sullo sfondo di una stagione disordinata e vivace questi ragazzi finiscono per assomigliare davvero a bizzarre creature dotate di invisibili ali col difficile compito di librarli in aria. Ma è la loro fame di vita, la loro autentica passione a riscattarli immancabilmente.

Recensione

Sottotitolo: L'amore ai tempi della ribellione. Per Natale ecco un bel libro che di natalizio non ha proprio nulla, a cominciare da un linguaggio molto "giovanile" (fa strano leggere una bestemmia) e dalle situazioni, anche quelle eufemisticamente "giovanili".

I due protagonisti (Rocco e Antonia, pseudonimi degli autori) vivono una storia d'amore tra sesso eterossessuale, omosessuale, masturbazione, incomprensioni genitore/figlio, collettivi, marxismo, rivolte studentesche e la seconda metà degli anni '70. Avendole vissute di persona, ne viene fuori un libro discontinuo (spesso si cade nella trappola del maschio stronzo/femmina puttana) e a tratti quasi illogico nella scelta stilistica (leggendo la prefazione, si viene a sapere che non era nemmeno concepito per la stampa ma era nato come quasi come un gioco), ma appassionato e molto più vero di tanti libretti per e sugli adolescenti che tanto di moda vanno oggi. In più, "Porci con le ali" non è solamente un reperto di un'epoca ormai passata lontana anni luce da noi, ma è una lettura che risulta piacevole tutt'oggi, risentendo il giusto della sua collocazione temporale, e sembra quasi dire che non sono gli adolescenti ad essere cambiati, ma è ciò che li circonda che li fa apparire diversi.

In definitiva mi sento di consigliarlo, anche se avere al massimo vent'anni o più di quarantacinque può aiutare nell'apprezzare la lettura.

Dettagli del libro

  • Titolo: Porci con le ali
  • Autore: Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera
  • Editore: Mondadori
  • Data di Pubblicazione: 2001
  • Collana: Oscar Bestsellers
  • ISBN-13: 9788804416050
  • Pagine: 165
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 9,00

24 dicembre 2009

Auguri di Buone Feste


Auguri di Buone Feste...


...dallo staff del Ghetto dei lettori!

22 dicembre 2009

Ingiustizia è fatta - Gian Paolo Grattarola

"Ingiustizia è fatta" è un romanzo liberamente ispirato ad una vicenda realmente accaduta. È la denuncia coraggiosa di una verità insopportabile da parte di una donna a cui il Tribunale dei Minori ha sottratto la figlia per affidarla al padre, ignorando che su di esso pende l'orrenda accusa di aver usato violenza su di lei prima e sulla figlia dopo. In queste pagine è narrata la lotta disperata di questa donna contro un sistema ingiusto e corrotto.



Recensione

Ingiustizia è fatta è un libro che colpisce per la coltre di omertà e di favoritismi di cui si possono macchiare coloro che avrebbero invece il compito di tutelare i diritti dei più deboli. E, in modo particolare, dei bambini. Ciò che fa riflettere è quanto sia fragile la posizione di una giovane donna che non dispone di mezzi economici e di contatti influenti di fronte ad un uomo "potente".
Karen ha tutti contro, pronti ad ordire invenzioni e menzogne al fine di dichiararla non idonea ad occuparsi della bambina e, in mancanza di fatti concreti, i medici incaricati di eseguire la perizia psicologica di Karen arrivano a stabilire che la madre non è idonea a causa dello shock per essersi trasferita a vivere in un paese diverso dalla patria di origine, trascurando completamente il prezioso contributo che invece genitori provenienti da altre culture sono in grado di fornire ai propri figli, inclusa una grande capacità di accogliere e di comprendere il prossimo.

Questo libro è dunque una testimonianza importantissima perché non solo rappresenta un testo interessante, appassionante e molto ben scritto, ma anche per la vicenda umana di una madre che si trova sola a battersi contro enormi ingiustizie e affronta una guerra in cui il concetto di combattimento leale non è contemplato. Eppure Karen lotta con lealtà, certa che un giorno la sua voce verrà ascoltata. E combatte soprattutto per sua figlia e per tutti quei bambini i cui diritti vengono calpestati ogni giorno nell'indifferenza generale. Ingiustizia è fatta è dunque un libro da non perdere, capace di far luce su vicende durissime che accadono ogni giorno attorno a noi.

Dettagli del libro

  • Titolo: Inguistizia è fatta
  • Autore: Gian Paolo Grattarola
  • Editore: Edizioni Creativa
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: Le Pleiadi
  • ISBN-13: 9788889841822
  • Pagine: 138
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 13,00

21 dicembre 2009

Ti prendo e ti porto via - Niccolò Ammaniti

Il mare c'è ma non si vede a Ischiano Scalo, un paesino di quattro case accanto a una laguna piena di zanzare. Questo è lo scenario nel quale si svolgono due tormentate storie d'amore. Pietro e Gloria sono due ragazzini. Lei è figlia di un direttore di banca, lui di un pastore psicopatico. Lei è bella, sicura e un po' arrogante, lui è timido, irresoluto, sognatore. Eppure un sentimento strano che assomiglia curiosamente all'amore li attrae... Dopo anni di assenza, torna a Ischiano anche Graziano Biglia, logoro playboy. Qui conosce la professoressa Flora Palmieri, una donna sola e misteriosa che in paese tutti tengono a distanza. Dovrebbero appartenere a due universi lontani, ma in fondo è proprio tra i poli opposti che scoccano scintille, così...

Recensione

Ti prendo e ti porto via è imperfettamente bello. Leggendolo salta subito all'occhio cosa c'è che non va: manca l'equilibrio.
Ci sono storie secondarie che, pur essendo narrazione di ottima fattura, appesantiscono la storia e non portano da nessuna parte ai fini della trama principale. Alcuni personaggi marginali sono fin troppo caratterizzati, mentre altri di una certa rilevanza non sono approfonditi abbastanza. Poi tocca così tanti argomenti (bullismo, scuola, malattie terminali, amore adolescenziale e più o meno maturo, violenze domestiche, prostituzione, motori, catapulte, ciclismo e chi più ne ha più ne metta) che si rischia l'indigestione.

Però, altri avrebbero fatto naufragare la lettura in una piatta sequenza di momenti che si susseguono senza sussulti o, peggio ancora, l'avrebbero rovinata con iperbolici momenti fuori contesto presi da chissà dove. Ammaniti, invece, grazie al suo superbo stile di scrittura, capace di raccontare con uno stile inconfondibile le situazioni più improbabili in maniera tale da farle essere una conseguenza logica della storia, riesce a rendere perfettamente le sensazioni che animano i personaggi lungo tutta la trama e riesce a trasmetterle al lettore in tutta la loro potenza, suscitando emozioni forti che colpiscono, quando al cuore, quando allo stomaco. Più di una volta capita di avere il magone nel seguire le vicende narrate, di empatizzare con i protagonisti e provare solidarietà per quelle storie le quali, dietro un velo di apparente normalità, celano momenti che ripetutamente varcano la soglia della disperazione e del parossismo (se non sono gigli/son pur sempre figli/vittime di questo mondo, cantava De Andrè).

Ecco, da un certo punto di vista anche questo può essere considerato un altro limite del libro: vale più per come Ammaniti racconta la storia che per la storia in sé.
In definitiva, Ti prendo e ti porto via è un libro che avrebbe potuto essere un capolavoro, ma che per colpa di alcuni difetti, non riesce ad esserlo. Rimane comunque un'opera più che piacevole, molto coinvolgente e del quale non ci si scorderà facilmente.

Dettagli del libro

  • Titolo: Ti prendo e ti porto via
  • Autore: Niccolò Ammaniti
  • Editore: Mondadori
  • Data di Pubblicazione: 2000
  • Collana: Piccola biblioteca oscar
  • ISBN-13: 9788804476795
  • Pagine: 462
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 9,50

20 dicembre 2009

Intervista a Marilù Oliva, autrice di "Repetita"

L'autrice


Marilù Oliva è nata e vive a Bologna dove insegna lettere alle superiori. Prima di laurearsi ha fatto l'insegnante di salsa, l'autista di autobus e l'impiegata. Ha inoltre lavorato per diverse redazioni ed e' stata direttrice artistica di una rivista di musica e cultura latinoamericana e ha coordinato e presentato un programma televisivo per una rete locale, Rete8. Le sue passioni sono la salsa cubana e portoricana, sia in musica che in ballo, l' America Latina, Gabriel Garcia Márquez, Dante Alighieri, Catullo, i Borgia, cinema, fumetti, storia antica e contemporanea, letteratura noir (e non solo), giornalismo, web, criminologia. Marilù scrive narrativa e saggistica e legge tantissimo.



Il libro


«Mi porto addosso la crudeltà atavica che è stata del mio patrigno, di mio nonno, del mio bisnonno e, prima ancora, di tutti gli uomini che furono. E non è la crudeltà del peccato biblico ma qualcosa di molto più tangibile: la dipendenza dal male propria di ogni epoca». Lorenzo Cerè cerca il riscatto da un'infanzia di solitudine e abusi, il sesso è per lui un lenitivo, il passato continua a tormentarlo sottoforma di nevrosi e terribili emicranie. Lorenzo ha un legame profondo e ossessivo con la Storia, conosce gli uomini, i loro crimini, e s'ispira alla Storia per concepire i suoi omicidi. Lorenzo è un assassino metodico, inflessibile e preciso, ma non ha calcolato le eccezioni. La più importante, la dottoressa Malaspina, lo aspetta in uno studio psichiatrico...



L'intervista



Ciao, Marilù, innanzitutto grazie per la tua disponibilità.

Grazie a te, carissima Vittoria.


1. Vorrei iniziare facendoti i complimenti per Repetita. Scrivere un libro in cui sono presenti molti riferimenti alla psicologia, come la descrizione della personalità del tuo personaggio principale, così come colpi di scena, personaggi complessi ed interessanti e riferimenti storici, non deve essere stata un’impresa facile. Puoi raccontarci come è nato il personaggio di Lorenzo Cerè?

Grazie per i complimenti. Lorenzo Cerè è nato dopo due anni di studi sulla criminologia. Studi basati essenzialmente su la manualistica statunitense e nostrana (Colin Wilson, Mastronardi, De Luca ma anche Picozzi, Lucarelli, Accorsi, Centini etc). A quest’indagine teorica ne ho affiancata una più “pratica”: visitazioni virtuali delle crime scenes, di diversi siti coroner e di fasi processuali (per farti un esempio circoscritto a una realtà italiana, ho visto tutti i filmati del processo al presunto Mostro di Firenze e ai nostri ultimi casi, molti dei quali irrisolti), poi interviste a professionisti come i RIS di Parma e i poliziotti della scientifica. Ti dirò che in questi due anni di preparazione di notte spesso facevo gli incubi!


2. Si dice che per riuscire a creare un personaggio dotato di un’autentica personalità, quasi capace di definirsi da solo, sia necessario un certo livello di immedesimazione, vedere coi suoi occhi, reagire con il suo vissuto. Come è stata per te questa esperienza?

E' stata un po’ sofferta. Riuscire a immedesimarmi al 100% è stato impossibile, dato l’abisso che ci separa. Però una parte di immedesimazione è inevitabile ed è concentrata nel momento di regressione all’infanzia. Il libro è diviso cronologicamente in due tempi della storia alternati: Lorenzo adulto trentasettenne e Lorenzo bambino. Quando Lorenzo è un bambino di sei anni costretto a subire le angherie del patrigno, la stesura delle pagine ha comportato un forte carico d’angoscia. Poi, quando torna adulto e uccide, mi distacco e mi riavvicino nel momento in cui entra nello studio della dottoressa e riacquista tutta la sua umanità.


3. Lorenzo Cerè è un uomo tormentato che non si confida con nessuno. Eppure, leggendo Repetita, ho avuto l’impressione che Lorenzo cercasse di comunicare col lettore, raccontandogli la sua storia. E' possibile affermare che il protagonista desideri, anche se inconsciamente, far conoscere il motivo profondo delle sue azioni?

Non solo è possibile, ma è esattamente quello che auspicavo durante l’ideazione del romanzo. La tua domanda mi permette di inserire un brano cui sono molto legata, quello in cui Lorenzo, killer giustiziere, chiarisce il suo bisogno di uccidere e di cercare una verità. Il lettore può scegliere: o si ferma alle sue parole oppure, come hai fatto tu, approfondisce il baratro ed entra in una comunicazione più intima. Perché è quello che inconsciamente lui desidera...
«Devo sfogare su carta quello che non posso rivelare alla dottoressa durante le sedute. La parte nefanda che comprimo quando sono su un palcoscenico mi divora la prima pelle e potrebbe lacerarla, ma se scrivo ed esprimo la mia vera essenza, l'apparenza sarà salva. Il mio bisogno di chiarimenti può sussistere solo tenendo presente che un amante della Storia, oltre ad essere in cerca della verità, necessita di declamare per gli eventi una sua verità. Ogni omicidio, ogni violenza, ogni tortura che ho perpetrato risponde a un preciso piano di ristabilimento di un ordine sovvertito. O, più prosaicamente, mi apporta una purificazione da una qualsiasi merda che mi è stata gettata.»


4. Nonostante sia un pericoloso assassino, Lorenzo Cerè ispira un certo grado di simpatia e di comprensione. Sa essere spiritoso e, in certi momenti, anche entusiasta. Sa arrivare al cuore del lettore. Che cosa lo rende così comunicativo?

Quando il lettore mi far rilevare che è avvenuta questa comunicazione tra lui e personaggio, per me è una grande conquista. Perché significa che sono riuscita a creare un’empatia che ritengo non facile: ricordiamo che Cerè è uno psicopatico pieno di nevrosi e di rabbia e la prima reazione dovrebbe essere di repulsione. Empatia che, naturalmente, non significa giustificazione. Io non lo giustifico nè lo assolvo, ritengo anzi che un individuo con devianze così profonde non sia neppure recuperabile. Ciò non toglie che vi possa essere una soglia umana di partecipazione alla sofferenza, anche se proviene da un criminale. Insomma, il senso del dolore dovrebbe erigersi al di sopra di categorizzazioni. Il dolore può dilaniare un meschino così come una brava persona.


5. Tra i vari personaggi di Repetita, spiccano la personalità e le emozioni contraddittorie della Dottoressa Malaspina. Puoi spiegarci la sua fascinazione verso Lorenzo?

Lei è attratta fondamentalmente per due motivi. Innanzitutto perché Lorenzo è di fatto un uomo dotato di grande fascino. C’è qualcosa di irresistibile nella sua reticenza e nella sua disperazione culturale. Poi è attirata dall’idea del compimento della missione. Lei lo vuole guarire, per davvero. In tale calamitazione reciproca volevo evitare il classico flirt banale, per questo ho introdotto la spiegazione scientifica del transfert e ho cercato di rifuggire da romanticismi o da una relazione completa.


6. Ha fatto discutere il suo non essere sempre deontologicamente perfetta...

Prima hai colto nel giusto, Vittoria, parlando di “personalità ed emozioni contraddittorie”. Proprio questa contraddizione di fondo della dottoressa (dovuta appunto alla sua fascinazione verso Lorenzo) non è stata sempre capita. Lei è una psichiatra e questa laurea in psichiatria mi serviva per affrontare il discorso dei farmaci. Certo è che non si comporta sempre deontologicamente ma questo, come ha sottolineato un’intenditrice come Alessandra Buccheri, è funzionale alla storia. Credo che qualche lettore potrebbe storcere il naso perché questo lettore ha umanamente poco a che fare con i medici e li immagina impeccabili. Potrebbe dire: «No, ma un medico non fa quelle cose!». Sciocchezze. Si tratta invece di una categoria professionale che, come noi, ha proprie debolezze, imperfezioni, insicurezze. Ricordiamo inoltre che la Malaspina è giovane e questo particolare già è eloquente in merito alla sua inesperienza e alla sua ingenuità. Ma anche alla sua grande passione. Lei si spinge e si illude fin dove un medico scafato (rappresentato dalla Gorriello) non potrebbe mai arrivare.


7. Puoi dirci se nella figura della Dottoressa Malaspina c’è qualche elemento che rispecchia qualche cosa di te?

No, io non c’entro con lei, la Malaspina è piuttosto un mix di donne: fisicamente due donne che si chiamano appunto Marcella (una fa di cognome proprio Malaspina!) e, caratterialmente c’è un po’ della loro curiosità, della loro grinta. Poi ho inserito la professionalità di una bravissima psicologa che mi ha incanalato verso le risposte di competenza settoriale.


8. Lorenzo ama la buona cucina. Per lui il cibo è fonte di benessere e di riconciliazione interiore. Sei anche tu una buongustaia?

Purtroppo sì...


9. In Repetita ci sono molti riferimenti storici. La Storia è una passione anche per te?

Sì, da quando ero piccola. Oggi, oltre a collaborare come ricercatrice per un Istituto storico, l’Isrebo, ho pubblicato qualche saggio breve e, nel 2008, “Quel che resta di un giorno” all’interno del libro “I neri e i rossi”, a cura di Mirco Dondi. Si tratta di un libro sul terrorismo e la comunicazione, ovvero come i media hanno trasmesso l’evento, le conseguenze, quanto hanno influito nei processi di costruzione dell’opinione pubblica. Il mio saggio tratta della strage di Bologna, dell’iter processuale lungo, faticoso e macchiato da continui depistaggi orditi dai servizi segreti, di una verità processuale che, nonostante sia basata su prove e testimonianze, purtroppo ancora ad oggi è contestata. In tutto ciò i mezzi di comunicazione di massa hanno avuto un ruolo fondamentale anche, diciamo, semplificando, in negativo.


10. Si dice che la scrittura sia un viaggio introspettivo. Qual è il tuo rapporto con la scrittura?

Ossessivo. Scrivo anche quando non scrivo. Ovvero penso a quello che potrei scrivere.


11. Quali libri ti hanno ispirata di più, contribuendo alla tua formazione come scrittrice?

Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez. L’ho letto e riletto, credo che mi abbia formata sia come impostazione mentale che come stile. La Commedia di Dante mi ha dato l’idea del rigore strutturale, il senso del male (l’Inferno) e la concezione che esso possa essere rielaborabile artisticamente. Trovo che l’Inferno sia il più grande noir del medioevo e dell’età moderna. Tutti i romanzi storici di Maria Bellonci. In primis Lucrezia Borgia che, guarda caso, sono riuscita a infilare nel mio romanzo!


12. Hai in programma un altro libro? Puoi anticiparci qualche cosa?

Ho scritto un romanzo che ora è in lettura presso alcuni editori. Le risposte non arriveranno prima di mesi, quindi per scaramanzia non anticipo nulla se non che si tratta sempre di un noir, è ancora ambientato a Bologna e viene introdotta per la prima volta una protagonista che vorrei divenisse il mio personaggio di riferimento.


13. Grazie Marilù. Ancora complimenti per Repetita e in bocca al lupo per i tuoi prossimi lavori!

Grazie a te, crepi il lupo e in bocca al lupo anche per il tuo prossimo romanzo che sono ansiosa di leggere!


17 dicembre 2009

Le creature del buio - Stephen King

Roberta Anderson, di professione scrittrice, esce un giorno a cercare legna nel bosco dietro casa e inciampa in un oggetto di metallo che sporge dalt erreno. Un oggetto strano, assolutamente inamovibile. E' così che scopre la cosa sepolta da milioni di anni, che tuttavia vibra ancora debolmente, palpita di una sconosciuta forma di vita. La donna inizia a scavare. Dapprima titubante, poi con accanimento crescente. E mentre lo scavo procede, gli abitanti di Haven cominciano lentamente a cambiare, a fondersi in un'unica entità spaventevole asservita a misteriosi esseri alieni che, notte dopo notte, s'impossessano della loro mente.

Recensione

Bobbi Anderson è una riservata scrittrice di western che vive ad Haven, fiorente cittadina del Maine, in una tenuta lasciatale dallo zio. La sua vita scorre senza emozioni, finché, una mattina d’estate, non inciampa letteralmente in qualcosa molto più grosso di lei: un oggetto non identificabile sepolto nel suo terreno. E’ l’inizio di una lunga e strana parentesi per Haven, parentesi che finirà per coinvolgere anche il poeta alcolizzato Jim Gardener, che è stato strappato al suo tentativo di suicidio dalla quanto mai realistica sensazione che Bobbi avesse bisogno di lui. Dunque Jim si reca ad Haven in autostop e…

Normalmente tento di argomentare le mie recensioni il più possibile, perché possano essere d’aiuto ad altri eventuali lettori. Cerco di capire, quando mi riesce, cosa può piacere di un libro e a chi, su cosa si può soprassedere, cosa proprio non va, sempre in termini soggettivi, ma il più obiettivamente possibile.
Con Tommyknockers mi viene un po’ difficile, ma tenterò comunque: è una delle letture più abbandonate e riprese della mia vita, ma dato che l’autore è sempre e comunque il mio scrittore preferito, ho deciso di riprenderlo diversi anni dopo l’ultimo tentativo, e questa volta è stato quello definitivo, anche per capire il motivo per cui tante volte l’ho abbandonato.

La verità è che buona parte de Le creature del buio, naturalmente per i miei parametri soggettivi, è perfettamente inutile. Dopo aver letto la prima metà del libro, mi sono chiesta più e più volte cosa sostanzialmente contenessero quelle quattrocento pagine. E ve lo dice una che ha amato tutti gli altri grandi tomi di King, cioè L’ombra dello Scorpione, It, The Dome, Insomnia, Cose preziose. Le parti iniziali dei suddetti libri, sia pure in centinaia di pagine, narravano una storia, ponevano basi interessanti e solide per lo sviluppo successivo del libro.

In questo libro, invece, il nulla più totale: una barbosa presentazione della protagonista, Bobbi Andersen, che poteva risultare un ottimo personaggio se, paradossalmente viste tutte le pagine a lei dedicate, King ce l’avesse presentata con più attenzione; invece, la mente di Bobbi cade quasi immediatamente vittima dell’influenza mentale di misteriose creature, rivelando in seguito solo pochi stralci della ‘vera’ Bobbi. Dopo una presentazione di Jim Gardener, già meglio caratterizzato, la visuale si sposta ampiamente sui cittadini di Haven, per poi tornare solo molto tempo dopo sulla coppia principale.
Troppo dispersiva la parentesi su Haven per chiamarlo romanzo corale, troppa poca attenzione sui personaggi principali per non farlo. Mi risulta pressoché inclassificabile.

La trama possedeva buoni spunti (la ‘possessione’ di una cittadina del Maine da parte di entità aliene sconosciute e il conseguente sviluppo nei cittadini di capacità medianiche e creative sorprendenti), ma alla lunga la ripetitività delle sequenze ha ammazzato qualsiasi curiosità di leggere-a-tutti-i-costi-per-vedere-che-succede. Il finale, e credo di andare controcorrente perché pare che non sia particolarmente apprezzato anche da quell’esigua fetta di lettori che ha amato il libro, mi ha invece soddisfatta, e senza dubbio mi avrebbe soddisfatta di più se mi fossi goduta appieno quel climax di follia che il libro preparava già da trecento pagine. L’Epilogo, in ogni caso, è delizioso.

Stephen King non ha mai dato il suo massimo nei suoi libri sugli alieni...

Giudizio:

+2stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Tommyknocker - Le creature del buio
  • Titolo originale: Tommyknockers
  • Autore: Stephen King
  • Traduttore: Tullio Dobner
  • Editore: Sperling & Kupfer
  • Data di Pubblicazione: 2002
  • Collana: Super Bestseller
  • ISBN-13: 9788820029401
  • Pagine: 800
  • Formato - Prezzo: Brossura - 11,90 Euro

16 dicembre 2009

Intervista ad Aislinn, autrice dei romanzi della Saga del Portatore di Tenebra - La guerra della Falce: "La luce dal cielo" e "Le nubi si addensano"

L'autrice


Aislinn è l'autrice della saga del portatore di tenebra, che si compone (per ora) di due romanzi: La luce dal cielo e Le nubi si addensano. Ha ventisette anni e vive a Novara.
Il suo blog è http://aislinn.ilcannocchiale.it/








Il libro


Il mondo di Asàyra è scosso da turbinosi venti di guerra: lo stregone Vikranor, adepto del demone Vastarath è tornato e sta per scatenare i suoi eserciti di vàstamaen alla conquista delle Terre Prime. Sono passati duecento anni da quando una luce ignota ha illuminato il cielo e il Cristallo, una fonte di magia dal potere incommensurabile, è disceso nel mondo, duecento anni da quando un'alleanza di uomini, nani ed elfi è riuscita a sconfiggere lo stregone. Fra speranza, incredulità e tensioni si rinnovano vecchie alleanze e si perpetrano nuovi tradimenti, mentre i protagonisti sono intrappolati nelle spire di un destino che non sembra concedere loro alcuno scampo.



L'intervista



1. Mmm, dunque, saltando a pie' pari la questione "pseudonimo", forse sarebbe il caso di azzardare una brevissima presentazione a beneficio dei lettori. Quindi, dimmi qualcosa di te: chi sei, che cosa fai e che cosa ti piace (a parte scrivere, ovviamente).

Sono una ragazza di 27 anni che ha sempre amato sopra ogni altra cosa l'emozione di un viaggio attraverso le pagine dei libri che divorava. Da rifugio e passatempo, la lettura è diventata lo stimolo a voler raccontare a mia volta - scrivere come un modo per vivere più concretamente i miei sogni, ma anche per comprendere meglio me stessa e il mondo che mi circonda. Sono essenzialmente una persona curiosa. Detesto la noia e la banalità e scrivere mi permette di opporre a tutto questo passioni, dubbi, riflessioni, emozioni; il che non vuol dire che viva "con la testa tra le nuvole" o "fuori dal mondo". Amo scoprire, viaggiare, la musica, il teatro, le storie... mah, io sono strana!


2. Perché dici che sei strana? Cos'è per te "strano"? E cosa è "normale"?

Penso che tutte le persone interessanti siano “strane”, cioè che abbiano qualcosa di particolare, di non comune. Strano per me significa personale, unico, sincero, che si distingue in qualche modo, che non segue le “mode”. "Normale" mi sembra un parola riduttiva, quasi sinonimo di "banale".


3. Eh be', un po' lo è (pare che ultimamente abbia sviluppato questa accezione) ora, potrei chiederti che cosa hai tu di particolare e non comune, ma mi pare che andiamo troppo sul personale! Quindi, tu hai iniziato, come molti scrittori, ad appassionarti alla lettura e poi il passo successivo è stato decidere di scrivere qualcosa di tuo?

Si (quello che ho di particolare, di "mio", spero filtri dalle pagine che scrivo)


4. E, se non sono indiscreta, a quando risale il primo tentativo?

Sai qual è la prima cosa seria che ho scritto? Cioè il primo "romanzo" quasi intero, che mi ha fatto iniziare a imparare come davvero si scrive? Insomma, il salto dalle frasette semplici da scuola, a qualcosa di più?


5. No, ma voglio assolutamente saperlo!

I Visitors, te li ricordi?


6. Diciamo di sì, che me li ricordo. Ma ti svelerò un segreto imbarazzante: non li ho mai visti perché avevo paura!

Sembra una sciocchezza. però ho iniziato da loro a capire come dovevo strutturare una storia complessa, come gestire tanti personaggi, quando, per esercizio, mi sono messa a scrivere - solo per me ovviamente, non per farlo leggere in giro - una specie di "novellizzazione" della serie originale, che è diventato un esercizio fondamentale. Imparare a descrivere quello che avevo davanti agli occhi interpretare i sentimenti che gli attori volevano esprimere e "inventarmi" pensieri ed emozioni che potevano avere, notare i "buchi", le inverosimiglianze che magari in tv passano inosservate, e inventarmi un modo per giustificarle sulla carta, fare ricerche su ciò che non sapevo (in quel caso, il tipo di armi che usavano i personaggi, le città che dovevo descrivere ecc). Diciamo che questo "gioco" legato a un telefilm è arrivato al momento giusto, quando ero ormai abbastanza cresciuta da iniziare a prendere la scrittura seriamente, ed è diventato un esercizio utile: prima scrivevo ancora in modo "infantile"; dopo aver riempito quelle pagine e pagine mi sono accorta che ero migliorata, avevo acquisito più scioltezza e profondità, credo, più confidenza con la penna. Prima scrivevo in modo più casuale, meno regolare.


7. La saga del Portatore di Tenebra ha un'ambientazione che posso definire medievaleggiante, quindi hai dovuto diventare un'esperta di armi da taglio e da lancio, di tecniche di combattimento con la spada. Come ti poni nei confronti dell'annoso problema documentazione vs "mi arrangio con la fantasia"?

Non ho la presunzione di ritenermi "esperta", perché anche se ho osservato combattimenti, ho provato a sentire quanto è pesante una spada e quanto è difficile tendere un arco, certo ci sono ancora un mucchio di cose che non so, ma non ci va molto a capire che una guerriera donna non si vestirebbe in top e scosciata, ma si metterebbe le sue brave protezioni! Prima di tutto quindi occorre il buon senso di "visualizzare" quello che descrivi: è effettivamente verosimile? Poi quello che non si sa si cerca, si chiede. Un combattimento non è una "scena d'azione"; è un momento in cui si fatica, si suda, si strappano i muscoli, si muore e si viene sfregiati, è una cosa seria. Per quanto riguarda però l'organizzazione sociale, i costumi eccetera, lo studio dell'Europa medievale può fornire spunti, ma tengo a precisare che il mondo di Asàyra non è il nostro Medioevo, quindi comportamenti o concezioni che sarebbero stati inaccettabili, ad esempio, nell'Italia del Trecento, possono essere perfettamente normali nel mondo del Portatore di Tenebra.


8. Difficile darti torto! Da accanita lettrice di fantasy mi è capitato spesso di accorgermi che uno dei grossi limiti degli scrittori sta nel riuscire a gestire in maniera verosimile i grandi eserciti. Intendo dire che non si dovrebbe prescindere da qualche nozione di tattica militare. E siccome nel secondo episodio della saga iniziamo a vedere gli eserciti muoversi, come ti sei preparata a questo?

Fin da quando ho ricordi leggo tantissimo. Anche qui, buon senso, e l'interesse per la storia medievale. Non in questo libro, “La Guerra della Falce”, ma nell'ultima parte della trilogia, la battaglia finale è ispirata, nella prima parte del suo svolgimento, a una vera battaglia combattuta all'inizio del Basso Medioevo (non ti dico quale o da chi per non svelare troppo). Sicuramente, e lo dico io per prima, ho ancora molto da studiare su questi argomenti, e continuo a farlo man mano.


9. Be', ma trovo che esserne consapevoli sia un ottimo punto di partenza. Adesso vorrei passare a dire qualcosa sui due libri che sono usciti, visto che li abbiamo nominati prima. In primo luogo, vorrei che mi dicessi di che cosa tratta La saga del Portatore di Tenebra.

Una luce precipita dal cielo, un demone sceglie lo stregone cui donare un enorme, malvagio potere… Questa è l'inizio della storia, che si sviluppa poi attraverso molti personaggi e diverse vicende intrecciate. La storia di un conflitto in cui i ruoli di “buoni” e “cattivi” non sono così sicuri; e questo è anche uno dei temi che più emerge nei libri che scrivo, il fatto che spesso sia molto difficile segnare una netta linea di demarcazione tra giusto e sbagliato, bianco e nero... Ci sono molte sfumature, nelle storie che immagino.


10. La storia editoriale di questi libri un po' complicata, nel senso che sono stati concepiti con suddivisioni differenti rispetto a quelle con cui poi sono stati pubblicati. Ci spieghi?

Allora, Il Portatore di Tenebra è pensata come una trilogia, e La Guerra della Falce è il suo primo volume. La Edigiò tuttavia aveva programmato di pubblicarlo suddiviso ulteriormente in tanti volumetti brevi, e infatti il primo episodio, La luce dal cielo, è di una novantina di pagine. Fortunatamente la casa editrice è stata molto soddisfatta di come è andato, e così quando ho chiesto se era possibile rendere gli episodi più corposi, la risposta è stata positiva. Eco perché il secondo episodio, Le nubi si addensano, ha circa 240 pagine. Per completare la Guerra della Falce resta infine un ultimo episodio che prevedo avrà dimensioni analoghe.


11. Quali sono i tuoi personaggi preferiti e perché?

Il principe Andre e i vàstamaen Evar e Snorraka, perchè tutti e tre sono sfaccettati e hanno una storia complessa, o (nel caso di Andre) la sviluppano nel corso della vicenda. Evar e Snorraka non sono i classici "cattivi", secondo me, hanno delle motivazioni e un codice d'onore e anche, soprattutto Snorraka per ora ed Evar più avanti, una certa drammaticità; Andre ha luci e ombre, una personalità che lui stesso ancora non comprende e che sarà difficile da affrontare. Ciò che più amo è creare figure che abbiano una storia alle spalle, sentimenti, dubbi, pregi e difetti insieme, che siano complessi; insomma, che siano “persone” e non semplicemente “personaggi”.


12. Noto che sono tutti e tre personaggi maschili. E fra le donne?

Devo dire che, non so per quale motivo, come scrittrice in genere mi affeziono di più e mi trovo più a mio agio con i personaggi maschili; non è una cosa programmata, semplicemente accade che la maggior parte dei miei personaggi sia maschile. Tra quelli femminili, mi piace descrivere la Dea Elissa, che però non è tecnicamente una "donna", e ho una certa qual predisposizione per Katlena, perché è così ingenua all'inizio, e sembra capricciosa e viziata, ma dimostra poi il coraggio di affrontare delle situazioni difficili e per lei ignote per inseguire il sentimento: le posso perdonare certi lati più infantili perché la condurranno poi su una strada di crescita. Mi piace anche la maga Lanyra, la compagna dello stregone Tharandyr, perché è una donna che ha molto coraggio, compie il suo dovere ma non dimentica il sentimento che la lega al suo uomo. È un aspetto che ho amato molto descrivere, mostrare come anche i maghi siano persone in carne e ossa, con lati umani ed emozioni; perché mai, mi sono chiesta, non potrebbero vivere anche loro una storia d'amore? Non volevo che fossero i soliti “vecchi saggi”, superiori ai comuni mortali e quasi slegati dalla vita vera.


13. Posto che in ogni personaggio c'è qualcosa del suo autore, in quale fra tutti i personaggi (e sono molti) dei due libri sinora editi hai maggiormente trasfuso te stessa?

Allora, prima di tutto specifico che non c'è un personaggio in particolare in cui mi identifico. Spesso gli autori scelgono uno dei personaggi principali come una sorta di "alter ego" (penso a quante volte nei libri di Stephen King compare un personaggio che è a sua volta scrittore). Nel Portatore di Tenebra non c'è nessun personaggio invece che sia "Aislinn"; però in molti di loro c'è un aspetto di me, in positivo o in negativo, oppure c'è un tratto caratteriale che rappresenta un pregio che vorrei avere o, al contrario, un difetto che non vorrei possedere. Quello che forse avvicina i personaggi a me è che... pensano troppo, cosa che faccio anch'io!


14. Penso di essere nel giusto (correggimi se sbaglio) a dire che il principale “modello” cui questa saga è ispirata è Tolkien. Però, leggendo le recensioni ricevute sinora e i pareri in rete ho notato che si ritrovano spesso variazioni sul tema “ha rinnovato i modelli tolkeniani”. Io per prima condivido questa opinione, per cui ti chiedo: come sei riuscita a fare una cosa così difficile, cioè prendere le mosse da un simile mostro sacro, conservarne l'imprinting e nello stesso tempo dar vita a qualcosa di molto più moderno e originale?

Credo che sia frutto di un processo naturale. All'inizio (e intendo circa dieci anni fa, quando ho cominciato a buttare giù le prime pagine) l'influenza era molto più evidente, ma con il tempo ho modificato diversi aspetti che ricordavano maggiormente questa vicinanza. L'influenza più importante che Tolkien ha avuto per me è stata spingermi a voler concepire un mondo che fosse il più possibile completo e verosimile, e da questo deriva quella stratificazione che anche tu hai notato, con accenni alla storia, ai miti, alle leggende, alle lingue, ai costumi dei diversi popoli eccetera; cenni che ci sono nel libro, ma che ovviamente rimandano a un "di più" che io conosco e che fornisce lo sfondo. In particolare poi direi che fin da subito ho voluto coscientemente modificare quelle cose che meno mi convincevano del mondo Tolkieniano; ad esempio, gli elfi sono presenti nel mio libro, ma immediatamente ho capito che non avrei mai considerato credibili o accettabili, nel mio mondo, degli elfi che fossero perfetti, saggi, tutti bellissimi e bravissimi in ogni cosa, e addirittura immortali! Io volevo che fossero un'altra razza, diversa dagli uomini, ma reale, concreta, non "angelicata", e quindi i miei elfi hanno i loro difetti, commettono sbagli e vivono passioni molto terrene e reali, oltre a non essere affatto immortali: per quanto godano di una vita lunga alcuni secoli, alla fine invecchiano e muoiono come tutti. Ho cercato insomma di imprimere la mia voce a ogni aspetto di questo mondo, di interpretare tutto secondo quello che mi risultava più vero e congeniale, che era più adatto a esprimere ciò che volevo dire. Ogni tanto poi mi diverto a giocare con i clichè, ad esempio c'è sì un "bianco stregone", Tharandyr, che è il più importante mago buono (una sorta di Onu, lo definisce il prof. Italo Allegra, che spesso mi accompagna durante le presentazioni) ma non ha nè la barba lunga né il bastone nP i tonaconi e non veste affatto di bianco.



15. Domanda di rito. Quando uscirà il terzo volume della saga?

Risposta di rito: non lo so! O meglio, si parla del 2010, ma non ho ancora discusso della cosa con Edigiò. Diciamo che il secondo è uscito a marzo 2009, posso imaginare che ci sarà almeno lo spazio di un anno tra il secondo e il terzo. Di sicuro troverete tutte le news nei miei siti: http://aislinn.ilcannocchiale.it/ e http://www.facebook.com/pages/Aislinn/29886177225.


15 dicembre 2009

Agnes Browne, mamma - Brendan O' Carrol

Agnes Browne, trentaquattro anni, bella, proletaria, simpatia irresistibile: cerca lettori. Ha un banco di frutta e verdura al mercato del Jarro, turbolento quartiere popolare di Dublino, sette figli come sette gocce di mercurio e un'autentica venerazione per Cliff Richard. Purtroppo ha anche un marito che lascia i suoi guadagni agli allibratori, per poi rifarsi con lei a suon di ceffoni. Ogni mattina Agnes esce di casa alle cinque per incontrare l'amica Marion e iniziare insieme la giornata, in allegria, e il venerdì sera gioca a bingo, per poi finire al pub davanti a una pinta di birra e un bicchiere di sidro. Ma, un bel giorno, Rosso Browne muore, lei rimane sola e comincia a godersi davvero la vita.

Recensione

"Nessuno fa lo stronzo con i figli di Agnes Browne".

Parole sante. Altrimenti si rischia di fare la fine di Suor Magdalene, sconfitta con ignominia da un ortaggio in barba alla sua austera fermezza, in una delle scene più esilaranti di questo raccontino proletario che si divora in poche ore e lascia a fine lettura quel senso di serenità delle storie semplici e schiette. O'Carrol pesca a piene mani nei ricordi della propria infanzia nei quartieri popolari di Dublino, la cui vita fatta di povertà, mariti ubriaconi, miriadi di figli e l'onnipresente chiesa cattolica è stata più volte immortalata dagli autori irlandesi negli ultimi cinquant'anni.

Qui la prospettiva è però meno melodrammatica e maggiormente interessata a puntare i riflettori sugli aspetti (involontariamente) comici degli eventi; la volontà è quella di far ridere e l'autore ci riesce raccontando la sua storia con onestà e genuinità, esprimendo con poche efficaci parole sia l'ilarità che la drammaticità di certe situazioni. Il rischio è quello di varcare il confine tra la narrazione di un fatto buffo e la presa in giro delle classi popolari, additando con sarcasmo le ingenuità che danno origine a certi equivoci esilaranti.

Mi pare però che l'autore esca indenne da questo pericolo, grazie all'evidente complicità che lo lega ai suoi personaggi e al loro mondo, di cui si sente evidentemente ancora parte. Se a volte c'è della condiscendenza nel narrare gli exploit di Agnes, questa è più che altro la bonaria condiscendenza di un figlio verso una mamma che a volte fa cose strambe, piuttosto che il sarcastico paternalismo di chi ha più cultura verso chi non ce l'ha.

Intendiamoci poi: Agnes Browne non è una melensa Pollyanna che sprona sempre a guardare il lato positivo delle cose, è semplicemente una donna di carattere, pratica e sognatrice, un accattivante mix di saggezza e ingenuità popolare, che con tanta forza di volontà tiene a galla la barca e si guadagna anche un piccolo premio perché alla fine nella vita tante cose non vanno bene ma non va nemmeno tutto male e concedersi qualche sogno ogni tanto male non fa. Si consiglia la lettura sotto Natale, quando l'eccesso zuccheroso del finale è più tollerabile!

Dettagli del libro

  • Titolo: Agnes Browne, mamma
  • Titolo originale: The Mammy
  • Autore: Brendan O'Carrol
  • Traduttore: G. Cenciarelli
  • Editore: Neri Pozza
  • Data di Pubblicazione: 2008
  • Collana: I Narratori
  • ISBN-13: 9788854502505
  • Pagine: 176
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 14,50

13 dicembre 2009

Manuale di investigazione - Jedediah Berry

L'Agenzia investiga su tutto, e su tutti. Nei suoi immensi archivi viene classificato quanto accade nella cupa città là fuori. E il compito di Charles Unwin è ben preciso: organizzare in fascicoli i frammentari appunti del più celebre degli investigatori, Travis T. Sivart. Quando Sivart scompare, Unwin viene inopinatamente promosso detective e si fa carico delle indagini, che dovrà condurre affidandosi a due sole armi, un ombrello e un manuale di investigazione – questo, il libro che stiamo leggendo. Assistito da una segretaria narcolettica e da una femmina temibile riemersa dal passato, si ritrova a districare un mistero che a ogni passo sembra distorcersi e moltiplicarsi. Come può una mummia millenaria avere un'otturazione odontoiatrica? Dove sono finite tutte le sveglie della città? Perché manca il diciottesimo capitolo del Manuale? Sotto una pioggia che sembra non debba avere mai fine, Unwin si addentra in un mondo fatto di interni labirintici, di acque nere, o delle luci improvvise di un freak-show. Un mondo parallelo disegnato, si direbbe, dalle perversioni di uno scenografo impazzito o dal delirio di una mente criminale, dove a poco a poco il lettore, in un misto di curiosità, piacere e angoscia capisce di avere una sola certezza: che da questo sogno - da questo libro - non si sa come svegliarsi.

Recensione

Perché Jedediah Berry si sia piccato di trascrivere su carta uno straordinario film, sebbene non (ancora, almeno) girato da nessuno, resta un mistero. Inoltre, un mistero pieno di misteri: una città talmente vuota da sembrare abbandonata (e un primo enigma si nasconde dietro questa apparenza); un luna park, quello sì, abbandonato e marcescente (o è solo una visione?); un quartiere portuale fatto di vicoli talmente stretti bui e contorti da ricordare piuttosto un borgo medievale. A svettare su tutto, un tetro palazzone che si inerpica su, verso le nuvole basse, quasi un obelisco si dirà a un certo punto, che altro non è se non la fabbrica principale di tutto (misteri e soluzioni comprese) ovvero l'Agenzia Investigativa.
Su tutto, la pioggia; piove in continuazione, piove sempre, con insistenza o gocciolando, tanto che il personaggio principale (che vediamo sempre correre in bicicletta con questo suo ombrello al vento e non possiamo far altro che immaginarlo come un Monsieur Hulot - e non quello del balzacchiano “La cugina Bette” ma proprio quello irresistibile di Tati...) è fradicio fin giù nei calzini.

Al seguito di Charles Unwin (è così che si chiama il nostro Hulot), impiegato dell'Agenzia appena promosso detective, ruotano gli altri personaggi, chiamati in causa uno alla volta ma con legame di continuità: non è un entrare in scena casuale quello degli altri caratteri ma quasi uno scaturire l'uno dall'altro, e questa consequenzialità avrà la sua importanza nel determinare alcuni snodi narrativi.

Perché in realtà, il romanzo di Berry è prima di tutto una magnifica costruzione di senso. E' insieme giallo classico (uffici di detective con macchine da scrivere, lenti d'ingrandimento e tagliacarte d'argento) e trattato sulla teoria del complotto. Tutti coloro che compaiono sulla scena, siano protagonisti o semplici “comprimari”, si conoscono, hanno relazione reciproca precedente, stanno controllando mentre vengono controllati. E non è nemmeno più la cara vecchia teoria del grande fratello orwelliano, dell'occhio immanente che sempre ci osserva (“sempre vigili” è l'effettivo motto dell'Agenzia) ma siamo al controllo reciproco totale che non si sa da dove e da chi cominci e dove e con chi finisca. Chiunque è spia e spiato, non si salva nessuno, in nessuna direzione. Se l'improvvisa e misteriosa sparizione del detective più prestigioso dell'Agenzia (il palindromo Travis T. Sivart) è pretesto per scatenare questa grandiosa caccia all'uomo, è il sistema stesso che denuncia il suo più aberrante limite: il controllo è totale e definitivo e arriva persino, ecco l'invenzione che però si scopre solo un po' alla volta avanzando nella lettura, dentro i sogni delle persone o, meglio ancora, fin dentro l'inconscio.

Perché la grande costruzione di Berry, il tempio magnificente che questo libro sicuramente rappresenta è proprio questo: il pretesto di un libro giallo che invece di scandagliare un “semplice” mistero, si tuffa a testa in giù dentro l'inconscio. Lo fa poi alla maniera di Terry Gilliam (ecco perché parlavo di straordinario film in apertura) e di una visionarietà che terrà incollati alla pagina anche quei lettori meno avvezzi al genere onirico-fantastico proprio per la ricchezza e complessità della costruzione narrativa. In sostanza, anche i pochi momenti di stanca si superano di slancio per andare a scoprire l'oltre, quel che viene dopo, il colpo di scena che intuiamo dietro l'angolo.

Insomma, senza dubbio costruzione complessa, senza dubbio racconto a tratti davvero surreale e costruzione divertita che l'autore non nasconde affatto: è quindi certamente romanzo ma anche riflessione metalinguistica su come si costruisce un opera di genere. Il romanzo infatti cita se stesso ovvero il “manuale di investigazione” che i detective dell'Agenzia usano altro non è se non il libro medesimo che abbiamo in mano noi lettori... Insomma, uno dei continui rebus nel rebus che il libro propone. Il cortocircuito del cortocircuito avviene naturalmente andando verso il finale quando l'analisi e la registrazione su supporto magnetico dei sogni di alcuni dei protagonisti dovrà contribuire, utilizzando un ulteriore stereotipo del genere giallo ovvero quello del “sincronizzare gli orologi”, alla salvezza del detective scomparso e infine ritrovato.

La soluzione del mistero non avverrà, insomma, mettendo in fila uno dietro l'altro gli indizi raccolti durante l'indagine oppure affidandosi alle capacità analitiche e deduttive dell'eroe-investigatore. La soluzione saranno brandelli di vite, incastri di ricordi, sogni riportati alla luce, cervelli dai fortissimi poteri telepatici (il malvagio Enoch Hoffmann in primis), distorsioni spazio-temporali ed irreprensibili (almeno in teoria) impiegati dell'Agenzia. Con l'inconscio che viene prima, dopo e durante e vedrete che sorprese!

Mentre sull'inconscio piove, piove in continuazione.
Ah!, dimenticavo: non perdetevi il lussuoso sito dedicato interamente al romanzo... QUI.

Dettagli del libro

  • Titolo: Manuale di investigazione
  • Titolo originale: The Manual of Detection
  • Autore: Jedediah Berry
  • Traduttore: Ombretta Giumelli
  • Editore: Adelphi
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: Fabula
  • ISBN-13: 978-88-459-2438-5
  • Pagine: 284
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 19.00

11 dicembre 2009

Che la festa cominci - Niccolò Ammaniti

Nel cuore di Roma, il palazzinaro Sasà Chiatti organizza nella sua nuova residenza di Villa Ada una festa che dovrà essere ricordata come il più grande evento mondano nella storia della nostra Repubblica. Tra cuochi bulgari, battitori neri reclutati alla stazione Termini, chirurghi estetici, attricette, calciatori, tigri, elefanti, il grande evento vedrà il noto scrittore Fabrizio Ciba e le Belve di Abaddon, una sgangherata setta satanica di Oriolo Romano, inghiottiti in un'avventura dove eroi e comparse daranno vita a una grandiosa e scatenata commedia umana.
La comicità di Ammaniti sa cogliere i vizi e le poche virtù della nostra epoca. E nel sorriso che non abbandona nel corso di tutta la lettura annegano ideali e sentimenti. E soli, alla fine, galleggiano i resti di una civiltà fatua e sfiancata. Incapace di prendere sul serio anche la propria rovina.

Recensione

Cosa unisce una setta di satanisti della domenica dei castelli romani, uno scrittore di successo dello showbiz italiano, un megaparco della periferia romana e una schiera di atleti russi rimasti agli anni Sessanta?
Nulla. Ed è questo il problema dell'ultimo romanzo di Ammaniti.
Troppe trame si mescolano senza fondersi in modo organico. Rimane buona l'attitudine descrittiva dello scrittore: in particolare le atmosfere un po' dark del gruppo di adoratori del diavolo risulta riuscita, soprattutto nei risvolti famigliari e personali del capo della setta, Mantos. Nel complesso però il totale della storia non regge.
Soprattutto non convince il tentativo di coniugare all'affresco sociale il filone della critica contro tutto l'ambiente dello spettacolo e dell'editoria che fa dell'apparire garanzia indispensabile per l'essere: i personaggi risentono troppo dei clichè che i mass media hanno propinato e propinano su vicende à la Corona&C., appaiono, appunto, essi stessi inconsistenti e vacui, e per questo non convincono, mancano di spessore anche là dove l'intento sembra proprio quello di dimostrare che non ne hanno.

Quest'andamento caricaturale e oscillante, che caratterizza il personaggio dello scrittore di successo Fabrizio Ciba, finisce per travolgere anche la parte più genuinamente pulp del romanzo, quella che ruota attorno alle Belve di Abaddon e al loro capo, il mobiliere Saverio Moneta in arte Mantos.

La superficialità dell'affresco di una Roma mondana e burina, la stessa che in altri romanzi di Ammaniti rimaneva a galla grazie all'abilità descrittiva, in questo caso non resiste all'ampiezza della struttura narrativa e finisce per annegare insieme agli invitati del megaparty supercafone dell'immobiliarista Sasà Chiatti a Villa Ada.

Dettagli del libro

  • Titolo: Che la festa cominci
  • Autore: Niccolò Ammaniti
  • Editore: Einaudi
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: Stile Libero Big
  • ISBN-13: 9788806191016
  • Pagine: 331
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 18,00

Come scrivere un best seller in 57 giorni - Luca Ricci

"Dobbiamo scrivere un romanzo sentimentale, alla Via col vento, guerra di secessione e amori tormentati, soldati e corna." "Ambientiamolo nel medioevo, alcuni alieni rapiscono un gruppo di monaci, un romanzo di fantascienza retroattiva". "Io scriverei un western ambientato ai giorni nostri, dove i duelli con le pistole si svolgono a Wall Street, dopo un conflitto nucleare". Io avanzai l'ipotesi di un thriller con protagonista un anatomopatologo. Avevo sentito dire che gli anatomopatologi andavano per la maggiore nei best seller, anche se avrei avuto qualche problema a spiegare quale professione svolgessero di preciso...

Recensione

Luca Ricci ne ha per tutti. Per gli scrittori intellettualoidi che giocano ancora al bohémien maudit, intellettuali snob che non si sporcano le mani con il mercato editoriale, che infarciscono i testi di citazioni auliche, di sperimentazioni avanguardiste fuori moda e fini a se stesse, che si rintanano in torri d'avorio inaccessibili al lettore (per lo meno a quello medio...), che addirittura disprezzano il lettore e mettono le mani avanti giustificando i loro fallimenti editoriali ("Io rimarrò per sempre inedito! Pubblicare equivale a ruttare!"). Ma ne ha anche per gli scrittori di best seller, proni al mercato, per i quali "il lettore ha sempre ragione", che producono (e il verbo non è casuale) libri dal sapore identico (per tutti uno stile unico e piatto: difficile distinguere un incipit della Cornwell da uno di Grisham).

Gli scarafaggi parigini (John, Paul, George e Ringo!), nella loro ingenuità, si divertono a smascherare i vizi degli uni e degli altri, burlandosi delle arie da intellettuali dei primi e giocando con la ricetta standard con cui vengono sfornati i best seller (linguaggio medio, narratore trasparente in terza persona, una serie pirotecnica di colpi di scena, tanta azione e poca riflessione, personaggi che si imprimono nella memoria). E non sono così stupidi da non accorgersi che in questo mondo editoriale "non ci sarebbe spazio per Samuel Beckett". Non è quindi un'apologia dell'editoria più commerciale, ma nemmeno un rigurgito cinico contro di essa. Disincanto, sì, ma con una passione letteraria sempre desta. La scrittura di Ricci, infatti, è brillante e colta.

Una narrazione agile e ironica, che è anche una riflessione sullo stato attuale della cultura letteraria ed editoriale. Una favola ambientata nella Parigi di oggi, in cui le blatte si rivelano migliori osservatrici della società letteraria rispetto agli esseri umani. Qualche luogo comune di troppo (sulla letteratura, sui diversi tipi di scrittori, sui rapporti umani) può dare fastidio ma è forse giustificabile, visto che il punto di vista è volutamente ingenuo. Si spera, poi, che l'autore abbia una considerazione un po' più complessa e nuancée del mondo editoriale odierno... Perché se è vero che in quel tipo di editoria non c'è spazio per Beckett, nel quadro che Ricci fa dell'editoria attuale non c'è spazio nemmeno per i piccoli e medi editori che cercano di coniugare vendite e cultura.

Dettagli del libro

  • Titolo: Come scrivere un best seller in 57 giorni
  • Autore: Luca Ricci
  • Editore: Laterza
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: Contromano
  • ISBN-13: 9788842091004
  • Pagine: 110
  • Formato - Prezzo: Brossura - 9,50 Euro

8 dicembre 2009

La città fantasma - Patrick McGrath

"Tre storie su New York, uno scrittore che racconta le sue ossessioni su amore e follia attraverso una città fantasma, cuore dell'impero, certo, ma anche luogo impaziente e spietato che non riesce a invecchiare."
Leonetta Bentivoglio, la Repubblica

"L'attacco alle Torri gemelle di New York è solo uno spunto per affrontare senza retorica né banalità un tema di portata universale e metafisica, l'immanenza ineludibile del dolore."
Stefano Manferlotti, Il Mattino

Recensione

Quando parliamo della New York post-11 settembre non si può fare a meno di imbattersi in mostri sacri della modernità letteraria, uno per tutti De Lillo. Poi però, accanto al non-plus-ultra che fa tanto moda & chic citare sempre, troviamo approcci più classici, meno "spettacolari"; quasi come osservare lo stesso mondo, che l'industria culturale si affretta a celebrare in primis sul mercato, da una nicchia appartata e con sguardo impacciato, quasi timido. L'operazione McGrath sembra avere questo scopo: l'unico classico semplice motivo che dovrebbe spingere lo scrittore, il racconto. L'autore di Follia divide in tre quadri la sua elegia newyorchese abbracciando l'intera storia della città: nel primo racconto, L'anno della forca (il meno efficace devo dire, rumoroso e sporco), vediamo gli anni della guerra d'indipendenza, con l'occupazione inglese della città, ripercorsi a circa 50 anni di distanza da colui che all'epoca era solo un bambino e che, mentre racconta nel 1832, è ormai moribondo a causa di un'epidemia di peste. Il senso di colpa, per esser stato involontaria causa dell'impiccaggione della madre-patriota, non lo ha abbandonato mai, neanche ora in punto di morte.

Il secondo racconto si chiama Julius ed è, a mio avviso, il perno su cui si incentra l'intera raccolta: un racconto perfetto nei toni, nel grado di suspence, nella finissima analisi psicologica, nelle descrizioni di ambiente (siamo in una ricca famiglia di mercanti) e della città all'epoca. Il periodo storico è, in questo caso, quello del grande sviluppo mercantile della città e la cronologia, attraverso quattro generazioni, si affaccia fin all'inizio del Novecento. Tutto il racconto si regge magistralmente sull'assunto che l'amore negato porta inevitabilmente alla follia: sicuramente "il" tema classico di McGrath, o almeno la sua ossessione principale, e va detto che la costruzione stessa del racconto mostra l'assoluta padronanza dei meccanismi narrativi, dell'accortezza nello svelare la storia poco alla volta e con grande tatto: quello che sembra un crescendo assoluto nel tono della tragedia, quasi melodrammatica, si rivela in realtà una vite senza fine che non ha climax né scioglimento e che ci trascina, lettori ipnotizzati, nel gorgo con sé. Grande bravura.

Il terzo racconto, infine, Ground Zero, arriva all'oggi ma, come gli altri due che lo precedono, parla della medesima sostanza: il dolore, il male, la paura. La voce narrante è quella di una psichiatra che racconta la sua personale ossessione del terrore post-11 settembre mascherandola dietro l'ossessione del suo paziente, un uomo che ha difficoltà a rapportarsi con le donne. In realtà, poco alla volta, scopriremo che la devastazione non sta nella psiche dell'uomo (che tutto sommato trova un suo equilibrio) ma in quella dell'analista stessa che proietta inconsciamente su di lui le sue fobie e il suo personale terrore, tutto acquisito dopo l'attacco alle Torri Gemelle. Insomma, il terrorismo non colpisce nel mucchio ma arriva fin negli anfratti più protetti (e che dovrebbero essere dotati di strumenti ben superiori alla media) delle persone che dovrebbero invece aiutare gli altri.

A ben vedere, quindi, quello che potrebbe a prima vista sembrare l'ennesimo confronto con l'11 settembre, si rivela libro ben più complesso e certamente legato al suo autore: McGrath ci parla delle sue ossessioni, quelle che percorrono anche gli altri suoi libri (senz'altro "Follia" in primis), dei temi a lui cari e che, evidentemente da psicologo a sua volta, conosce e maneggia alla perfezione. In secondo luogo, un ritratto di New York che ne attraversa la storia e non si limita solo alla tragedia presente ma ne mette in risalto grandezze e meschinità lungo il suo intero cammino di città-mondo, di simbolo planetario. Infine, una sottile inquietudine ci accompagna nel seguire i vari personaggi con le loro tragedie: un senso di abbandono ad un destino troppo grande, il cieco furore di scelte dovute all'ignoranza e alla malafede, l'assoluta vulnerabilità del singolo essere umano persino di fronte a se stesso e alle chiavi per interpretare il presente.

Dettagli del libro

  • Titolo: La città fantasma. Manhattan ieri e oggi
  • Titolo originale: Ghost Town. Tales of Manhattan Then and Now
  • Autore: Patrick McGrath
  • Traduttore: Alberto Cristofori
  • Editore: Bompiani
  • Data di Pubblicazione: 2007
  • Collana: Tascabili Bompiani
  • ISBN-13: 978-88-452-5870-1
  • Pagine: 182
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 7,40
 

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