8 giugno 2016

Dal libro al film: The Dressmaker

"Sono tornata, bastardi!". Non mena certo il can per l'aia Kate Winslet nella scena di apertura di The Dressmaker quando, con l'allure misteriosa di una diva del noir anni '50, scende alla stazione del minuscolo paesino di Dungatar, disperso nelle desertiche piane australiane, e annuncia alla notte i suoi propositi di vendetta.
A dispetto del titolo discreto e formale, quindi, gli spettatori comprendono subito di trovarsi di fronte a qualcosa di molto più anticonvenzionale e, probabilmente, un po' diverso da quanto si aspettavano. Un po' ciò che succede ai lettori dell'omonimo libro di Rosalie Ham (Mondadori, 2016), da cui questo film è stato tratto e del quale vi avevo parlato poche settimane fa su questo blog. Nella mia recensione vi avevo infatti parlato delle mie difficoltà a inquadrare il romanzo, il quale alterna toni grotteschi ad altri più marcatamente drammatici, rendendo difficile capire in che ottica prendere la storia e i suoi singolari personaggi.
Queste ambiguità non devono essere sfuggite alla regista, l'australiana Jocelyn Moorhouse (Proof, Gli anni dei ricordi) che per la versione cinematografica sceglie immediatamente la strada della commedia nera sfrondando gli aspetti poco convincenti del libro e producendo un adattamento magistrale che, caso più unico che raro, ho addirittura preferito al romanzo.

La Moorhouse punta da subito sul tema della vendetta, con un'esilarante sequenza iniziale in cui la Winslet, nei panni della protagonista Tilly Dunnage, dalla cima della collina che ospita la baracca dell'anziana madre, armata di mazza e palline da golf si diverte a prendere di mira le case degli aguzzini della sua infanzia. Il messaggio è chiaro: Tilly è tornata, adulta e sarta di successo, per vendicarsi di coloro che in passato l'hanno emarginata e tormentata e per scoprire finalmente se davvero fu strappata alla madre e cacciata dal paese perché è un'assassina, o se la sua memoria sta bloccando un ricordo ancora più drammatico.
Sono queste premesse iniziali le uniche, modeste libertà che la regista si prende rispetto all'opera scritta, nella quale Tilly ricorda perfettamente le circostanze in cui fu accusata di aver ucciso un compagno di scuola mentre le motivazioni che l'hanno portata a tornare a Dungatar per prendersi cura della madre instabile dopo anni di assenza non vengono mai spiegate in modo convincente. In questo caso quindi il film fa un discreto favore al romanzo, rimediando alle sue incongruenze e dandogli un avvio intrigante e subito appassionante, tanto che, se il libro poteva essere definito un Chocolat in cui i vestiti sostituivano i dolci, il film ha diritto di essere definito "una versione de Gli spietati con la macchina da cucire", secondo le parole della regista stessa.

Superata questa fase iniziale la pellicola segue poi in modo piuttosto fedele le vicende del romanzo con il suo caleidoscopio di figure meschine, pettegole e maligne che pensano di sfruttare il talento di Tilly come sarta per dare una svolta alle loro squallide esistenze, senza aver messo in conto di avere un debito salato da ripagare alla donna. Scegliendo la strada del grottesco la regista rappresenta gli abitanti di Dungatar con punte caricaturali, enfatizzandone le stranezze e i difetti fisici e puntando quindi nella direzione della favola nera; lo stesso si può dire dell'ambientazione con le sue casupole dai colori pastello simili a case per bambole accatastate le une vicine alle altre in mezzo alla luce bruciante del selvaggio deserto dell'Australia.

Assecondando lo spirito della commedia dark anche la recitazione si mostra teatrale e leggermente sopra le righe, dividendo chiaramente gli attori più dozzinali da quelli di talento, su cui spiccano oltre alla già citata Winslet, la veterana Judy Davis (Harry a pezzi, Passaggio in India) nella parte della madre pazza e l'imperdibile Hugo Waving (Matrix) che ritorna a vestire i panni di un travestito dopo l'esperienza di Priscilla, la regina del deserto.

Tutti e tre dosano la loro interpretazione magistralmente, evitando di dar vita a dozzinali macchiette e se Kate Winslet è una spettacolare femme fatale dal fisico burroso e lo sguardo altero, le battute migliori del film se le aggiudica comunque la Davis che rende il suo personaggio una perfetta vecchietta infernale senza mai ridursi a semplice spalla comica. Personalmente, leggendo il libro, mi ero aspettata una Tilly Dunnage leggermente più giovane, soprattutto pensando al suo spasimante Teddy McSwiney che dovrebbe esserle quasi coetaneo ma che impersonato da Liam Hemsworth (Hunger Games) sembra almeno una decina d'anni più giovane (in effetti la Winslet ha 15 anni più di Hemsworth). Tuttavia la regista ha affermato di aver sempre avuto in mente l'attrice inglese Premio Oscar per The Reader come protagonista e non sarò certo io a lamentarmi delle succose inquadrature di Hemsworth a petto nudo che il film ci regala!

Sponsorizzato con l'accattivante sottotitolo "Il diavolo è tornato", The Dressmaker ha ottenuto incassi medio-bassi nel nostro paese, dove è uscito a fine aprile, più di sei mesi dopo la premiere australiana, dove invece è risultato il film più visto del 2015 e l'11esimo più visto di sempre, risultato bissato in Nuova Zelanda. Risultati che non sorprendono se si pensa che, oltre a essere stato girato da una regista australiana e tratto da un bestseller anch'esso australiano, il film è stato girato interamente in Australia e ha richiesto l'impiego di diverse comparse del luogo, compresa una squadra di football, la Laharum Football Netball Club.
Pur essendo evidente che non si tratta di un titolo in grado di sbancare i botteghini, soprattutto nel nostro paese, penso che questo film avrebbe meritato maggiore attenzione perché divertente, imprevedibile e ben fatto. Se poi siete amanti degli abiti eleganti, sappiate che si tratta anche di una gioia per la vista.

1 Commenti:

  • 8 giugno 2016 alle ore 12:07
    Mr Ink says:

    L'ho trovato cattivo, pungente, molto bello.
    Un Burton in passerella, quasi.
    Curioso per il libro.

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