19 dicembre 2014

Stop-Time - Frank Conroy

Quando Frank Conroy scrisse "Stop-Time", pubblicato in America nel 1967, i suoi conflitti interiori avevano semplicemente smarrito la via ma non si erano spostati di un passo. Il senso di perdita dell'innocenza e di sensibilità tradita restavano lì, e scavavano. Quando il New York Times definì il lavoro un'opera trionfale sulla celebrazione della giovinezza, lui stesso ne rimase perplesso. Avrebbe voluto che fosse un atto vendicativo, l'accusa di un mondo che si era portato via il suo tempo, e invece irradiava candore, talmente tanto che a tratti si accendeva delle tonalità della gioia. Da cronaca spietata di ragazzino ribelle alle prese con la propria vulnerabilità di piccolo che cresce in una famiglia disfunzionale degli anni Trenta, "Stop-Time" diventa inno alla libertà, elegia dell'amore fraterno, racconto di un'amicizia speciale che si consuma tra i boschi. Con una scrittura affilata e densa, Frank Conroy riconnette passato e presente nello spazio del ricordo, e per un attimo il desiderio sfrenato per le strade di Kerouac sembrerà imbattersi nelle morbosità miracolose dei giovani di Salinger, in un ritmo che suona secco come una ripresa tosta di pugilato. 

Recensione

È questa l'autobiografia di Frank Conroy, direttore per quasi vent’anni della prestigiosa University of Iowa Writers Workshop, scuola di scrittura creativa da cui sono usciti numerosi premi Pulitzer per la letteratura, oltre a innumerevoli altri riconoscimenti. Conroy è nato nel 1936 e morto di cancro nel 2005. Come autore ha scritto solo cinque libri, fra cui questo Stop-Time, pubblicato nel 1967, che ha avuto un’influenza determinante su numerosi giovani scrittori. Oltre a raccontare i suoi primi diciotto anni vissuti in una famiglia disfunzionale, Conroy descrive uno spaccato di vita degli americani meno abbienti.

Per quanto l’infanzia del protagonista sia stata piuttosto solitaria, con il padre morto in giovanissima età, una madre poco presente e un patrigno irrequieto che non si fermava mai a lungo nello stesso luogo e limitava pertanto la possibilità per Conroy di stringere duraturi legami di amicizia con altri ragazzi, non c’è alcuna autocommiserazione nel suo racconto. L’analisi che fa della sua vita e di quella dei familiari è molto distaccata, quasi come se raccontasse quella di un estraneo, negando qualsiasi evocazione romantica dell’infanzia. Non c’è un filo di sentimentalismo nel suo racconto ed è significativo questo episodio, avvenuto durante il viaggio per mare del protagonista diretto in Danimarca (la madre di Conroy era danese mentre il padre era americano) quando, rientrando nella propria cabina, trova questo telegramma:

Strappai la busta e tirai fuori il messaggio, diceva: “Ti penso” ed era firmato “Mamma”. Rimasi a fissarlo per qualche istante, deluso che non si trattasse di qualcosa di più eccitante, e sorpreso che mia madre si fosse concessa qualcosa di così sentimentale. Quella firma, in particolare, non era da lei. Io l’avevo sempre chiamata Dagmar, mai mamma, eppure lei si era firmata “Mamma”. Mi sembrò fasullo, e così accartocciai il foglio, lo gettai e non ci pensai più.
Siamo agli antipodi, per fare il paragone con il romanzo della Tartt premiato con il Pulitzer, della carica di affetto che il protagonista de Il Cardellino manifesta verso la madre e la ragazza scampata con lui nell’attentato al museo.
Anche nella ricerca di compagnia femminile nel periodo adolescenziale, vengono descritti solo i semplici fatti dettati unicamente dal desiderio sessuale, lasciando al lettore ogni considerazione critica. Non c’è nel racconto di Conroy l'erotismo che serpeggia in Middlesex di Eugenides, dove pur viene narrata la vita di un adolescente alle prime esperienze sessuali, ed è questa mancanza di sentimento, unitamente alla scrittura estremamente sintetica che caratterizza lo stile di Frank Conroy, ad inibire in parte l’empatia che normalmente sorge nei confronti dei giovani protagonisti dei romanzi, biografici o meno che siano. Viene da chiedersi se la predilezione di Conroy per uno stile tanto distaccato non dipendesse da uno spiccato senso di pudore dei propri sentimenti.
Contraddittorio talvolta il comportamento del protagonista che, dopo aver fatto una corte serrata ad una compagna di scuola svedese conosciuta in Danimarca, di punto in bianco si mette ad evitarla, tanto che lei, esasperata quanto sconcertata, alla fine esclama:
“Io ti amo!” strillò di colpo, “lo sai o no cosa vuol dire? Se qui ci fosse una pistola e tu dicessi di spararmi, io lo farei. Lo farei all’istante!” Allungò la mano come per prendere una pistola. “Lo farei!” gridò rapita, spingendo lo sguardo nel vuoto alle mie spalle
“Christina…”
“Tu devi amarmi. Devi! Mi hai messo le mani addosso. Vuol dire che mi ami!”
Rimasi immobile, timoroso di spostare un solo muscolo. Una qualche parte indipendente del mio cervello, che operava sull’onda di una forza propria, annotò l’irrilevante dettaglio che era bella, molto più bella adesso di prima.
“Io me ne torno in Svezia” disse lei, partendo verso la porta.
Mi alzai di scatto e l’intercettai. “No. Non farlo. Ti prego non farlo.”
Ferma davanti a me, continuava a fissarmi il petto. Gli occhi si alzarono e mi guardò la bocca. Successe qualcosa sul suo viso, e pensai che mi avrebbe colpito, ma all’ultimo momento si girò.
“Non te ne andare. Almeno non subito. Datti un po’ di tempo per pensarci.”
“Perché?”
“Ti prego.”
Ruotò di colpo su se stessa, corse alla porta e uscì.

Se siete curiosi di sapere come va a finire la storia, dovrete leggere questa autobiografia che è avvincente e scorrevole.
Gli episodi drammatici, come quello sopraindicato, sono abbastanza rari e descritti con freddezza analitica. Se da un certo punto di vista è apprezzabile una loro esposizione in un modo così chiaro e sintetico, dall'altro sono emotivamente meno coinvolgenti di quelli in cui i personaggi riescono a manifestare in maniera appropriata il proprio stato d'animo. Se paragoniamo Stop-Time con i romanzi sopraccennati, Middlesex e Il Cardellino, entrambi insigniti del premio Pulitzer, troviamo che il coinvolgimento del lettore in questi ultimi è molto più intenso, anche se, dal punto di vista letterario, i tre libri potrebbero equivalersi. Probabilmente la differenza sta nel fatto che in Stop-Time l’autore sente il bisogno di staccarsi emotivamente dai fatti che descrive.

Stop-Time è un esempio di come la buona scrittura può elevare anche gli aspetti di vita più ordinari. Viene da chiedersi come mai questo libro non sia mai stato proposto per qualcuno dei maggiori riconoscimenti letterari statunitensi. Evidentemente la storia di un patrigno piuttosto sfaticato che tendeva a farsi mantenere dalla moglie e quella di una madre che si appropriava dell’assegno destinato all’istruzione dei figli, nonché la critica implicita al sistema scolastico americano non erano elementi ritenuti politicamente corretti. In "L'ultimo inverno" di Paul Harding, che ha insegnato alla stessa scuola di scrittura di cui Conroy è stato direttore e che ha risentito molto della sua influenza, il protagonista è un lavoratore indefesso che, grazie alla sua abnegazione, riesce ad elevarsi da una condizione sociale molto bassa fino a fare fortuna; non c'è quindi da stupirsi del fatto che invece il suo romanzo sia stato insignito del premio Pulitzer.

Giudizio:

+4stelle+ (e mezzo)

Dettagli del libro

  • Titolo: Stop-Time
  • Titolo originale: Stop-Time
  • Autore: Frank Conroy
  • Traduttore: Matteo Colombo
  • Editore: Fandango
  • Data di Pubblicazione: 4 dicembre 2014
  • Collana: Documenti
  • ISBN-13: 9788860444455
  • Pagine: 350
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 19,50

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