10 gennaio 2013

L'uomo che viaggiava con la peste - Vincent Devannes

Paragonato dalla stampa tedesca ai romanzi sul nazismo di Jonathan Littell e Martin Amis, il Tagesspiegel lo ha definito “un romanzo impressionante”.

1950. Un uomo senza nome fugge da un’Europa lacerata dalla guerra per un misterioso crimine commesso. Al di là dell’oceano c’è l’Argentina.

Mentre la lotta anticomunista si sta organizzando in tutto il mondo, Albert Dallien – questo il nome che gli verrà dato – comincia la sua nuova vita in una Buenos Aires carnale e impenetrabile, rifugio di criminali nazisti, di traffici e servizi segreti deviati, dove l’unica cosa che conta è scegliere il ruolo da giocare e farlo nel miglior modo possibile.

L’uomo che viaggiava con la peste, partendo da una precisa ricostruzione storica, schizza il ritratto intimo di un’epoca che ha riciclato senza scrupoli la parte più buia della nostra storia. Con uno stile rigoroso e avvincente, Devannes traccia la parabola di un uomo segnato da una colpa oscura e dalla continua negazione della propria identità, quasi fosse lo specchio di un mondo che stentava a trovarne una.

Recensione

Una traversata oceanica e il passaggio dall'emisfero boreale a quello australe non bastano a cancellare l'empietà - sia detto in un'accezione laica del termine - del male puro, cioè anche scevro di qualunque connotazione politica, morale o filosofica: è il succo del racconto di Devannes.

Il protagonista è un personaggio in fuga. Arriva negli anni immediatamente successivi alla fine della II Guerra Mondiale in un' ambigua Argentina peronista che è una terra di nessuno, l'ideale per chi dovesse nascondersi nella sterminata estensione della pampa o negli anfratti di Buenos Aires, cambiando un'identità infamante con una quasi immacolata.
Per operazioni di quel genere era molto attiva in Sud America l'organizzazione Odessa, costituita, per garantire a papaveri e criminali una via di fuga, da frange del morente regime hitleriano, ormai consapevoli dell'imminente crollo del Terzo Reich e della conseguente emersione dei suoi orrendi crimini legati alla 'Soluzione Finale' e all'Olocausto del popolo ebraico e non solo.

Odessa fu una via di scampo di gerarchi e funzionari, assassini e burocrati dell'infernale macchina nazista, ma anche di collaboratori occasionali come il 'cane di Chatellerault'.

Questo era il nome d'arte del medico francese, che con la nuova identità di Albert Dallien viene introdotto negli ambienti del crimine porteño attraverso una fitta rete di connivenze, tra cui spicca quella delle gerarchie ecclesiastiche. Un sacerdote lo accompagna nel viaggio per mare verso l'Argentina istruendolo su come confessare, in spagnolo, i più comuni peccati carnali, un altro lo accoglie a destinazione e lo battezza con il nuovo nome, ripulendolo della colpa originale.

La colpa, il peso del passato di collaborazionista, il rimorso per atti di perversione tanto profonda da poter essere oggetto di allusioni solo accennate, non scavano in Dallien il minimo solco in profondità.

Con naturalezza sembra immergersi nei bassifondi di Baires, dove si industria per metter su una fiorente attività nel campo degli aborti illegali per le prostitute e ogni evento sembra scorrere via sulla sua coscienza come acqua sul vetro.

I legami che stringe con il mondo del malaffare sono ispirati all'unico criterio dell'utilitarismo, mentre la prospettiva di ricostruirsi una vita supera ogni barriera morale e lo porta senza problemi oltre la perdita di una donna con cui pareva potesse costruire una relazione umana.

Il suo stato esistenziale è la rassegnazione totale all'incancellabilità del passato. Dallien è pronto a subirne le conseguenze nella forma di ricatti da parte delle varie cricche di malviventi che dominano nei quartieri di Baires e di rinuncia a ogni forma di legame umano, affettivo e sentimentale che non sia frutto di un interesse.

Suo obiettivo primario, oltre alla sopravvivenza immediata e all'occultamento dei suoi crimini, è mimetizzarsi nella buona società argentina e ci riesce mascherandosi in una famiglia borghese, frequentando i salotti buoni con altri transfughi nazisti benestanti e passando dal sordido commercio degli aborti clandestini al più remunerativo e pulito traffico di cocaina verso gli Stati Uniti.

La sfuggente personalità del protagonista si adatta ai diversi ambienti come un camaleonte e riesce a passare indenne nelle turbolenze che portano l'Argentina dal peronismo alla giunta dei generali. L'opportunismo lo porta anche a lavorare con un nero americano, agente dei servizi segreti, per conto del quale finisce a raffinare coca in Bolivia proprio quando il Che viene ucciso dall'esercito vicino La Higuera nel 1967, mentre in Paraguay incontra un altro personaggio storico, Josef Mengele, l'angelo della morte di Auschwitz, che gli chiede sostegno economico.

Tutta la società circostante sembra accettare senza porsi problemi la tranquilla presenza di ex ufficiali nazisti, autori di crimini efferati e ricercati dall'organizzazione ebraica di Simon Wiesenthal, quasi fosse normale che una città come Bariloche si potesse considerare una sorta di casa di riposo per placidi pensionati del III Reich.

Per converso la condanna senza appello di questo esempio di aberrazione dell'umanità, tanto più dura quanto non pronunciata, diventa la sua stessa scomparsa. Insieme alla sua identità di carnefice nulla sopravvive in Dallien con concretezza sufficiente a delineare un individuo, anche quando del regime dei generali argentini diventa una vittima indiretta, quasi un contrappasso, perdendo una persona a lui vicina che, accusata di dissidenza, viene buttata viva in mare aperto da un aereo.
Privato di ogni grandezza votata al male, di ogni sogno, anche di perversione, di qualunque forma di contatto umano vero, della memoria del passato e di un futuro degno di qualche aspettativa, Dallien semplicemente non è, ne è stato, né tantomeno sarà mai.

E questo, pur in una narrazione scorrevole, eseguita con maestria e dai tratti linguistici e stilistici impeccabili, rischia di essere quasi un limite per la storia. Tutto si svolge in un'atmosfera di indeterminatezza e rarefazione che rendono più difficile farsi un'idea concreta del racconto.

Le vicende politiche che scuotono l'Argentina e le rivoluzioni in atto nel Sud America sono appena tratteggiate e non interessano al protagonista, neppure per i rischi che potrebbero derivare alla sua copertura.

Così anche l'animo di Alberto Dallien rimane ermeticamente chiuso e non viene sottoposto alla spietata dissezione come nel caso del capolavoro di Jonathan Littell, il Maximilian Aue di 'Le Benevole', che viene citato nella quarta di copertina come termine di confronto.

Devannes non affronta se non in modo molto sfumato nè le nefandezze del suo antieroe nè i suoi labirinti interiori, per quanto oscuri possano essere e popolati di esseri belluini.
E alla fine della lettura si resta con una sensazione di non detto e di superficialità leggera.

Giudizio:

+3stelle+ (e mezzo)

Dettagli del libro

  • Titolo: L'uomo che viaggiava con la peste
  • Titolo originale: L'homme qui voyageait avec la peste
  • Autore: Vincent Devannes
  • Traduttore: Camilla Diez
  • Editore: Neo edizioni
  • Data di Pubblicazione: 2012
  • Collana: Potlach
  • ISBN-13: 9788896176122
  • Pagine: 188
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 15,00

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