30 ottobre 2013

Speciale Premio Hugo: La città e la città - China Miéville

Il 2010 è l'anno di un nuovo ex-equo: vengono premiati per il miglior romanzo La città e la città di China Miéville e The Windup Girl dello statunitense di origine italiane Paolo Bacigalupi. Se per Miéville la vittoria è una conferma, dopo diverse candidature all'Hugo con le sue opere precedenti, per Bacigalupi è quasi un colpo di scena visto che The Windup Girl è il suo romanzo d'esordio. Due opere profondamente diverse, la prima una combinazione di noir e distopia fantascientifica, la seconda un biopunk, entrambe trionfano su un parterre misto di esordienti e veterani quali Boneshaker di Cherie Priest, WWW 1: Risveglio di Robert J. Sawyer (vincitore dell'Hugo nel 2003 per La genesi della specie), Julian Comstock: A Story of 22nd-Century America di Robert Charles Wilson (vincitore nel 2005 con Spin) e Palimpsest di Catherynne M. Valente.


China Miéville è un autore britannico di fantascienza oltre che autore di fumetti e ricercatore accademico. Nato a Norwich nel 1972 ma cresciuto a Londra, Miéville da sempre divide la sua attenzione fra letteratura, economia e politica e fino al marzo di quest'anno è stato un membro del Partito Socialista dei Lavoratori. Il suo primo romanzo, King Rat, viene pubblicato nel 1998 e attira subito l'attenzione dei critici sebbene sia con Perdido Street Station del 2001 che Miélville si fa un nome nel mondo della fantascienza vincendo l' Arthur C. Clarke Award e il British Fantasy Award, oltre che le nomination per l'Hugo, il Nebula, il Locus e il World Fantasy.
Simile fortuna hanno avuto The Scar nel 2003 e Iron Council nel 2005, oltre che ovviamente La città e la città che nel 2010 vince di nuovo l' Arthur C. Clarke Award oltre che l'Hugo. In tutti i suoi lavori Miélville dimostra il suo desiderio di allontanare la letteratura fantastica dai suoi aspetti più commerciali e anche per questo è solito definire ciò che scrive come opere di "weird fiction" (fiction strana, bizzarra). Miélville insegna scrittura creativa alla Warwick University ed è Writer-In-Residence alla Roosevelt University di Chicago.


Immaginate due città, separate e unite allo stesso tempo, in un punto indefinito dell’Europa. Figlie della catastrofe post-sovietica. Due città sovrapposte, che condividono lo stesso spazio, ognuna con le proprie strade, i propri palazzi, i propri cittadini, la propria storia, la propria identità. Un’anomalia spazio-temporale, un capriccio tecnologico, un errore nella creazione, una scissione a un certo punto della storia? Tutto questo, o forse no. Per un cittadino dell’una il più grave reato è quello di vedere un cittadino dell’altra: sono due mondi vicinissimi, eppure incomunicabili, e la punizione per chi trasgredisce è certa e impietosa. Così tutti sono abituati fin dalla nascita a non-vedere, a sfuggire ogni forma di contatto con gli altri che pure sono lì, sotto i loro occhi e a portata di mano. Viene scoperto un delitto, in una delle due città, e le indagini portano fino all’altra città, e poi oltre, in un’altra realtà che nessuna delle due sembra conoscere, e che forse le trascende entrambe. Un romanzo che è allo stesso tempo una appassionante detective-story nel solco della grande tradizione noir del Novecento e una parabola nemmeno troppo nascosta della difficoltà di comunicare nel mondo alienato di oggi. China Miéville conferma in quest’opera tutte le sue eccezionali capacità di narratore e di manipolatore del linguaggio.

Recensione

Dimenticate le realtà parallele, le anomalie temporali o le città invisibili a cui i racconti fantastici ci hanno abituato finora. Dimenticate anche gli orrori della politica moderna quali Berlino, Belfast o Gerusalemme. China Miéville porta all'estremo gli insegnamenti della topografia fantascientifica e della letteratura distopica raccontando la storia di due città sovrapposte, in grado di esistere contemporaneamente nello stesso spazio, divise ma coincidenti, separate ma assurdamente intersecate.

In un'imprecisata area dell'Europa orientale, la città di Beszel coesiste con la "gemella diversa" Ul Quoma; lontane per politica, cultura e tradizioni, le due città sono beffardamente unite dalla geografia urbana per cui, al di là di alcune aree appartenenti esclusivamente all'una o all'altra prevalentemente, le due si intersecano e si sovrappongono ed è assai frequente che due edifici si trovino l'uno accanto all'altro eppure lontani un intero stato.
Questa separazione apparentemente impossibile si regge unicamente sulla capacità degli abitanti di ignorare persone e cose appartenenti all'altra città, anche quando esse capitano proprio davanti ai loro occhi. Educati fin dall'infanzia a "disvedere", i cittadini di Beszel e Ul Quoma trascorrono le loro vite ignorandosi, schivandosi e distogliendo lo sguardo da soggetti proibiti, tutto per non incorrere nell'infrazione massima, il crimine più grave e più pesantemente punito: la Violazione.
In questo clima surreale e alienante l'ispettore Besz Tyador Borlù si trova a indagare sull'omicidio di una giovane donna sfigurata e abbandonata in una discarica e la sua indagine, come prevedibile, lo vede ben presto costretto a varcare il confine per seguire una traccia che porta dritto a Ul Quoma.

Noir e fantascienza si mescolano quindi in quest'opera di Miéville, a tratti geniale e a tratti deludente, che mostra evidenti echi di Dick, Orwell e Kafka.
L'elemento in cui l'autore si trova più a suo agio è sicuramente la paradossalità della situazione da lui inventata: l'intera opera ruota (giustamente) attorno alla sottomessa rassegnazione di due popoli che quotidianamente si incontrano ma fingono di non vedersi perché succubi di un Grande Fratello onnipresente e onnisciente in grado di smascherare la minima infrazione. Al di là dell'evidente critica a ogni forma di governo totalitario, invasivo e burocraticizzato che imbriglia l'uomo nella sua essenza, Miéville punta il dito contro le barriere invisibili ma in apparenza invalicabili che ognuno di noi prova ogni giorno ad ignorare ed aggirare. Ricchi e poveri, Cristiani e Musulmani, locali ed immigrati quotidianamente si incrociano nelle nostre città e quotidianamente distolgono lo sguardo gli uni dagli altri guidati dall'abitudine e dalla paura, ognuno attento a non superare il confine, a non mescolarsi, a non vedere.

Al di là della genialità dell'invenzione narrativa, ciò che è veramente geniale è il modo in cui l'autore palesa la nostra superficialità: in quanto spettatori esterni siamo pronti a cogliere e ridicolizzare l'assurdità della situazione di Beszel e Ul Quoma senza nemmeno capire che i besz e gli ul quomani siamo proprio noi.
In questo contesto la detective story in stile Blade Runner compie un ruolo marginale, assoggettata all'esigenza dell'autore di mostrare il funzionamento del disvedere nelle piccole cose quotidiane. Le indagini di Borlù sono principalmente una scusa per reiterare cosa si può fare e cosa non si può fare, quanto complicato e inumano sia vivere in questo modo, per questo soprattutto nella parte del romanzo mancano di ritmo e non sempre seguono la logica. La risoluzione dell'intrigo è poi un po' raffazzonata, non particolarmente originale e poco credibile nel modo in cui viene individuata dal protagonista.
Pertanto la commistione di generi fra noir e fantascienza funziona solo parzialmente: il contesto distopico dona una qualche originalità ad un noir abbastanza classico (genere che comunque non amo molto) ma non lo esalta anzi lo sacrifica ai fini del messaggio che Miéville vuole trasmettere per cui di tutta la trama il momento più bello rimane l'epilogo quando Borlù comprende di non poter più fingere di disvedere e compie la sua scelta finale. Sempre per questo limite anche i personaggi appaiono superficiali e insoddisfacenti.

La vicenda è narrata in prima persona dal protagonista, eppure poco impariamo a conoscere di lui se non le caratteristiche basi di un qualunque detective di noir:malinconico, dotato di un intelletto fine imbrigliato da strati di cinismo accumulati con l'esperienza, fondamentalmente un solitario. Ancora peggio va agli altri personaggi; i colleghi, i politici, i dissidenti sono tutte figure accennate ed estremamente stereotipate, alcune al limite del ridicolo come il detective Dahtt, corrispettivo ul quomano di Borlù, in grado di esprimersi solo urlando "cazzo" a chiunque gli capiti a tiro, o i dissidenti unificazionisti evidentemente ispirati ad alternativi sinistroidi privi di organizzazione, persi a discutere su puntigliose questioni di principio e immancabilmente manovrati a loro insaputa dai poteri forti.

In conclusione un romanzo interessante vittima della sua stessa originalità: l'autore si crogiola nell'aggiungere dettagli alla sua invenzione e perde di vista il quadro narrativo nel suo complesso così che la trama ne risente e il racconto arranca, soprattutto nella prima parte.

Ultima nota dolente per la traduzione dell'edizione in mio possesso: sicuramente l'italiano non è la lingua più adatta per trasmettere le atmosfere del noir anglosassone, molte espressioni risultano per noi artificiose e n questo romanzo l'effetto è ingigantito da una traduzione che appare spesso troppo letterale e di conseguenza un po' piattina e a volte insensata. Ovviamente si tratta di una sensazione personale non avendo l'originale con cui confrontare, ma orridi strafalcioni come veder scritto "più male" non hanno certo attirato le mie simpatie.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: La città e la città
  • Titolo originale: The city and the city
  • Autore: China Miéville
  • Traduttore: Maurizio Nati
  • Editore: Fanucci
  • Data di Pubblicazione: 19 aprile 2013
  • ASIN: B00CFN69FK
  • Pagine: 361
  • Formato - Prezzo: Kindle ebook - 4,99 Euro

1 Commenti:

  • 2 settembre 2015 alle ore 17:54
    Matteo Nepi says:

    Per quanto riguarda la traduzione mi hai davvero tolto le parole di bocca. La commistione di generi a me è sembrata piuttosto riuscita, ma condivido il fatto che i personaggi fossero piatti. Che sia colpa della traduzione anche questo? Io aspettere un'edizione italiana migliore.

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