9 febbraio 2018

L'Arminuta - Donatella di Pietrantonio

«Ero l'Arminuta, la ritornata. Parlavo un'altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza» - Ma la tua mamma qual è? - mi ha domandato scoraggiata. - Ne ho due. Una è tua madre. Ci sono romanzi che toccano corde cosí profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L'Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell'altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia cosí questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all'altro perde tutto - una casa confortevole, le amiche piú care, l'affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l'Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c'è Adriana, che condivide il letto con lei. E c'è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L'accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell'Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.

Recensione

L’Arminuta è il titolo del libro vincitore del Premio Campiello 2017.
Acclamato e fortemente voluto sul podio dal pubblico, il romanzo racconta di un viaggio materiale ma soprattutto spirituale di una ragazzina di 13 anni – che noi lettori conosceremo solo ed esclusivamente con l’appellativo di “arminuta” – che, ormai donna, ripercorre a ritroso una fase della sua vita dolorosa perché segnata da abbandoni e da bugie che si scontrano con quelle tristi verità che si riveleranno essere tanto forti da ribaltare l’intera situazione iniziale.

L’arminuta, così in dialetto abbruzzese si usa dire “la ritornata”, nella sua sfortuna di essere rimandata indietro dai suoi genitori adottivi ai suoi genitori naturali, nella sua sfortuna di trasferirsi dalla città, dal mare al paese, alla campagna – per poi essere nuovamente sballottata in affido ad una famiglia di città per frequentare “le scuole alte” – ha la fortuna di toccare il fondo in modo così cruento e brutale – vista la tenera età – da perdersi completamente in quell’appellativo che tanto aveva odiato e che la etichettava, la marchiava come diversa ma in cui alla fine finisce per ritrovarsi totalmente attraverso un percorso faticoso ma estremamente necessario, fatto di momenti segnati da emozioni profonde e fortissime che restano tanto indelebili da macchiarne l’animo innocente.
Un viaggio alla scoperta di se stessa, della sua identità, della sua famiglia in cui gli interrogativi sul perchè tutto questo le sia capitato all’improvviso e soprattutto sul perché ora la donna che ha chiamato mamma per tredici anni debba essere sostituita da un’altra, affollano la mente della piccola arminuta.

La vita in paese e nella nuova famiglia – che all’inizio le sembra tanto ostile e sofferente della sua presenza tanto da sentirsi indesiderata – costruisce legami forti e importanti, al di là del già vincolo di sangue, che fanno conoscere alla protagonista adolescente sentimenti come l’amore, la lealtà, la forza della fratellanza e la condivisione.
Adriana, sorella minore della ritornata, con la sua spontaneità e la totale assenza di filtri, riflette come uno specchio i morsi della fame e i vuoti che una famiglia numerosa ed in difficoltà finisce necessariamente per lasciare.
La sua praticità, molto vicina ad un modo di fare spiccio e a tratti rozzo, si rivela essere un valore aggiunto per la sopravvivenza in quella realtà di paese scomoda ed impervia ma nella sua apparente forza d’animo si nasconde una fragilità che, soppressa per tanto tempo, fuoriesce a poco a poco dopo innumerevoli sollecitazioni.

Adriana per l’arminuta è come Virgilio per Dante, una guida silenziosa e non che accompagna e spalleggia la sorella in ogni momento strappandole la promessa di non lasciarla mai perché non solo sono sorelle ma sono legate da un affetto puro, forte e sincero che va al di là del sangue.
La sua figura nella storia è fondamentale perché consente la rinascita, il ritrovarsi della protagonista che ha la fortuna di scoprire il vero significato della famiglia e della vita smascherando le futili apparenze – che prima rappresentavano il suo tutto – in nome della verità dell’essenza delle cose.

Non dimentichiamo che il salto dell’arminuta è segnato anche da una evoluzione naturale, l’adolescenza e il diventare grande infatti, la portano a scontrarsi con quel mondo degli adulti sconosciuto sino ad allora con tutte quelle verità che esso porta con sé.
Nel suo diventare donna però la figura di Vincenzo occupa anch’essa una parte importante; con il suo sguardo da uomo, prima che da fratello, consente all’arminuta di provare delle sensazioni mai sentite prima ma senza cadere in una volgarità incestuosa: è un legame silenzioso che in nome di un non detto eterno, sia il ragazzo che la giovane, conservano celato nel proprio cuore e nella loro anima.
La timidezza e l’umiltà dei personaggi di paese – caratteristiche tipiche del popolo abbruzzese – sono il timbro di una introversione che a volte vince quell’orgoglio che non ha niente a che fare con l’orgoglio consueto ma è più vicino ad una vergogna, una modestia e ad un pudore che è sinonimo di ritegno.

Altri due temi molto cari alla bravissima autrice, Donatella di Pietrantonio, sono la forza del perdono e il rapporto madre-figlia che andando quasi a braccetto, rappresentano la base narrativa dell’intero romanzo attraversando svariate fasi evolutive: dal punto più alto a quello più basso, passiamo rapidamente dalla distanza più grande alla vicinanza più intima tra una madre ed una figlia che sembrano essere inversamente proporzionali tra loro – basti pensare che il rapporto tra l’arminuta ed Adalgisa si affievolisce mentre più si rafforza quello con la madre naturale e viceversa.
Per tutto il corso del romanzo è come se la protagonista acquisisse gli strumenti necessari per poter non solo vedere ma soprattutto guardare il mondo con una seconda vista, quella della maturità e della verità, molto più chiara e limpida della precedente.

La scelta di far uso del dialetto abbruzzese serve non solo ad autenticare la matrice già chiara della natura schietta e diretta della famiglia di paese ma conferisce anche una sacralità alle origini della stessa autrice.
Ben lontano da qualsiasi ricercatezza formale, lo stile di scrittura non si perde in convenevoli descrittivi inutili – i personaggi ad esempio vengono chiamati direttamente per nome senza alcuna presentazione, sta al lettore comprendere la loro identità progredendo con la lettura – estremamente semplice e fluido – anche scarno a tratti – ha dalla sua una grande scorrevolezza ma spicca nelle scelte stilistiche l’abilità eccellente della scrittrice nel saper costruire meravigliose figure linguistiche; queste come cornici, elevandosi ad un tono quasi poetico, abbracciano e raccontano concetti semplici come i fuochi d’artificio – Si spegnevano dopo un attimo di gloria universi di stelle appena esplose, sullo sfondo freddo degli astri fissi – o come la figura della madre, descritta al pari di un luogo – Nel tempo ho perso anche quell’idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro – o ancora il destino – destino è una parola da vecchi, non puoi crederci a quattordici anni. E se ci credi, lo devi cambiare.

Mi sono ritrovata a leggere accorata un romanzo in cui è facile riconoscersi. Infatti anche se non direttamente, vuoi per una disgrazia o vuoi per una mancanza, ognuno di noi potrebbe essere l’arminuta. Ho apprezzato tanto il lavoro dell’autrice che è riuscita a far coesistere la brutalità e la poesia in una stessa pagina dando vita ad un ibrido innovativo ed estremamente vero: la verità è la forza del romanzo, è ciò che lo rende unico e soprattutto meraviglioso. Un grazie va a Donatella di Pietrantonio che nella sua assoluta originalità è riuscita a raccontare una storia autentica che strizza l’occhio alla vita e alla rinascita.


Giudizio:

+5stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: L'Arminuta
  • Autore:Donatella di Pietrantonio
  • Editore: Einaudi
  • Data di Pubblicazione: 2017
  • Collana: Supercoralli
  • ISBN-13: 9788806232108
  • Pagine: 176
  • Formato - Prezzo: Rilegato - 17,50 Euro

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