20 maggio 2017

I piccoli maestri - Luigi Meneghello

I piccoli maestri non sanno fare la guerra. Sarà perché hanno un forte spirito di libertà, che li rende refrattari alle gerarchie militari. Sarà perché hanno letto troppi libri e possiedono uno scarso senso pratico. Sarà che loro preferiscono la parola all’azione. Il fatto è che quel gruppo di studenti universitari che nell’autunno del 1943 si dà alla macchia prima sui monti del bellunese e poi sull'altopiano di Asiago per combattere la propria personale guerra contro il nazismo, sperimenterà un apprendistato umano, più che politico. Gigi e Lello studiano lettere, Enrico e Simonetta, ingegneria e Bene, medicina. A loro si uniranno un marinaio, un operaio ed un sottufficiale degli alpini. Sarà questa la formazione partigiana dei “piccoli maestri”, ovvero la «banda dei perché», come loro stessi la chiamano. Alla sua guida c’è Capitan Toni, Antonio Giuriolo, partigiano anomalo, aderente al partito d’azione, non capo politico, professore precario di filosofia perché si è rifiutato sempre di prendere la tessera del fascio.

Recensione

I piccoli maestri’ di Meneghello è un libro – tra romanzo e diario – di guerra e sulla guerra ma quasi senza guerra. A chi legge, almeno, resta all’incirca quest’impressione: che di guerra si parli solo di striscio, per caso, in modo quasi involontario. Oggi, passati oltre settant’anni dai fatti e più di mezzo secolo dalla pubblicazione, comincia forse a esserci la giusta distanza per giudicare serenamente un’opera che ha suscitato forti polemiche al momento della sua uscita.

Nel 1964, anno della prima edizione, i fatti di cui Meneghello parla anche in forma autobiografica sono ancora troppo vicini e gravidi di conseguenze per permetterne una ricostruzione, non obiettiva – il che forse sarebbe difficile pure oggi – ma quanto meno libera da eccessivi condizionamenti politici. Meneghello, invece, poteva permettersi una fuga in avanti perché la giusta distanza l’aveva trovata iniziando una brillante carriera universitaria in Gran Bretagna e perché la formazione politica per la quale aveva militato durante la resistenza partigiana, il Partito d’Azione, si era dissolta sin dal 1947. La scelta di riappropriarsi di un episodio nodale della sua vita parte per l’autore con la scelta di un titolo che, a dispetto di quanto potrebbe apparire, ha un senso fortemente autoironico.

Fare ironia – in questo caso autoironia – su un tema delicato come la resistenza, momento fondativo della Repubblica Italiana nel bene e nel male, doveva avere, in quegli anni, un significato dissacrante che oggi è difficile cogliere. Eppure, man mano che si procede nella lettura, si capisce inevitabilmente che i ‘piccoli maestri’ del titolo sono una geniale e affettuosa interpretazione di un momento generazionale guardato da lontano, con una specie di nostalgica e paternamente bonaria ironia. I piccoli maestri hanno contribuito a salvare l’Italia dall’ignominia dal nazifascismo e lo hanno fatto con un’ingenuità tipica degli anni della gioventù: Meneghello guarda appunto a quegli eroici furori con un divertito e maturo disincanto, che rende il suo racconto difficile da ricondurre alla celebrazione riservata alla resistenza da intellettuali, politici e storiografi ma che, lungi dal voler dissacrare o sminuire, si assume il gravoso compito di riconsegnare i fatti storici alla realtà attraverso la narrazione dei ricordi nudi e crudi.

E nei ricordi la crudezza della guerra resta sullo sfondo rispetto al traguardo di ricreare l’atmosfera e le idee dei molti giovani che hanno partecipato e dato la vita nella lotta partigiana, non sempre con la consapevolezza che la versione dei vincitori ha poi cucito loro addosso. I piccoli maestri sono allora ‘piccoli’ perché involontariamente presuntuosi, con il loro idealismo velleitario, ma anche perché con i loro ‘piccoli’ sacrifici hanno costruito la possibilità di un futuro diverso per l’Italia.

C’è tutta la divertita nostalgia per la giovinezza nella ricostruzione di quel modo scapestrato di fare resistenza raccontato da Meneghello, lontano dagli intrighi di partito e forse quindi poco ‘partigiano’ e insieme, tuttavia, rigoroso e impegnato. La morte compare – e lo stesso anche per gli scontri a fuoco, le imboscate, le battaglie – quasi solo di striscio: dei numerosi compagni di lotta persi nei due anni scarsi di clandestinità sui colli veneti l’autore, in modo pudico, fa, in molti casi, solo un rapido cenno delle circostanze della morte. Il pericolo, il rischio corso dalle staffette, l’incoscienza e la leggerezza con cui i piccoli maestri affrontano la guerra civile rivelano nella scelta della lotta un impulso vitale spontaneo prima che una scelta mentale ponderata; e del resto l’autore e i suoi compagni erano poco più che ragazzi, metterli sul piedistallo della retorica patriottica, sembra quasi dire Meneghello, sarebbe quasi tradire la loro purezza sventata e coraggiosa.

I personaggi di Meneghello, piuttosto, i compagni di università, i contadini giovani e poveri, i raccoglitori di sterpi, gli operai, le ragazze borghesi come Simonetta, i ladruncoli di camicie sfilano come in una parata festosa, una parata in cui si festeggia la liberazione, non solo dal morbo nazifascista della Repubblica di Salò, ma anche dalla retorica patriottica vieta e ipocrita, che in breve, dopo il 25 aprile, avrebbe fagocitato, con il crudo linguaggio della realpolitik, quanto di più autentico e vivo era sbocciato nella generazione falciata dal più catastrofico, per l’Italia e il mondo, conflitto bellico della nostra storia.

Giudizio:

+5stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: I piccoli maestri
  • Autore: Luigi Meneghello
  • Editore: BUR
  • Data di Pubblicazione: 2013
  • Collana: Contemporanea
  • ISBN-13: 9788817061186
  • Pagine: 234
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 10,50

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