13 dicembre 2016

Il teorema dell'equilibrio - Matteo Capelli

Un suicidio apre il racconto. Poi, droga, pornografia, un furto e uno stupro di gruppo, rapporti sessuali più o meno disimpegnati e relazioni proibite. Cinque ragazzi diversi, ognuno con la propria personalità e il proprio carattere, accomunati soltanto dal fatto di frequentare l'ultimo anno di liceo nella medesima classe. A scombussolare la quotidianità dell'ambiente in cui essi vivono, è una disgrazia che non trova spiegazione: perché Linda, loro compagna di scuola, si è uccisa? I protagonisti affronteranno vicissitudini, drammi, nuove esperienze, turbamenti e cambiamenti. Graduali o repentini. E alla fine rimarrà da sciogliere un interrogativo fondamentale: il destino è lo stesso per tutti? Esiste davvero una bilancia fatalistica che compensa gioie e dolori nel corso della vita delle persone, rendendo l'esistenza di ciascuno uguale a quella dell'altro? E in che modo si misura questo ipotetico equilibrio? La narrazione si sottrae a simmetria e reciprocità, quasi a voler negare il teorema paradossale che introduce il racconto. L'ago sembra voler pendere dall'una o dall'altra parte, eppure alla fine la logica riesce a chiudere l'irregolare cerchio degli avvenimenti.

Recensione

Il fulcro della storia si snoda attraverso le vicende piuttosto compromesse di alcuni diciottenni che hanno in comune l’appartenere alla stessa classe superiore, per quanto le loro vite non possano essere più diverse.
Tra i protagonisti principali troviamo Carlo, il classico figlio di papà che vive una situazione di apatia personale dal quale prova a scuotersi con l’abuso di sostanze, fino a che la passione per la compagna Debora non crea un opportuno diversivo; abbiamo poi Sara, legata ai suoi sentimenti intimi che fatica a esprimere e a comprendere, impedendole di realizzare la sua vera natura, legata a Laura, una ragazza ambiziosa che subisce una battuta d’arresto per colpa di Tommaso il pazzo e si ritrova a confrontarsi con la violenza gratuita. Poi c’è Manuel, un giovane anonimo che per una serie fortuita di conseguenze si ritrova a essere un nuovo membro del gruppo di Tommaso, dedito ad attività legate alla droga e al furto, e ancora c’è Linda, la giovane taciturna di cui Manuel si sente innamorato, che nasconde in sé un grande segreto, lo stesso che la porterà a fare delle scelte estreme.

La caratteristica fondante di questo gruppo è proprio il senso di estraneità che distingue l’uno dall’altro, e che in modo corale ci racconta il malessere dei giovani di questo tempo, attraverso meccanismi propri sia del romanzo sociale che del romanzo di formazione; sei storie principali che si sfiorano e si intersecano in modo inusuale e, soprattutto, inaspettato agli stessi protagonisti, mediamente collegato a una tradizione, soprattutto americana del decennio 1990 – 2000 dove si usava raccontare l’esperienza limite per descrivere la gioventù e la sua natura, come avviene in alcuni testi di Breston Ellis e di Welsh, tanto per esemplificare.

Proprio sull’aspetto corale secondo il mio punto di vista questo romanzo acquisisce nella sua stesura il punto di forza più brillante: il titolo stesso rimanda all’equilibrio, ma di fatto tutte le esperienze sono sbilanciate, partono da un punto per raggiungere l’opposto, per portare un cambiamento nella vita di ciascuno, più o meno voluto, più o meno apprezzabile.
Dissezionandolo infatti si percepiscono almeno sei piccole storie a sé stanti, che da sole possiedono già un buon potenziale narrativo.
Lo stesso escamotage di raccontare per ogni capitolo un pezzo di ciascun puzzle che compone queste esperienze di vita accattiva il lettore, che vuole andare avanti per saperne di più, senza perdere il filo sia della storia di ciascuno che del quadro generale. Un modo di fare narrativa che in questo testo è riuscito.

L’ambientazione è appena tratteggiata, capiamo che siamo in Italia, conosciamo il sistema classe e anche il sistema giovanile dove si esprime, ma l’atmosfera compartecipa poco, lasciando alla riflessione interiore il gravoso compito di spiegare le motivazioni e il perché di qualche scelta a volte inusitata.
Sentirsi accettati, voler uscire da uno schema, essere liberi e quindi emancipati dalle proprie origini, come anche volersi sentire vivi, sono tutti argomenti che in questo romanzo trovano una loro espressione ottimale, che si fanno comunque cogliere.
Magari, rispetto ad alcune vicende, sarebbe stato preferibile un maggiore approfondimento o un'indagine ulteriore per essere calzante: mi riferisco alla natura del desiderio di Sara in primis, che trova poco spazio nella storia e si esprime con un’esplosione quasi inaspettata, dati i pochi elementi portati a valutazione di chi legge. Il suo ti amo sofferto, che sarebbe dovuto essere forse uno dei momenti più elevati della scena globale, passa inosservato, troppo velocemente, poco sorretto dal dilemma interiore che di solito sottende lo scoprirsi omosessuali e accettarsi. Il legame con Laura diventa un paravento troppo semplice in questo senso, soprattutto perché la stessa Laura, data già la sua situazione critica, fagocita la psiche e i sentimenti dell’amica, lasciandola sullo sfondo.

In merito allo stile, si rileva una stesura molto ricca, a tratti anche forbita, ma in sé la lettura non ne risente, se non in quelle parti dove la contingenza richiederebbe un aumento maggiore di ritmo, anziché una cadenza sempre uguale. A soffrire sono soprattutto i dialoghi in queste fasi, che a volte paiono irreali, troppo lunghi e pieni di ragionamenti che ledono l’immediatezza del concetto. Un esempio, tra i tanti:

≪Mi hanno calpestato l’anima≫ sospiro Laura a denti stretti. ≪L’hanno umiliata, straziata, devastata e massacrata. Non hanno avuto un briciolo di pieta.≫ ≪Chi? Chi e stato?≫ sbotto Sara, mentre Laura scoppiava a piangere. ≪E stato il Pazzo≫ confesso, con un flebile rigurgito di dolore. ≪Il Pazzo e i suoi scagnozzi.≫

È quanto Laura rivela all’amica in merito allo stupro subito. O ancora:
≪Con quale coraggio agiti impunemente la tua lingua biforcuta?≫ fu la reazione di Sara. ≪Dovresti strisciare col muso sul pavimento gelido di una cella.≫ ≪Che caratterino!≫ esclamo Tommaso. ≪Da dove spunta tutto questo rancore?≫ ≪Lo sai benissimo, viscido rettile schifoso.≫ ≪Non capisco a cosa tu stia alludendo.≫

Qui è Sara che si interfaccia con uno dei carnefici della sua amica, in un modo che la contingenza non potrebbe mai rendere ammissibile e, soprattutto, verosimile.
Forse il rinunciare a tenere il registro costantemente aulico avrebbe aiutato molto il dialogato a esprimersi meglio, lasciando trasparire un’emozione migliore, più genuina… meno teatrale.

In generale comunque il Teorema dell’equilibrio è un romanzo che affronta dei temi forti e molto attuali, che forse meritavano un maggiore approfondimento da un lato e soprattutto una prosecuzione ulteriore dove un modello esplicativo di trama stava a suo modo funzionando. Anche la brusca interruzione sul finale, quando ancora la scena clou della rivelazione si intuisce ma non viene alla fine espressa, porta il lettore a chiedersi se vi sia o meno il preciso intento di fare un sequel di questa storia o se il finale aperto sia semplicemente stata una scelta ponderata dall’autore.
In conclusione, possiamo affermare che questa storia ha una sua forza, ma come tutti i buoni presupposti di questo mondo, necessita forse di un maggior rigore narrativo e un maggiore lavoro sull’introspezione e sull’emotività per brillare davvero. Una lettura che comunque colpisce, dedicata a tutti coloro che si vogliono interfacciare coi giovani di oggi, per capire quanto siamo portati a dimenticarne le dinamiche una volta che diveniamo adulti.

Giudizio:

+2stelle+ e mezzo

Dettagli del libro

  • Titolo: Il teorema dell'equilibrio
  • Autore: Matteo Capelli
  • Editore: Watson Edizioni
  • Data di Pubblicazione: 2016
  • Collana: Ombre
  • ISBN-13: 9788898036509
  • Pagine: 240
  • Formato - Prezzo: € 10,00

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