5 settembre 2016

Cavalli selvaggi - Cormac McCarthy

Texas, 1949. Lacerato ogni legame che lo stringeva alla terra e alla famiglia, John Grady Cole sella il cavallo e insieme all'amico Rawlins si mette sull'antica pista che conduce alla frontiera e piú in là al Messico, inseguendo un passato nobile e, forse, mai esistito. Attraverso la vastità di un territorio maestoso e senza tempo, i due cowboy, cui si aggiunge il tragico e selvaggio Blevins, intraprendono un viaggio mitico che li porterà fin nel cuore aspro e desolato dei monti messicani. Qui la vita sembra palpitare allo stesso ritmo dei cavalli bradi e gli occhi di Alejandra possono «in un batter di cuore sconvolgere il mondo». Con una narrazione che all'asciuttezza stilistica di Hemingway unisce la ritmicità incantatoria di Faulkner, McCarthy strappa al cinema il sogno western e lo restituisce, con sorprendente potere evocativo, alla letteratura.

Recensione

Sembra che quest'anno non riesca a leggere un romanzo che mi convinca del tutto. Dopo essere rimasta folgorata da La strada, non vedevo l'ora di leggere un altro McCarthy e la scelta è caduta su Cavalli selvaggi, secondo molti uno dei suoi romanzi meno cupi e più accessibili.
"Meno cupi", quando si parla di McCarthy, assume è un'espressione che va un po' presa con le pinze, perché nella realtà del romanziere statunitense crudeltà e violenza occupano sempre un ruolo di primo piano, inserendosi come attori principali nel quotidiano dei protagonisti con pragmatismo e una certa dose di rassegnazione.
Cavalli Selvaggi non fa eccezione quando racconta il passaggio all'età adulta di due sedicenni texani, fuggiti in Messico all'inseguimento di un passato glorioso e idealizzato che forse non è mai esistito e destinati a scoprire che nel mondo degli adulti la giustizia e la moralità sono spesso reali quanto lo può essere un sogno.

McCarthy concede però un'eccezione alla regola e mette sulla strada del suo protagonista ancora un esempio di onestà e altruismo che sembrano provenire da un'altra epoca, fuori posto come lo è John Grady Cole, sedicenne fin troppo maturo prigioniero di un presente con cui non riesce ad allinearsi; la sua fuga in Messico è sopratutto una fuga dal cambiamento e dalla modernità, la ricerca dell'essenza dell'esistenza che per il ragazzo si traduce nella forza primitiva e vitale dei cavalli, con i quali è in grado di sviluppare un'affinità istintiva e primordiale.

Lo stile di McCarthy, negandosi virgole e virgolettati, assume presto un ritmo naturale che si fonde con gli alti e bassi del viaggio del protagonista, esalta la vitalità pulsante degli animali, ne sposa la fermezza e il coraggio, la concitazione della lotta e la serenità del riposo.
E' uno stile che o si odia o si ama e personalmente appartengo alla seconda categoria, anche se in questo caso il lirismo della prosa non è riuscito a compensare l'eccessiva lentezza della prima parte, che nel descrivere la monotonia e ripetitività del viaggio verso il Messico rende anche la lettura un po' monotona.

Il difetto maggiore, tuttavia, risiede nella trama, che richiama in tutto e per tutto quella di un western anni '50, ricreandone piacevolmente le atmosfere ma lasciando ben poco da scoprire perché tutto, dalla storia d'amore con la figlia del ricco fattore alla fuga tra deserti e altipiani, segue un copione già noto.
Se siete appassionati di western potrete forse trovare la famigliarità delle atmosfere e delle situazioni piacevole come lo è tornare a casa e ritrovare quei profumi e odori che avete assaporato nei vostri sogni, ma se siete alla ricerca di qualcosa di più originale allora questo libro lascerà in voi un piccolo senso di insoddisfazione.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Cavalli selvaggi
  • Titolo originale: All the Pretty Horses
  • Autore: Cormac McCarthy
  • Traduttore: Igor Legati
  • Editore: Einaudi
  • Data di Pubblicazione: 2014
  • Collana: Einaudi tascabili. Scrittori
  • ISBN-13: 8806224026
  • Pagine: 299
  • Formato - Prezzo: Copertina morbida - Euro 12,00

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