1 maggio 2016

La vetrina degli incipit - Aprile 2016

L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine? Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...





«Avevano spento la radio e, sebbene la stanza fosse piena di gente, il silenzio era completo al punto che Polly percepiva, quasi sentiva, il battito del proprio cuore. Finché nessuno parlò, finché nessuno si mosse, vi fu un ultimo scampolo di pace…
Fu il Generale, il nonno, a muoversi per primo. Stette a guardarlo mentre, senza aprire bocca, si alzava lentamente, restava un attimo fermo in piedi e posava una mano tremante sulla spalliera della poltrona, passandosi l’altra sugli occhi velati. Poi attraversò la stanza e baciò uno alla volta i due figli più grandi: Hugh, il padre di Polly, e zio Edward. Si aspettava che baciasse anche zio Rupe, ma non lo fece. Non lo aveva mai visto baciare un altro uomo, e questo del resto sembrava più un atto di contrizione che di congedo. Per ciò che avevano sopportato nella guerra precedente, pensò Polly, e per il fatto che non era servita a niente. Polly vide ogni cosa. Vide zio Edward che intercettava.
»
Il tempo dell'attesa, di Elizabeth Jane Howard - Valetta

« Quando Otto von Lambert fu informato dalla polizia che ai piedi delle rovine di Al-Hakim avevano rinvenuto sua moglie Tina violentata e priva di vita e che il delitto era rimasto irrisolto, lo psichiatra, noto per il suo libro sul terrorismo, fece trasportare il cadavere con un elicottero al di là del Mediterraneo, per cui la bara che lo conteneva, fissata con un cavo portante sotto il velivolo, al seguito del quale oscillava, volò ora al di sopra di immense pianure illuminate dal sole ora attraverso brandelli di nubi, e sulle Alpi fu anche investita da una bufera di neve e poi da rovesci di pioggia, sinché alla fine si lasciò cadere dolcemente nella tomba, circondata dal corteo funebre e subito ricoperta di terra, dopodiché von Lambert, avendo osservato come anche la F. stesse filmando l’avvenimento, chiuse l’ombrello nonostante la pioggia, squadrò brevemente la donna e la invitò a recarsi da lui con la sua equipe la sera stessa: aveva un incarico per lei che non ammetteva indugi. »
L’incarico, di Friedrich Dürrenmatt - Antonio

«Sono nato l'8 gennaio 1942, esattamente trecento anni dopo la morte di Galileo. Stimo però che quello stesso giorno devono essere nati circa duecentomila altri bambini. Non so se qualcuno di loro abbia in seguito manifestato un qualche interesse per l'astronomia. Nacqui a Oxford, benché i miei genitori abitassero a Londra, perché Oxford era un posto più favorevole in cui nascere durante la seconda guerra mondiale: c'era infatti un accordo per cui i tedeschi non avrebbero bombardato Oxford e Cambridge e gli inglesi avrebbero analogamente risparmiato dalle bombe Heidelberg e Göttingen. È un peccato che un accordo così civile non sia stato esteso anche ad altre città.»
Buchi neri e universi neonati, di Stephen Hawking - Tancredi

« Ascolta bene quel che ti dico bambina. Io so cos’è l’amore e l’amore è nebbia che la stagione asciuga. E’ come il suono. Sembra andato ma intanto ti ha trasformata. Entrato dentro per sempre, nella forma di una parola che ti ha benedetta o di una musica che accompagna i tuoi giorni. L’amore mio sarà con te quando giochi, quando dormi, quando ti alzi, quando cammini per strada, quando ti addormenti, anche quando non lo sentirai. Lo ritroverai nelle piante che coltiverai e nei fiori che disegnerai. Ti sorprenderà alle spalle come un gatto, che può scappare quando ti giri ma c’era e non eri sola. Allora il desiderio te lo farà cercare nelle persone e il desiderio è forte e ti confonde. Il seduttore non sa l’amore, vuole prendere quel che si può solo ricevere ma sa la forza del desiderio e le sue leggi. Non è il primo desiderio, né il secondo o il terzo l’amore. E’ quello che resta dopo l’incendio, dopo l’inganno che invece sì è nebbia e la prima luce arriva come un regalo e lo umilia nel suo esser nulla.»
Una storia quasi perfetta, di Mariapia Veladiano - Cattivissimaprof

«Da dietro lo schermo di cespugli che circondava la sorgente, Popeye guardava l'uomo che beveva. Un sentiero appena visibile portava dalla viottola alla sorgente. Popeye guardò l'uomo – un uomo alto e magro, senza cappello, con un paio di vecchi pantaloni di flanella grigia e una giacchetta di tweed sul braccio – venire giù per il sentiero e inginocchiarsi a bere alla sorgente. La sorgente scaturiva alle radici di un faggio e fluiva su un fondo sabbioso ondulato a volute. Era i circondata da un folto di canne, rovi, cipressi e eucalipti sul quale, come dal nulla, si posavano chiazze di luce. Da qualche parte, nascosto, segreto e tuttavia vicino, un uccello cantò tre note e tacque. Alla sorgente, l'uomo che beveva teneva il viso accostato alle miriadi di infranti riflessi del suo bere. Quando si tirò su, vide in mezzo ad essi il riflesso scheggiato della paglietta di Popeye, anche se non aveva sentito alcun rumore. Vide, che lo fissava di là della sorgente, un uomo minuto, le mani nelle tasche della giacca, una sigaretta che gli pendeva sul mento. Indossava un vestito nero, con una giacca stretta e corta. I pantaloni, rimboccati una volta, erano incrostati di fango sopra le scarpe infangate. Il viso era di uno strano colore esangue, come visto alla luce elettrica; contro il silenzio assolato, con quella paglietta di traverso e i gomiti un po' in fuori, aveva la piatta crudeltà della latta pressata. »
Santuario, di William Faulkner - Polyfilo

«Vienna, 1909. Un mattino, per caso.

È mattino. Una giovane luce filtra dalla finestra e accompagna il mio sguardo su Vienna, mentre sospiro di commozione davanti a questa che è ormai la città dove vivo. Giace morbida come la mia donna ancora addormentata; si stende tra la foschia fin quasi al borgo dove sono nato e da cui sono partito anni fa per entrare alla Scuola di arti e mestieri, e poi, dopo due anni, nella bottega del maestro Klimt. Pochi attimi in cui mi rivedo ragazzino di dodici anni, deciso a seguire il mio istinto, contravvenendo ai progetti di un padre contabile poco incline all’arte, arresosi all’evidenza di un tratto di matita senza esitazioni; suggestioni di volti cari abbandonati e poi il tormento, che non mi fa più dormire, torna a torturarmi. Cerco il corpo di Edith ancora nascosto dalle lenzuola, mio rifugio. Percorro con lo sguardo la stanza spoglia: un letto di ferro nero scrostato, una coperta ruvida che non ci scalda, una stufa piccola e storta, il fuoco spento, poco carbone in un cesto; un cavalletto e un tavolo di legno incrostato di colori, custode della mia anima sparpagliata in quelle macchie. Luce del Nord per le mie tele, foga e passione, stracci.
Mi chiamo Thomas Shieller, ho pennelli a sorreggere e intrecciare i lunghi capelli biondi, mani sapienti e camicie sporche. Sono giovane eppure dipingo l’angoscia che sento dentro. Un animo contrastato, che non mi dà tregua; ruba i miei ventiquattro anni, distorce la passione per l’esistenza, mi tormenta e mi uccide.
»
Ritratto di un preziosissimo amore indecente, di Federica Gnomo Twins - Il Gatto Zorba

«Un’ombra estranea, irreale, stava avvolgendo lentamente le terre d’Oltreoceano. I bambini guardavano curiosi il cielo mai stato così cupo; i vecchi scrutavano le nubi turbati; i maghi scavavano fossette nella morbida terra e vi seppellivano amuleti, oppure sussurravano preghiere, inginocchiati ai piedi degli alberi più imponenti… ma le Divinità non rispondevano. La paura di quell’oscurità lentamente raggiunse dal mare anche i villaggi e i monti, coprì tutto il paese e infine soggiogò la più grande città costruita dagli etark: il cielo sopra di essa divenne livido e si gonfiò di nubi nere. I soldati presero posizione all’esterno delle mura, mentre contadini e mercanti correvano al sicuro dentro il centro abitato. Tale roccaforte svettava fiera, vicina all’oceano, protetta da una cinta muraria eretta migliaia di anni prima per volontà di chissà quale sovrano; solo una pallida spiaggia la separava dalle sconfinate acque. Sulla torre più alta, il Primo Fidato del popolo etark si accostò al parapetto: il suo sguardo calò sulla moltitudine che accorreva dentro le mura e sui soldati pronti a schierarsi lungo la strada per il porto. Poi l’etark guardò l’orizzonte, a est. Il vento soffiava dall’oceano, sollevava la sabbia dalla spiaggia e l’accumulava sulle mura possenti dotandole di un colore giallastro. Le foglie secche dell’autunno salivano in aria, giravano su sé stesse e tornavano a posarsi a terra; un’altra folata di vento le spingeva avanti tra le gambe degli etark nelle strade, risollevandole e facendole scorrere contro i muri. Poi volavano più in alto, sui tetti, passando tra i ragazzini seduti a fissare quell’inquietante spettacolo. Lanciate lontano riprendevano il volo, passavano tra i vecchi contadini fermi a scrutare il cielo nei loro campi, poi tra le bestie, adagiandosi sui dorsi degli animali e sulle spalle dei loro allevatori. Tutti si erano fermati per vedere il nero delle nubi.»
Homeron Etark, di Francesco Giuffrida - Chiara A.

«Perché all'inizio delle cose c'è sempre la luce? Il ricordo più vecchio di Dorrigo Evans era una chiesa inondata dalla luce del sole dove lui era andato con la madre e la nonna. Una chiesa di legno. Una luce accecante e lui che sgambettava avanti e indietro, dentro e fuori da quell'abbraccio trascendente per rifugiarsi fra le braccia delle donne. Donne che gli volevano bene. Come se entrasse nel mare e tornasse sulla spiaggia. Andava e tornava, andava e tornava.
Che Dio ti benedica, gli dice la madre tenendolo e lasciandolo andare. Che Dio ti benedica, bambino.
»
La strada stretta verso il profondo Nord, di Richard Flanagan - Sakura

1 Commenti:

Posta un commento

 

La Stamberga dei Lettori Copyright © 2011 | Template design by O Pregador | Powered by Blogger Templates