12 marzo 2015

L'uomo che allevava i gatti - Mo Yan

E' una Cina rappresentata nella crudezza, a volte nella brutalità della sua vita quotidiana quella di Mo Yan.
Ma anche una Cina toccata dalla poesia, dalla sensazione del meraviglioso.
I personaggi di questi racconti sembrano sempre sul punto di soccombere, ma conservano una loro leggerezza magica. In particolare, sono i bambini a impersonare il confine tra fragilità assoluta e capacità di illudere il mondo, di fare miracoli.
Secondo Mo Yan sono loro a portare sulle spalle il peso dell'anima: tra esseri umani che spesso hanno dimenticato di essere stati anche loro, un giorno, figli e bambini.

Recensione

Opera del vincitore del premio Nobel per la Letteratura nel 2012 Mo Yan, L’uomo che allevava i gatti si presenta nella forma di una raccolta di racconti: Il vecchio fucile, Il fiume inaridito, Il cane e l’altalena, Esplosioni, Il neonato abbandonato, Il tornado, La colpa, Musica popolare e, in omonimia col titolo del libro, L’uomo che allevava i gatti.

Si tratta di un viaggio nel mondo della Cina della Repubblica Popolare, dove il Partito governa su ogni cosa, e lì dove impone, il cittadino, fedele al rosso della politica, esegue senza remore. Un mondo di indiscussa povertà e di sottomissione ad un sistema di gerarchie che tanto ricorda quello della casta indiana caratterizza questi racconti, mettendo sempre in risalto il profondo legame con le tradizioni e l’esaltazione dell’educazione, considerata come un culto solenne. La rigidità e la freddezza nelle punizioni corporali è delle più autentiche e si respira una densa atmosfera di normalità nel frustare la schiena di un figlio agonizzante nel un letto di un fiume, la punizione è lecita ed è forma d’amore in una cultura completamente diversa dalla nostra, come una sequenza di Esplosioni lo mette in risalto ampiamente.

Mio padre mi ama. Ha consumato il manico della zappa nei campi per permettermi di andare a scuola. È così. Mi ama, anche se mi picchia, è giusto un riflesso del suo grande amore. Eppure non posso arrendermi solo per il fatto che mi vuole bene. C’è qualcos’altro, un’altra forza in grado di superare quella dell’amore di mio padre e di mia madre, una forza che non è amore e sta governando le mie emozioni, indefinibile, inconsapevole, slegata da qualsiasi condizionamento di causa effetto, una forza la cui stessa essenza si concretizza in obiettivo. Non ha bisogno di essere spiegata, è la mia indipendenza.

Sono le storie di chi lascia la propria terra per conquistare un futuro migliore e il ritorno nei villaggi d’origine è come un manto di sconfitta che avvolge gli emigranti, è il confronto perso con la dura realtà da cui si è fuggiti spinti dalla forza d’indipendenza. Chi ritorna non è accolto con gioia ma viene quasi attaccato per non aver abbassato il capo ed essersi arreso alla povertà, ai campi di sorgo e alle pesanti stuoie da trasportare sul dorso che tanto fanno sudare ma che tanto nobilitano, assai più di un lavoro come regista o come maestro di cattedra, secondo il pensiero di chi resta.
Conosciamo così, pagina dopo pagina, gli usi di fasciar i piedi alle bambine, di portare il cavallo scucito dei pantaloni per i maschietti fino al momento di prender moglie e di credere nelle storie degli antenati sugli spiriti e sulle volpi che aiutano nel buio chi si è perso, la politica del controllo delle nascite e una rassegnazione mista a devozione così marcata da essere a tratti permeata da una grande crudeltà.

L’uomo che allevava i gatti ci permette di conoscere un lato della Cina forse sconosciuto, mostrando quegli aspetti più intimi che altro non sono che scorci di una dura realtà dove chi disubbidisce è segnato per la vita e dove gli anziani credono nella Rivoluzione Culturale come avvento di buone nuove.
Eppure in questo grigio scenario c’è un forte barlume di speranza, sono i bambini che si contrappongono all’inquietudine degli altri personaggi i quali appaiono sull’orlo di un baratro, sempre sul punto di cadervi; i bambini sono un grido di speranza per una realtà diversa da quella raccontata, per un futuro migliore dove non ci sarà bisogno di abbandonare neonati o abortire il secondo figlio.

Le descrizioni delle enormi campagne di sorgo al tramonto, dei cieli in tempesta e dei tumulti dei tuoni sembrano riflettere gli stati d’animo dei protagonisti delle storie raccontate. L’empatia Uomo-Natura è fortissima, un legame di identificazione per l’uomo con ciò che lo circonda, un’atmosfera magica e poetica ricreata grazie alle numerose sinestesie che arricchiscono l’opera di Mo Yan, abilissimo nel raccontare storie più profonde di qualsiasi abisso.
Un’attenzione particolare dunque al carattere descrittivo che oltre al consueto compito di descrivere appunto, si intreccia col carattere narrativo diventando così lo stile principale: tutto è raccontato attraverso attente descrizioni così da poter comprendere ancora meglio quanto stiamo leggendo. Bellissimo libro, un Nobel per la Letteratura più che meritato meritato per un’opera che tocca veramente le menti e i cuori di chi legge.

Giudizio:

+5stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: L'uomo che allevava i gatti
  • Titolo originale: Yang mao zhuanyehu
  • Autore: Mo Yan
  • Traduttore: Daniele Turc-Crisà, Lara Marconi, Giorgio Trentin
  • Editore: Einaudi
  • Data di Pubblicazione: 2008
  • Collana: Einaudi Tascabili Scrittori
  • ISBN-13:9788806191578
  • Pagine: 256
  • Formato - Prezzo: Brossura- 10,80 Euro

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