30 novembre 2013

Speciale Premio Nobel: L'africano/Il ritornello della fame - Jean-Marie-Gustave LeClézio

Nel 2008 il premio Nobel per la letteratura viene assegnato allo scrittore di origini franco-mauriziane, nato da famiglia bretone, Jean-Marie Gustave LeClézio, in quanto "autore di nuove partenze, avventura poetica ed estasi sensuale, esploratore di un'umanità al di là e al di sotto della civiltà regnante".


Jean-Marie Gustave LeClézio proviene da una famiglia piuttosto girovaga, originaria della regione francese della Bretagna, che si trasferì nel 1798 nel dominio coloniale di Mauritius per fare poi ritorno in madrepatria. Qui lo scrittore è nato, a Nizza, nel 1940, mentre il padre prestava servizio come medico coloniale nei possedimenti britannici africani, in Nigeria, dove il resto della famiglia lo raggiunse nel 1948, dopo aver passato i primi anni dell'infanzia nel piccolo villaggio provenzale di Roquebilliere.

Dopo aver studiato nell'ateneo inglese di Bristol e nell'Università di Provenza iniziò una carriera di insegnante negli Stati Uniti, per poi prestare servizio militare in Thailandia nel 1967 e spostarsi ancora, dopo esserne stato espulso per l'impegno contro la prostituzione infantile, nel Centro-America, dedicandosi allo studio di linguaggi, tradizioni e cultura dei Maya e arrivando a vivere tra il 1970 e il 1974 con un tribù di indios panamensi.
Il suo percorso di studio si è diretto in modo particolare verso la valorizzazione di culture tribali originali, spaziando dalle civiltà mesoamericane a quelle dell'isola mauriziana, fino alle ricerche sullo sciamanesimo sud-coreano, e trasferendosi a insegnare anche presso l'università femminile coreana di Ewha.
Ha diviso la sua carriera tra la docenza universitaria in varie cattedre, tra Boston, Austin, Bangkok e Albuquerque, e la scrittura, che, a partire dall'età di sette anni non ha mai abbandonato, pubblicando il primo romanzo nel 1963, Il verbale, con il quale ha anche ottenuto il Prix Renaudot.
In effetti la sua produzione di saggista e romanziere è stata continua, complessa e stratificata, caratterizzata dall'intreccio indissolubile tra studi quasi etnografici, interessi per culture folkloriche periferiche e ricerca delle origini, anche in senso autobiografico e familiare.
Dopo un primo periodo, durato all'incirca fino al 1970,  nel quale aderisce alle ricerche formali della corrente del 'nouveau roman' di Alain Robbe-Grillet, la sua ispirazione trova la svolta e acquista una voce più completa e originale nell'esplorazione di mondi marginali anche come opposizione alle brutture della società moderna, più volte descritta e contestata in romanzi come La Guerra, Il cercatore d'oro (sul conflitto subsahariano nel Biafra), o il più recente Urania, ambientato in una sperduta vallata messicana.
Non è un caso che questa venatura girovaga, quasi picaresca, e sensibilissima ai miti delle origini si concretizzi anche con un matrimonio, nel 1975, con la seconda moglie Jemia Jean, marocchina del Sahara Occidentale, insieme alla quale ha scritto una raccolta di racconti mauriziani, e ha ricevuto nel 2010 l'onorificenza dell'Ordine dell'Aquila Azteca dal presidente messicano Felipe Calderon in riconoscimento dei suoi studi sulla civiltà precolombiana di Michoacan.
Nella sua opera, come nella sua vita, la protesta e il vagabondaggio inteso come fonte di incroci culturali sono sempre presenti e solo nell'ultima fase della produzione l'interesse si focalizza, virando verso sfumature anche amare e nostalgiche, sulla propria storia famigliare, anch'essa, come abbiamo visto, composita e sparpagliata nello scacchiere della globalizzazione.
Per questo motivo la scelta dei due brevi romanzi presentati di seguito - L'africano, del 2004, e Il ritornello della fame, uscito poco prima di ricevere il premio dell'Accademia di Svezia nel 2008 - racchiude bene il suo sforzo di trasfigurare anche nella propria storia le vicende della mondializzazione e la ricerca delle origini, visto che in essi l'autore racconta il suo vissuto personale nei confronti del padre e della madre.


Nel 1948, a otto anni, J.M.G. Le Clézio lascia Nizza, la sua città natale, e con la madre e il fratello parte per la Nigeria, dove il padre, che non ha mai conosciuto, è medico nell'esercito britannico. Inizia così uno straordinario viaggio che, più di cinquant'anni dopo, sarà oggetto di questo libro. Le Clézio racconta il continente nero attraverso gli occhi di un bambino che entra in contatto con un mondo dove tutto - natura, sole, temporali, insetti "esiste" con intensità e violenza, un mondo che gli regala una sensazione di libertà fisica e mentale per lui fino a quel momento sconosciuta. Fondamentale è l'incontro con il padre, uomo duro, abituato alla solitudine cui lo ha costretto la guerra. È dalla prospettiva del bambino che viene descritta la sua severità, il suo modo di vestire e i tentativi di ricuperare il tempo perduto con i figli. E sempre dalla stessa prospettiva emerge l'ammirazione verso quest'uomo misterioso, cui Le Clézio tenta di "avvicinarsi" per tutto il libro. Ad accompagnarlo nella sua indagine ci sono le foto scattate proprio dal padre, immagini piene di suggestione, non professionali e, forse per questo, assolutamente autentiche.

Recensione

L'africano è il breve diario dell'incontro di Le Clézio bambino con il padre, uomo severo, che ha vissuto per scelta in una condizione di isolamento e insieme di impegno in quelli che erano i margini dell'impero coloniale britannico, come medico di frontiera. Il motivo della scelta paterna è abbastanza significativo del suo carattere: appena laureato in Inghilterra prende servizio in una cittadina di mare e viene redarguito da un superiore per non avergli presentato il suo biglietto da visita appena arrivato in città. Come reazione Le Clèzio padre decide di prendere l'occasione, evidentemente non troppo ambita, di trasferirsi in servizio nel nulla ai confini tra Nigeria e Camerun.

Dopo un tentativo, fallito per via della II Guerra Mondiale, di ricongiungersi alla famiglia rimasta in Francia, il padre si fa raggiungere da moglie e figli nel 1948, quando lo scrittore ha già otto anni. In questo breve diario Le Clézio parte dall'immagine tarda del padre in pensione, tornato in Francia, che non sa, e non vuole neppure fino in fondo, rinunciare allo stile di vita 'africano', per tornare a ritroso a quei giorni della sua infanzia e ritrovare, nel cuore dell'Africa subsahariana, insieme il rapporto con la figura paterna e con le sue origini.

In questo senso dalla prospettiva del bambino le due immagini, il continente nero e il padre, sembrano quasi sovrapporsi e raggiungere una sorta di riconciliazione serena e leggermente venata di quella nostalgia che si può immaginare nel guardare indietro alla propria infanzia e avere nel contempo la visione di un proprio genitore ormai entrato nella vecchiaia.

Del padre viene descritta la severità, il suo modo di vestire e i tentativi di ricuperare il tempo perduto con i figli in una serie di aneddoti che portano la ricerca, tra presente e ricordo, sempre più verso l'interno della coscienza. E sempre più emerge un senso di serena e malinconica pacificazione verso quest'uomo misterioso, cui Le Clézio tenta di "avvicinarsi" per tutto il libro, fondata nella comprensione che in un altrove del tempo e dello spazio, l'Africa dei giorni in cui era bambino, affondano le radici di una ricerca che l'autore ha poi seguito per tutta la vita, da scrittore e da saggista, quella delle origini di popoli e tradizioni, del rispetto dignitoso e fermo, forse in apparenza anche scostante, per la diversità e la lontananza, fisica e spirituale.

Alcune foto scattate proprio dal padre, dall'archivio privato di Le Clézio, illustrano questo percorso della memoria e rendono ancora più efficaci gli aneddoti in cui si struttura, senza soluzione di continuità, la narrazione. Nel loro bianco e nero autentico si sentono i colori di questo mondo un po' dimenticato e un po' troppo lontano, fatto di piccoli villaggi di capanne di fango come Ogoja e Kano, di ospedali e ambulatori di emergenza, di privazioni vissute con la gioia semplice che solo un bambino o un idealista possono avere, di corse a piedi nudi nel fruscio dell'erba alta della savana, delle stoffe sgargianti dei vestiti delle donne e dei costumi tribali.

Il risultato è una ricostruzione biografica della vita del padre, commovente nello stile asciutto e distaccato, quasi fosse un saggio più che un diario personale, in cui emerge forte e sereno, pur nelle asprezze del carattere e del territorio, l'amore per le proprie radici.

Giudizio:

+4stelle+

Nella Parigi degli anni Trenta, Ethel Brun, “figlia unica di una famiglia in guerra, tra le mura di una casa in pericolo”, percorre l'età inquieta dell'adolescenza. Una famiglia di coloni, la sua, arrivata dall'isola di Mauritius per mescolarsi alla ricca borghesia della capitale, senza riuscire a dimenticare l'indolenza e gli eccessi, i profumi penetranti e i colori della terra a cui appartiene.
A tredici anni, Ethel incontra Xenia, figlia di esuli russi, e davanti al suo sguardo azzurro e fiero conosce per la prima volta la vertigine del desiderio e della diversità. A quindici, nel vacuo brusio delle chiacchiere da salotto, sente risuonare con insistenza il nome di Hitler – l'uomo che arginerà la minaccia bolscevica – e stringe una silenziosa alleanza di sguardi con il timido Laurent, senza sapere che di lì a pochi anni i loro destini si legheranno in modo indissolubile. Ma quando lo spettro dell'occupazione si allarga sulla Francia e i Brun sono costretti a sfollare a Nizza, Ethel sperimenta abissi ben più tormentosi della voracità della giovinezza: quelli della miseria e del bisogno, che le accenderanno in corpo una tenacia insospettata, la forza di sopravvivere in un mondo che va a fuoco sotto i suoi occhi.

Recensione

Il cantiere destinato a rimanere incompiuto in Rue de l'Armorique a Parigi, che lo zio Soliman mostra orgoglioso alla piccola Ethel, è quello della casa color malva che l'anziano rimpatriato di Mauritius decide di lasciare alla piccola nipote, come sostegno contro l'incapacità del padre di Ethel, Alexandre Brun, di gestire il patrimonio di famiglia.

Se in L'africano Le Clézio aveva indagato il lato paterno delle origini, quasi in forma di saggio biografico, in questo che è un vero e proprio romanzo, lo scrittore ne esplora l'altro ramo, quello materno, legato strettamente all'esotismo delle radici mauriziane, che lui stesso ha dichiarato di sentire come una seconda patria rispetto alla Francia.

La famiglia Brun è raccontata dal punto di vista, anche qui, di una bambina che cresce.
Il clan tornato da Mauritius con una posizione finanziariamente brillante frequenta i salotti buoni della capitale francese del periodo tra le due guerre e i due genitori, Alexandre e Justine, la cui vita coniugale è funestata da un rapporto adulterino del padre con una donna di spettacolo, Maude, mantengono uno stile di vita dispendioso, nonostante i continui rovesci economici paterni che ne assottigliano sempre più il patrimonio.
Nello sguardo di una bambina questo ambiente è rappresentato dai pranzi affollati della domenica, in cui ascolta i discorsi dei grandi che parlano di politica, e in cui si affaccia la figura dell'emergente cancelliere tedesco, visto con favore come argine contro il bolscevismo, e li riporta come se fossero una lista di luoghi comuni e banalità da conversazione perbenista del dopopranzo.
Quasi nell'ombra, un po' in disparte, Ethel cresce e trova un primo legame con una ragazza di origini russe, un'aristocratica fuggita dalla rivoluzione d'ottobre, Xenia, con cui impara a bere il the forte che l'amica, la cui famiglia vive in condizione di povertà lavorando per un laboratorio di sartoria, porta nei freddi giorni invernali in una bottiglia coperta di panni per mantenerlo caldo.
Quando questo legame viene meno perché, come capita nell'adolescenza, le amicizie spesso si perdono per strada spontaneamente, Ethel si trova da sola ad affrontare lo sfacelo finanziario della famiglia, dopo che la madre Justine ha evitato di contrastare le follie del padre per mantenerlo legato al talamo, e deve assistere anche alla perdita del terreno di Rue de l'Armorique, che viene perso in seguito al fallimento nella costruzione di un palazzo dal nome esotico di 'Tebaide'. A poco a poco mentre il mobilio della casa dei Brun viene portato via per pagare i creditori e molti parigini, tra cui la famiglia stessa di Ethel, vengono costretti a lasciare la città su cui incombe l'ombra della svastica nazista - ormai la II Guerra Mondiale ha già trovato nella Francia occupata la sua prima illustre vittima -, quella che è ormai una giovane donna scopre la forza della fame.

La sua forza e il desiderio di vivere si materializzano nell'immagine della fuga verso le coste provenzali in cerca di rifugio, a bordo di una vecchia macchina, la De Dion da tempo dismessa per risparmiare, nel mezzo di una fiumana di sfollati. Nella miseria umana Ethel diventa donna e si innamora di Laurent, un ragazzo della cerchia famigliare che viveva in Gran Bretagna e combatteva perciò dalla parte degli Alleati e decide di sfidare la storia vivendo questo rapporto cui la guerra impone la dimensione dell'attesa in una Nizza fredda e cupa.

Chiaramente viene adombrato in questo rapporto il mito delle origini, rivissuto nella storia d'amore tra i genitori dello scrittore e, anche se 'Il ritornello' esce nel 2008, in realtà Le Clézio riporta in vita fatti anteriori a quelli raccontati in 'L'africano', che è del 2004.

La scelta si pone in un'ottica di continuità quasi genetica della narrazione.
La scoperta della fame e della forza da parte di Ethel esplora l'altro lato delle origini, quello materno, legato con più forza all'orizzonte esotico dell'isola di Mauritius e insieme, pur rivolto al passato, funziona come stimolo a guardare oltre.

Come a Nizza Ethel ritrova Maude, l'amante del padre, che vive nell'indigenza della guerra e della solitudine e cerca di aiutarla come può, e supera anche la morte del genitore, così si distacca anche dal passato per ricongiungersi con Laurent e rivolgersi a una vita nuova, da costruire al di là dell'Atlantico, negli Stati Uniti.
Anche nello stile romanzesco e vivo del 'Ritornello' si sente ancora quell'urgenza, distaccata e insieme appassionata, di trovare nella lontananza delle origini la giusta dimensione del presente, che caratterizza così in profondità la storia e la ricerca di Le Clézio.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: L'africano
  • Titolo originale: L'Africain
  • Autore: Jean-Marie Gustave Le Clézio
  • Traduttore: Maurizia Balmelli
  • Editore: Instar Libri
  • Data di Pubblicazione: 2004
  • Collana: Le antenne
  • ISBN-13: 9788846100825
  • Pagine: 104
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 10,00

  • Titolo: Il ritornello della fame
  • Titolo originale: Ritournelle de la faim
  • Autore: Jean-Marie Gustave Le Clézio
  • Traduttore: Maurizia Balmelli
  • Editore: Rizzoli
  • Data di Pubblicazione: 2008
  • Collana: Scala Stranieri
  • ISBN-13: 9788817032346
  • Pagine: 202
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 17,50

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