4 novembre 2011

Storia di un archivista - Travis Holland

Mosca, 1939. Nei recessi della famigerata prigione della Lubjanka, il giovane archivista Pavel Dubrov ha il compito di catalogare e poi distruggere tutti gli scritti degli autori finiti in cella perché considerati nemici del regime staliniano.
Un destino beffardo, per lui, che fino a due anni prima, all'Accademia Kirov, insegnava letteratura russa e trasmetteva ai suoi allievi l'amore per i libri. Poi tutto è precipitato: il coinvolgimento in un odioso caso di diffamazione ai danni di un collega gli è costato il posto, la moglie Elena è morta in un misterioso incidente ferroviario, la madre si è ammalata, intorno a lui amici e colleghi sprofondano in una miseria avvelenata da denunce e sospetti.
Ma un giorno Pavel si ritrova tra le mani il racconto di un illustre prigioniero politico, il grande Isaak Babel', che consuma i suoi ultimi giorni privato della libertà di scrivere. L'incontro con l'autore da sempre venerato dell'Armata a cavallo segna per l'archivista l'inizio di una segreta ribellione.
Salvare quelle pagine dall'inceneritore diventa la sua nuova missione: un atto privato di coraggio contro la macchina mostruosa della burocrazia e della paura, costi quel che costi.
Con grande forza evocativa,Travis Holland racconta l'eroismo di un uomo comune al tempo della tirannia e, attraverso l'omaggio a Babel', celebra la "fortezza della letteratura", che può restituire senso alla vita e riscattare le coscienze.

Recensione

Più che Storia di un archivista, il titolo più appropriato di questo romanzo sarebbe Storia di un ANTIarchivista, dal momento che il compito del suo protagonista, un oscuro ingranaggio nella macchina inesorabile della polizia segreta stalinista, è quello di distruggere le memorie scritte degli oppositori, o supposti tali, del regime.

In realtà l'eclissi delle memorie è funzionale alla conservazione delle stesse e se non ci fossero guerre, incendi o altri fattori a selezionare il materiale da tramandare la percezione stessa del ricordo come di qualcosa che rimane, un 'relitto', nel significato etimologico, non sarebbe possibile.

Pavel Dubrov ne è la testimonianza vivente: è egli stesso, prima di tutto, un relitto. Il personaggio e le atmosfere sono ispirati in maniera abbastanza evidente al protagonista del celeberrimo antecedente di genere, il Winston Smith del 1984 orwelliano: Dubrov è macilento, debole, precocemente invecchiato a 32 anni, beve senza sentirne il sapore l'untuosa vodka di produzione statale, è vestito senza sfumature, si sente un grigio e piatto burocrate il cui destino, già votato alle fiamme delle purghe di regime, come gli scatoloni con gli scritti di intellettuali non allineati, come se la sede della Lubjanka prefigurasse in qualche modo i fumi dei forni crematori dei lager nazisti, in agguato dietro l'angolo della storia, nell'estate del 1939.

La Russia, più precisamente l'URSS, descritta da Holland mentre il mondo si ritrova sul baratro della seconda guerra mondiale è una sterminata distesa lontana dal furore che stava per imperversare nell'Europa centrale, così focalizzata sulla guerra civile interna, silenziosa quanto sanguinaria, messa in atto dal regime di Stalin contro ogni forma di ipotetica opposizione, da relegare tutto ciò che si trova all'esterno al ruolo di mero sottofondo.
Il patto diabolico di non aggressione Molotov-Ribbentrop stretto con il III Reich in procinto di assalire il mondo diventa poco più di un trafiletto sulla Pravda: ciò che spaventa i protagonisti è la necessità di difendersi dall'interno, da ogni possibile spazio lasciato alla polizia segreta, fondata da Dzeržinskij, di procedere con arresti improvvisi, nel cuore della notte, che si trasformano in interminabili interrogatori, pressioni psicologiche insostenibili e confessioni e deportazioni nei campi di prigionia e rieducazione, che spesso coinvolgono la cerchia di parenti, amici e colleghi.

Come il virus di un'epidemia che diffonde il contagio e da cui non c'è scampo. Tutto ciò che si può fare per arginare questa alluvione che travolge l'umanità dell'uomo è conservare, almeno in se stessi, la memoria.
Così nasce, quasi involontariamente, il tentativo di Pavel di salvare dalle fiamme della caldaia - che ricordano quelle da cui Winston Smith vedeva inghiottite e cancellate le notizie modificate dal Grande Fratello - un racconto di un autore e quasi collega, Babel', arrestato e torturato alla Lubjanka.

Nel tentativo di sfuggire alla sordida realtà del riordino/eliminazione dell'archivio della polizia segreta - Dubrov è stato assegnato a questo compito dopo aver denunciato per debolezza un suo collega insegnante all'Istituto Kirov, provocandone indirettamente il suicidio - l'archivista si aggrappa anche alle sue relazioni affettive: il rapporto con la madre, che divide un bilocale con una famiglia diventata parte della sua, visto che il suo Paša, dopo la morte della moglie Elena in un incidente ferroviario non potrà più dargli dei nipoti; la frequentazione con Semën, patrigno e amico, professore universitario sull'orlo della dissidenza, troppo legato al bisogno di mantenere una dignità personale per accondiscendere all'omologazione con i solerti e inetti leccapiedi del sistema; una fugace e muta relazione carnale con un'altra vittima della vita, la portinaia del suo palazzo, Natal'ja, scappata dalla sua terra d'origine, la Siberia in seguito alla morte, lasciata sospesa nel non detto, di una delle figlie piccole, e sfigurata da una cicatrice sul volto.
Il lutto è il loro legame: come Natal'ja ha perso con la figlia ogni speranza nel futuro così Pavel non riesce ad andare oltre la morte della moglie; la presenza della sua Elena rimane costante nella vicenda surreale in cui il protagonista si trova invischiato quando cerca di recuperarne le ceneri, rimaste bloccate in un deposito giudiziario tra le pieghe della burocrazia di regime.
Quasi come se la perdita di Elena fosse un contrappasso per la delazione nei confronti del collega insegnante, ancora più grave per lui che era un umanista e nutriva un'ammirazione sconfinata per la letteratura, Pavel somma a questa perdita la punizione dell'incarico di distruttore di quelle memorie scritte che costituivano per lui il valore più alto e irrinunciabile.

A poco a poco anche questa piccola rete protettiva, una sorta di ambiente ovattato e caldo, come il caldo estivo dell'agosto moscovita, si dissolve nel freddo dell'inverno che sta per arrivare, portando il clangore dei panzer nazisti e spazzando via anche ogni forma di calore umano dalla vita di Pavel: la madre sembra condannata da un tumore a perdere la memoria e ogni capacità cognitiva; la famiglia di amici con cui quest'ultima vive sembra sul punto di finire stritolata dalla macchina della polizia politica; Semën viene prima espulso dal partito e licenziato dall'università e poi sparisce in quegli stessi ingranaggi.

I timori dell'archivista, sempre pronto con una lettera da spedire in caso di arresto improvviso per dare un saluto ai conoscenti, si fanno sempre più concreti. Come un cerchio che si stringe attorno a una preda braccata, poco a poco i suoi appigli a una realtà meno dura, a una possibile speranza, vengono sottratti.

Lo stile di questa narrazione riprende una serie di stereotipi legati alle immagini della vita immersa nella cortina del socialismo reale o dei totalitarismi in genere che oltre che a 1984 fanno pensare alle atmosfere di film come Le vite degli altri, ambientato nella DDR di Honecker.

Qui più che sull'aspetto del controllo da parte degli apparati burocratici sovietici l'accento però si sposta sul ruolo della letteratura e della cultura in genere nel custodire la memoria della libertà e della dignità nei loro vari significati.

Lo stile scarno, scabro e minimale, delle descrizioni restituisce al lettore l'immagine di una società e di un mondo grigi, come le ceneri dei manoscritti eliminati nei sotterranei della Lubjanka: i paesaggi urbani sono desolati e la vastità degli spazi descritti evoca insieme la solitudine del protagonista di fronte al Leviatano comunista e la possibile fine - quasi una certezza - di ogni forma di resistenza nel gelido deserto dei gulag siberiani.

La mancanza di colori, sapori e altre percezioni segna la disfatta dell'individuo che può recuperare un orizzonte di sopravvivenza solo nel ricordo. E anche quello, per l'individuo Pavel, in questa storia di un archivista, sembra destinato a perdersi nell'abisso senza volto della storia.

Giudizio:

+5stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo originale: The Archivist's Story
  • Autore: Travis Holland
  • Traduttore: Elisa Banfi
  • Editore: Guanda
  • Data di Pubblicazione: 2008
  • Collana: Narratori della Fenice
  • ISBN-13: 9788882469245
  • Pagine: 257
  • Formato - Prezzo: Brossura - 15,00 Euro

2 Commenti a “Storia di un archivista - Travis Holland”

  • 4 novembre 2011 alle ore 18:20
    Cirano says:

    molto, molto interessante mi è sfuggito.

  • 6 novembre 2011 alle ore 16:04
    polyfilo says:

    in molte recensioni l'ho trovato definito com noioso ma non sono d'accordo, si tratta di una storia ordinaria di testimonianza molto diretta ma priva di giudizi, di ogni genere!

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