19 gennaio 2010

Nodo di sangue (Anita Blake vol.1) - Laurell K. Hamilton

Benché sia una "cacciatrice di vampiri", Anita Blake riceve nel suo ufficio proprio la visita di uno di essi, latore di una singolare richiesta d'aiuto: soltanto lei, infatti, può fermare il serial killer che, da qualche tempo, circola per St. Louis e si accanisce proprio sui vampiri. Anita rifiuta seccamente, ma quella sera stessa incontra un affascinante e potentissimo vampiro, Jean Claude, che, senza mezzi termini, la ricatta: o lei accetta l'incarico oppure la sua migliore amica morirà. E così la caccia comincia.


Recensione

Avete letto benissimo.
Sono Sakura, eppure questa è la recensione di un libro di vampiri. E non è nemmeno troppo severa. Considerando la mia avversione per il genere, suppongo che si tratti di un parere abbastanza imparziale: è un libro che ha indubbiamente scarso valore artistico e innumerevoli falle; però si fa leggere. D'altronde, le americanate al cinema le guardiamo tutti, no?

Anita ha ventiquattro anni, non arriva al metro e sessanta, pesa meno di cinquanta chili, ha occhi e capelli neri, incarnato pallido. Ha un’invidiabile collezione di cicatrici, dovute alla sua movimentata vita lavorativa che la porta a risvegliare i morti, collaborare con la polizia investigando su efferati assassinii, massacrare i vampiri e altri simili sedentari incarichi. Ha una lingua piuttosto insolente, un carattere piacevole quanto una randellata sugli zebedei, un viscerale odio per i vampiri e per tutti quelli che hanno a che fare con loro. Ottima nelle arti marziali, in missione si affida tanto alla sua Browning quanto al suo ciondolo con crocefisso. Sì, è cristiana, ma la sua fede sembra non collidere con la sua vocazione a massacrare vampiri.
Dimenticavo: colleziona pinguini di peluche.
Anita, avrete capito, è una Buffy (in realtà il libro è perfettamente contemporaneo al film da cui è tratta la serie televisiva della Cacciatrice, dunque nessuna ispirazione sospetta) meno simpatica e forse addirittura più inverosimile nella sua capacità di salvarsi da stupri, assassinii, malie vampiriche, aggressioni, morsi e infezioni con invidiabili capacità atletiche, o, al contrario, semplice cu--fortuna.

La Hamilton ha creato la perfetta protagonista da videogioco o serie tv americana ‘d’azione’. Forse, facendomi un esame di coscienza, il fatto che preferisca la Mary Sue bella, atletica e invincibile alla Mary Sue emo (a chi mi starò mai riferendo…?) può risalire alla mia adolescenziale preferenza di Buffy e telefilm analoghi al vergognoso Dawson’s Creek.
Nello specifico, in questa sua prima avventura, Anita si ritrova suo malgrado a dover investigare sull’uccisione di svariati vampiri, ricattata da una Master molto antica e potente che tiene sotto minaccia anche la sua amica Catherine. Tra vudù e flirt con succhiasangue e junkies, strip club di vampiri e freaky parties in cui poter intrattenere rapporti sessuali con loro, Anita segue la pista che la conduce tra creature d'ogni tipo, con la collaborazione di giornalisti, serial killer, poliziotti e perfino altri vampiri.

Il mondo della Hamilton, che si delineerà nel corso della saga, è una società americana moderna in cui l’esistenza dei vampiri è socialmente riconosciuta, anche se discussa. C’è chi li appoggia, chi li sfrutta o si lascia sfruttare da loro, o chi semplicemente li accetta; c’è chi li detesta, dando vita ad associazioni religiose fanatiche che progettano la loro eliminazione; c’è addirittura chi parla di ottenere per loro il diritto di voto. Questo panorama è complicato dalla presenza di risvegliati (Anita stessa è una risvegliante, ossia si occupa di resuscitare i morti per un breve periodo), zombies, ratti mannari, licantropi, insomma, dal bestiario umanoide che uno si aspetterebbe in un buon urban fantasy.

La Hamilton scrive discretamente, e riesce a costruire una trama convincente anche se, ogni tanto, alcune soluzioni narrative volte a salvare l’eroina fanno un po’ acqua. Ciò che riscatta questo libro (e qui mi ricollego alla nota iniziale che precede la recensione) è l’autoironia: perché si può scrivere un romanzetto mediocre e leggero che sia anche avvincente, purché l’autore non si prenda troppo sul serio e, ogni tanto, strizzi un po’ l’occhio al lettore come a voler suggerirgli: ‘Sì, lo so che spesso sono un po’ trash, ma fatti una risata!’. L’autoironia è ciò che distingue una Meyer da una Hamilton, o un Lewis da un Pullman, per esempio. E’ ciò che ti fa chiudere il libro con un sorriso sulle labbra senza che ti venga voglia di scagliarlo in faccia all’autore indipendentemente dal suo valore effettivo.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Nodo di sangue
  • Titolo originale: Guilty Pleasures
  • Autore: Laurell K. Hamilton
  • Traduttore: Zabini A.
  • Editore: Tea
  • Data di Pubblicazione: 2005
  • Collana: Teadue
  • ISBN-13: 9788850206889
  • Pagine: 338
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 8,60

4 Commenti a “Nodo di sangue (Anita Blake vol.1) - Laurell K. Hamilton”

  • 20 gennaio 2010 alle ore 12:30
    Pythia says:

    Sakura, perdomani se non concordo con la tua ultima affermazione: io questo romanzo avrei voluto scagliarlo contro all'autrice *e* alla libraia che me l'ha consigliato.
    Al contrario di te, sono un'appassionata del genere e coincidenza con Buffy a parte, ho notato alre innumerevoli scopiazzature.
    Lasciando da parte Stoker e Le Fanu, come faremmo con Tolkien parlando di fantasy, la grande ispiratrice della Hamilton è la Rice: prendi il vampiro affascinante che parla francese (Lestat) o la regina dei vampiri bambina perfida (Claudia), per dirne due. Altro ispiratore forse meno noto, ma che io conosco bene, è Christopher Pike, autore di romanzi giallo-horror per ragazzi, e che ha all'attivo una trilogia sui vampiri: in questo caso è una vampira a voler sterminare la propria razza, ma a suo tempo mi erano venuti in mente altri punti in comune.
    Vogliamo anche parlare dell'assoluta prevedibilità della trama? Nessuna sorpresa, nessun colpo di scena - o se ce ne sono, per me non sono stati così stupefacenti, dato che a tre quarti di romanzo già avevo capito esattamente come si sarebbe svolto il finale. Grave pecca per un'autrice di horror, a mio parere.
    Non posso approfondire oltre, il romanzo lo lessi 6 anni fa, mettendolo subito nel dimenticatoio, e da poco l'ho venduto, con sommo piacere.
    Saluti :-)

  • 20 gennaio 2010 alle ore 12:47
    Anonimo says:

    Ma basta con questi vampiri!
    Rivestiti il Blog di corone di Aglio!

  • 20 gennaio 2010 alle ore 16:17
    sakura87 says:

    Grazie per l'intervento, Pythia, gradisco molto quando qualcuno commenta qui perché mi sembra di non scrivere per me stessa =P

    Non conosco Pike, però ho letto i primi tre libri della Rice, che, devo convenire, è stata notevolmente d'ispirazione alla Hamilton così come, credo, a tutti coloro che hanno scritto di vampiri dopo di lei. Secondo me però l'ispirazione è meno evidente perché diverso è il tono della serie: la Hamilton scrive palesemente per intrattenere con una saga senza pretese, molto autoironica (nella Rice, ironia zero: dalla lettura dei suoi libri appare evidente si sente una dea scesa in terra -anche se credo che se lo possa permettere), con una protagonista, come dicevo, da videogioco, da teen movie.
    Non ho trovato invece la trama così prevedibile (io ad esempio non avevo capito chi fosse l'assassino, ma forse dipende da me), ho letto molto di peggio in tal senso.
    Comunque il mio commento, mi spiace se è emerso il contrario, era tutt'altro che entusiastico: ho dato un 6+, e il 'più' era dovuto al fatto che il libro mi ha fatto sorridere, cosa che proprio non si può dire della Meyer.
    Infine, anche se non l'ho scritto nella recensione, gradisco il fatto che, anche se inverosimile, quantomeno in questo primo libro la protagonista non veicola messaggi negativi: è cristiana ma non bigotta; è 'razzista' verso i vampiri, ma dimostra di saper provare compassione e talvolta empatia verso di loro; non è lodata per il suo aspetto fisico, ma per la sua determinazione e forza; e, udite udite, sa vivere senza gli uomini.
    Un personaggio femminile emancipato è qualcosa che apprezzo.
    Saluti e a presto, mi fa sempre piacere dialogare =)

  • 20 gennaio 2010 alle ore 17:56
    Pythia says:

    Certo, la Rice è di tutt'altra razza: e di solito chi adora lei odia la Hamilton, e viceversa. Son due generi di scrittura e di tematica decisamente diversi, per non dire opposti, vampiri a parte. La Hamilton l'ho fatta fuori nel giro di 24 ore, per carità si fa leggere. La Rice richiede il suo tempo (ok, 48 ore, la divoro comunque).
    Mi piace la tua critica: forse quando ho letto il libro ero tutta presa dal nervoso per trovarmi un frullato vampiresco misto a un videogame, pure prevedibile (che vuoi, divoro thriller e vampiri, un po' di fiuto me lo son fatta :-P ) così magari mi son persa quel (poco) di positivo che c'è. Tant'è che ogni tanto mi capita tra le mani, in biblio, e son tentata di proseguire la lettura, ma puntualmente desisto.
    Ho trovato più divertente la Harris di True Blood: ma basta vampiri, sennò ci ritroviamo tra i piedi Van Helsing :-P
    A presto :-)

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