25 giugno 2009

Lancillotto del Lago - Jacques Boulenger

Il modello di tutti i cavalieri: Lancillotto. Figlio di un re tradito, inconsapevole della sua stirpe, lo alleva, amorevole e gelosa, la Dama del Lago. Ella si separa da lui con dolore quando il prode giovinetto parte per riunirsi alla corte di Artù ed essere ordinato cavaliere; lì dove incontrerà la bellissima Ginevra, nel cui nome combattere perfidi maghi, dragoni spaventosi, cavalieri felloni e l'amico inseparabile Galvano, assieme al quale compiere il cammino che porta al compimento del destino.
Siamo dentro il ciclo bretone di re Artù, il più sanguigno, rude, sensuale, a momenti crudele, intricatissimo di rivolgimenti e incantesimi, e forse la meno ripetuta delle sorgenti dell'immaginario romanzesco occidentale. Il francese Jacques Boulenger riscrisse in francese ciascuna delle sue cinque parti (Merlino, Storia del Santo Graal, Lancillotto, Ricerca del Santo Graal, Morte di Artù) senza trascurare nessuna delle innumerevoli fonti diverse che dal 1215 le tramandano.
Un lavoro di conservazione, unificazione e divulgazione, mantenendo però il carattere di sogno collettivo, l'impronta mistica e lo stile ingenuo e favoloso dell'epopea dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Tanto da essere riconosciuto come parte di quel rinnovamento continuo nel racconto, attraverso i secoli, che costituisce il modo proprio di perpetuarsi e preservarsi della Grande Leggenda che conserva la memoria celtica di un popolo vinto.

Recensione

Probabilmente nel 2009 rimane difficile capire il perché di un libro come questo, se non si considera la provenienza dell'autore: Boulenger è stato un giornalista, critico letterario e medievalista tra fine '800 e prima metà del '900, e ha attraversato in pieno il periodo storico di quel revival neo-romanico/medioevale, alla cui luce il gusto per il recupero del romanzo cortese nella saga cavalleresca di Lancillotto trova una collocazione comprensibile.
Una corrente, all'interno di decadentismo e art nouveau, che ricorda il filone artistico di certi dipinti dei preraffaelliti inglesi (pensiamo all'Ofelia di Millet, per esempio), spingeva alla valorizzazione del ciclo epico cortese arturiano: l'autore, inoltre, aveva una formazione filologica così solida da permettergli di effettuare un'operazione letteraria come la trasposizione delle saghe della Tavola Rotonda in un romanzo contemporaneo.

Con difficoltà si riesce a introdursi nel gusto narrativo di questo racconto intriso di un senso del meraviglioso che ai nostri occhi appare anacronistico e superato. Tutte le dame sono bellissime, i cavalieri sono valorosissimi, le vesti - dai mantelli ai tovaglioli - pregiatissimi, le armi preziosissime. Ci si muove in un mondo rarefatto e iperrealistico, dove il codice di comportamento della cavalleria assurge a metro di giudizio universale. Eppure la trasposizione moderna rivela l'origine borghese della letteratura romanza medievale, lasciando trasparire dettagli - potremmo dire - "bassi": la notte d'amore vinta da un cavaliere in battaglia viene negata con lo stratagemma di un trombone "spaventa-incapaci", che salva la virtù della poco cortese ma astuta pulzella. Ancora di una regina, vedova e privata del regno da un re malvagio e fellone, ritiratasi a clausura monastica, si dice che, per quanto vivesse in regime di penitenza, tuttavia rimaneva rotondetta, non riuscendo a dimagrire come ci si aspetterebbe a una monaca!

A parte qualche particolare, però, il racconto si svolge secondo la modalità del canto dei trovatori: i filoni dei vari personaggi si intrecciano e si accavallano, i cavalieri e le dame si innamorano e partono per mostrare il loro valore o per pene amorose, percorrono strade e boschi e affrontano pericoli, incantesimi e prove, rivelando il senso mistico e iniziatico di un codice comportamentale altrimenti inspiegabile e di certo concretamente mai applicato: chi riuscirebbe a immaginare due re che, dopo essersi sfidati in una guerra perché uno dei due aveva deciso di conquistare almeno trenta reami, poi si riconciliano e dormono sotto lo stesso padiglione? Si capisce bene da dove proviene l'ironia riservata nella letteratura post medievale - dall'Orlando Furioso di Ariosto al Don Chisciotte di Cervantes - al mondo cavalleresco.

Senza poter dire il proprio nome e all'oscuro delle sue origini, Galaad-Lancillotto sembra una marionetta: rimane imbambolato alla vista di Ginevra; si fa ingannare dai borghesi di un castello che vogliono essere liberati da un incantesimo; sbaraglia orde di nemici sostenuto dall'amore per Ginevra, dal desiderio di guadagnare gloria (mai ricchezze o agi, chiaramente) ai suoi occhi, e anche dalle armature stregate della madre adottiva, Viviana del Lago; fa innamorare di sé ogni castellana che incontra. Il suo percorso è un preambolo necessario alla queste du Graal e si colloca in un filone narrativo con leggi e schemi rigidi e, per il lettore moderno, poco credibili.

Incamminatevi pure al suo fianco nelle peregrinazioni e negli amori, ma solo con un po' di indulgenza per le ingenuità della narrazione e consapevoli di rivisitare le radici di un genere letterario che fa parte delle nostre radici culturali.
Se poi avete una passione per le storie arturiane, ancora meglio!

Dettagli del libro

  • Titolo: Lancillotto del Lago
  • Titolo originale: Les enfances de Lancelot e Les Amours de Lancelot
  • Autore: Jacques Boulenger
  • Traduttore: Paola Fornasari
  • Editore: Sellerio Editore
  • Data di Pubblicazione: 2008
  • Collana: La Memoria
  • ISBN-13: 9788838923081
  • Pagine: 181
  • Formato - Prezzo: Brossura - 11,00 Euro

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