4 aprile 2018

L'ultima estate - Cesarina Vighy

Da dove arriva la voce di Zeta? Apparentemente dal luogo più inabitabile e muto: la malattia, in quel punto estremo che toglie possibilità, respiro, futuro. Ma è solo apparenza: questa voce proviene dal nucleo più irriducibile e infuocato della vita. Che non tace, non cessa di guardare e amare. E anzi, comincia qualcosa: a scrivere. E i ricordi sono uno squarcio lacerante nella memoria di una vita tenacemente irregolare: la nascita fuori dal matrimonio della “bambina più amata del mondo”, l’infanzia sotto le bombe, Venezia splendida e meschina, il primo disastro sentimentale e poi Roma becera e vitale, l’esperienza della psicanalisi, l’avventura del femminismo, il cammino della malattia. E sempre la coriacea e gentile difesa della propria individualità, l’irrisione delle tribù e delle cliniche cui ha rifiutato di appartenere. Così la storia della sua vita scorre laterale, vissuta intensamente ma mai accettata, come non fosse mai meritevole di piena identificazione. Mai, lungo queste pagine, si può dimenticare che l’autrice è malata, gravemente. Però basta uno spiraglio della finestra in cucina a far entrare un platano o un merlo. C’è una Gatta fedele, indulgente, comprensiva. C’è una esistenza verso cui – Zeta non lo direbbe mai e certamente si rifiuta perfino di pensarlo – si può nutrire un orgoglio felice. Non degenera: può sfidare il peso dei rimorsi del passato e l’orrore dei sintomi di oggi, ironicamente e fieramente: «Dicono che si nasca incendiari e si muoia pompieri. A me è successo il contrario: brucerei tutto, adesso». Lo fa in questo libro singolare: piccolo auto da fé e magnifico inno alla vita che era ed è.

Recensione

L’ultima estate di Cesarina Vighy ha un inizio in salita, che ricorda le atmosfere soffocanti e sarcastiche di un piccolo capolavoro cinematografico di ambientazione romana, ‘Pranzo di ferragosto’: il caldo afoso e insopportabile e la solitudine esistenziale di una città assediata dal sole, nella quale anche le iniziative per chi è condannato a restare aggravano il senso di isolamento e di abbandono percepito, sono il paesaggio nel quale l’autrice mette in scena una rappresentazione autobiografica, l’unica e l’ultima, che trova profondità umana nella dignità ironica del distacco dalle proprie vicissitudini e tratta l’impotenza di fronte alla malattia come quella di fronte all’afa.

Calura, malattia e isolamento sono la triade sotto i cui sacri auspici inizia un viaggio che parte dall’infanzia – anche da prima, dalle radici più lontane – e man mano assume la forma di un lieve bilancio esistenziale, a cui il morbo degenerativo mai nominato esplicitamente conferisce insieme urgenza e leggerezza. Chissà, forse se l’autrice, che insiste nel sottolineare il carattere ‘amatoriale’ del suo lavoro, non si fosse ammalata, non avrebbe sentito l’esigenza e avuto la consapevolezza per compiere quest’operazione che si rimanda sempre a un ineluttabile quanto lontano futuro, con il disincanto che rende ‘l’ultima estate’ lettura piacevole e commovente di un testamento privo di formalismi e solennità, profondamente umano e personale, autoironico e non giustificatorio.

Alle riflessioni dell’opera prima e ultima si aggiungono gli scambi epistolari via mail con la figlia e gli amici, che hanno fornito tanti spunti alla narrazione di sé, le poesie, i primi capitoli di un altro racconto iniziato e lasciato interrotti, tutti satelliti del pianeta Vighy, che danno conto di una rielaborazione sorvegliata e naturale. Nella conversazione pacata ma non rassegnata che l’autrice inizia con un interlocutore immediatamente accettato nel suo mondo trovano posto il racconto delle radici, famigliari e culturali insieme, le divagazioni giovanili, la tenerezza dei ricordi e degli affetti più intensi e difficili, con la famiglia più stretta, il marito, presenza laterale, la figlia ritrovata, la propaggine tesa nel futuro, il nipote, gli amici e la compagnia dei gatti.

L’occasione che si offre è di ripercorrere attraverso aneddoti che saltano di palo in frasca, seguendo il filo dei ricordi, la vita intensamente interiore di una donna colta e schiva, che di fronte alla consapevolezza dell’estremo margine trova la disinvoltura necessaria a trasformare se stessa in racconto e lo fa senza autoindulgenze, con la sobria leggiadria di chi non cerca altra conferma che in se stesso, con l’autoironia di chi sa di non avere altre possibilità.

Brevi capitoli di un racconto che rinchiudono una vita tutto sommato normale, forse anche banale, e allora perché raccontarli? E, a maggior ragione, perché leggerli? Perché l’acume sottile di una mente sensibile, come gli ultimi bagliori più vividi di una candela che sta per spegnersi, illuminano di luce propria tutte le sfaccettature dell’universo irripetibile di un’anima – se anche non si credesse nello Spirito – capace di entrare a occhi aperti nel buio della morte.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: L'ultima estate
  • Autore: Cesarina Vighy
  • Editore: Fazi
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: Le Strade
  • ISBN-13: 9788864110127
  • Pagine: 190
  • Formato - Prezzo: eBook - euro 4,99

1 Commenti:

  • 4 aprile 2018 alle ore 13:58
    Gaia Lps says:

    Ciao :) Questo romanzo sembra veramente bellissima, di sicuro lo inserirò in wishlist!

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