23 agosto 2016

Mi chiamo Lucy Barton - Elizabeth Strout

Da tre settimane costretta in ospedale per le complicazioni post-operatorie di una banale appendicite, proprio quando il senso di solitudine e isolamento si fanno insostenibili, una donna vede comparire al suo capezzale il viso tanto noto quanto inaspettato della madre, che non incontra da anni. Per arrivare da lei è partita dalla minuscola cittadina rurale di Amgash, nell'Illinois, e con il primo aereo della sua vita ha attraversato le mille miglia che la separano da New York. Alla donna basta sentire quel vezzeggiativo antico, "ciao, Bestiolina", perché ogni tensione le si sciolga in petto. Non vuole altro che continuare ad ascoltare quella voce, timida ma inderogabile, e chiede alla madre di raccontare, una storia, qualunque storia. E lei, impettita sulla sedia rigida, senza mai dormire né allontanarsi, per cinque giorni racconta: della spocchiosa Kathie Nicely e della sfortunata cugina Harriet, della bella Mississippi Mary, povera come un sorcio in sagrestia. Un flusso di parole che placa e incanta, come una fiaba per bambini, come un pettegolezzo fra amiche. La donna è adulta ormai, ha un marito e due figlie sue. Ma fra quelle lenzuola, accudita da un medico dolente e gentile, accarezzata dalla voce della madre, può tornare a osservare il suo passato dalla prospettiva protetta di un letto d'ospedale. Lì la parola rassicura perché avvolge e nasconde. Ma è nel silenzio, nel fiume gelido del non detto, che scorre l'altra storia.

Recensione

Chi ha letto i romanzi di Elizabeth Strout sa quanto la famiglia sia centrale nelle sue opere. In Amy e Isabelle le due protagoniste, madre e figlia, sono legate da un rapporto di reciproca incomunicabilità che finisce per trasformarsi in aperta ostilità; in Resta con me il reverendo Caskey, prostrato dal lutto per la perdita della moglie, non riesce a occuparsi delle due figlie; in Olive Kitteridge il mosaico di storie e personaggi che si compone attorno alla figura dell’energica Olive rivela un campionario di problematiche familiari; I ragazzi Burgess, infine, è incentrato sui rapporti reciproci tra i fratelli Jim, Bob e Susan, ormai adulti.

Mi chiamo Lucy Barton, pubblicato da Einaudi (e non da Fazi Editore, storica casa editrice italiana di Elizabeth Strout), non fa differenza: con frequenti incursioni in momenti precedenti e successivi della sua vita, una scrittrice in là con gli anni torna su un episodio cardine: quando, costretta a una lunga degenza in ospedale dai postumi di un'appendicectomia, lontana dal marito e dalle figlie, si vede comparire al capezzale, senza alcun preavviso, la madre che non vede da anni.
Le due donne si rifugiano in pettegolezzi di poco conto, che nella loro trivialità consentono di scansare le zone d'ombra legate al loro vissuto familiare: l'infanzia di estrema deprivazione, economica e affettiva, a cui il padre, incline al bere e alla violenza, spalleggiato da una moglie avara di affetti che non ha mai saputo o voluto proteggere i figli, ha costretto la famiglia. Ma a Lucy basta sentire quel nomignolo con cui talvolta la madre la chiamava, "Bestiolina", per lasciarsi andare alla gioia di riaverla con sé, a millecinquecento miglia di distanza dall'Illinois, dov'è cresciuta nell'ignoranza, nella sporcizia e nell'esclusione sociale. Parlano di Kathy, che è scappata con un insegnante che l'ha poi abbandonata dopo essersi scoperto gay, parlano della cugina Harriet e del suo matrimonio sfortunato, parlano di Marilyn e di Mississippi Mary. Ma non parlano della "Cosa" - gli attacchi di cui era talvolta preda il padre, reduce di guerra. Non parlano degli scatti di violenza fisica, improvvisa e immotivata, da cui i tre fratelli dovevano guardarsi, anche dalla madre. Non parlano delle volte in cui il padre chiudeva Lucy nel furgone, al buio, o di quando aveva fatto sfilare il figlio in abiti femminili per le vie del paese, per punirlo della sua infantile effeminatezza. Cullata dalla voce della madre - nonostante tutto amata - nell'antro protetto del suo letto d'ospedale, Lucy può riannodare lei i fili della memoria, seppure senza mai perdere il freno e pronta a fermarsi con ritrosia sul crinale del non detto ogni qualvolta si facciano troppo dolorosi o traumatici.

Un breve romanzo squisito e di grande potenza narrativa che, nella migliore tradizione dell'autrice, rivela i grigi nascosti tra il bianco e il nero delle relazioni umane. Con il suo raffinato talento nel nascondere l'essenziale della storia tra le pieghe del non scritto, Elizabeth Strout si riconferma una delle più grandi scrittrici viventi.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Mi chiamo Lucy Barton
  • Titolo originale: My Name Is Lucy Barton
  • Autore: Elizabeth Strout
  • Traduttore: S. Basso
  • Editore: Einaudi
  • Data di Pubblicazione: 2016
  • Collana: Supercoralli
  • ISBN-13: 9788806229689
  • Pagine: 158
  • Formato - Prezzo: Rilegato, sovraccoperta - 17.50 Euro

2 Commenti a “Mi chiamo Lucy Barton - Elizabeth Strout”

  • 23 agosto 2016 alle ore 23:48

    Concordo assolutamente con te. Ho molto apprezzato la recensione.
    un saluto da Lea

  • 26 agosto 2016 alle ore 14:23
    Solsido says:

    Ho amato Amy e Isabelle in maniera viscerale e ora ho intenzione di leggere gli altri libri di questa straordinaria autrice.Bella recensione

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