25 giugno 2016

Le anime bianche - Frances Hodgson Burnett

Ysobel è una ragazzina timida e minuta che non ha mai conosciuto i genitori e vive, assieme ai tutori Jean Braidfute e Angus Macayre, in un castello dall’aspetto austero immerso nella desolata brughiera scozzese. Fin dall’infanzia, la bambina mostra di essere dotata di un particolare “dono” che la rende diversa da tutti gli altri bambini; ella ha il “potere di vedere oltre le cose” e di entrare in contatto con le anime dei defunti, ormai libere dalle sofferenze e dalle paure dell’esistenza. “Le anime bianche” (“The White People” nella versione originale) è un romanzo breve in cui la celebre autrice dei ben più conosciuti “Il piccolo Lord” (1886) e “Il giardino segreto” (1911) presenta, attraverso gli occhi della propria protagonista, le sue personali considerazioni circa ciò che attende l’uomo dopo la morte. Si tratta di un racconto carico di motivi gotici, di verità e saggezza, in cui emergono non soltanto il talento narrativo dell’autrice ma anche alcuni dettagli che rimandano al personale rapporto con il suo primogenito e con la religione.

Recensione

Racconto lungo più che romanzo vero e proprio, Le anime bianche, dell’autrice angloamericana nota soprattutto per romanzi per ragazzi, è un esempio della produzione che, negli anni di passaggio tra ‘800 e ‘900, si è legata ai temi dello spiritualismo e della teosofia. La pregevole traduzione ha il merito di far conoscere un testo della scrittrice che era finora inedito in Italia e rivela un lato della personalità di Frances Hodgson Burnett strettamente legato alla sua biografia, spiegando perché i temi dell’infanzia travagliata le siano stati così a cuore. La creatrice di Il piccolo Lord e di Il giardino segreto ha reso dei ragazzi sfortunati e cresciuti in condizioni disagiate protagonisti dei suoi due romanzi più famosi e uno dei suoi marchi di fabbrica: oltre ai piccoli protagonisti di Il giardino segreto, tra cui un ragazzo paralitico orfano di madre e abbandonato a se stesso, e il fortunatissimo piccolo Lord Fauntleroy, ricordiamo anche la sfortunatissima Sarah di La piccola principessa – da cui, per gli amanti degli anime anni ’80, è tratta la storia strappalacrime di Lovely Sarah.

Non è che fosse una novità l’uso letterario dei bambini scalognati, soprattutto nell’Inghilterra vittoriana di Oliver Twist e Bob Scratchit, ma anche in altre letterature, e del resto l’uso che Hodgson Burnett fa di questa figura dipende anche dal fatto che nelle pubblicazioni a puntate o in appendice – la scrittrice è giornalista di professione e con i proventi delle pubblicazioni su periodici come Harper’s Bazaar mantiene la sua famiglia, dopo la morte di entrambi i genitori – il tema in questione risultava molto spendibile. E però la scelta dell’infanzia ‘sfigata’ non è, allo stesso tempo, priva di legami anche con le questioni sociali, per le quali la scrittrice aveva avuto un notevole interesse, se osserviamo che uno dei suoi romanzi all’epoca più noti, That Lass o’ Lowrie’s del 1877, descriveva la vita delle donne lavoratrici nel Lancashire.

Il passaggio dalle figure dei piccoli eroi come la principessa Sarah o Mary, Colin e Dickon di Il giardino segreto a Ysobel, la bambina che racconta la storia delle anime bianche in prima persona, è legato in profondità alla vita privata e famigliare dell’autrice. Infelicemente sposata per ben due volte e sottoposta a considerevoli pressioni per il lavoro di scrittura su varie pubblicazioni, dalle quali dipendeva il ménage famigliare, Burnett versava spesso in condizioni di fragilità nervosa. Un ulteriore colpo alla sua stabilità arrivò dalla morte del figlio Lionel, nel 1890, ad appena sedici anni, pressappoco l’età di Ysobel. Infatti, come spiega, con dovizia di particolari, la traduttrice sia nell’introduzione sia nella postfazione, fu proprio il lutto improvviso che spinse Hodgson Burnett a cercare un orizzonte spirituale che desse un senso al suo dolore di madre e creasse un simulacro di rapporto con il figlio perduto.

Ysobel è da un lato la personificazione della bambina perfetta, bellissima, dolcissima, obbedientissima, sensibilissima; dall’altro una proiezione del più grande desiderio della scrittrice, cioè creare un mondo, idilliaco e subliminale, in cui il rapporto con il figlio Lionel potesse avere ancora un futuro. Da questo desiderio sublimato e dalla sua fantasia romantica nasce Muircarrie, il castello perso nelle desolate brughiere scozzesi fiorite di erica e muschi, eternamente coperte di nebbie, nel quale Ysobel con la sua purezza ingenua e luminosa diventa un faro per le ‘anime bianche’, un punto di congiunzione tra il mondo terreno e la sua prosecuzione spirituale.

Attraverso un breve diario Ysobel racconta coi toni enfatici e sempre sopra le righe di una bambina la storia di come lei stessa sia giunta alla consapevolezza di sé e del suo ruolo di tramite tra le due dimensioni – per intenderci è una visione per certi versi simile a quella del film Il sesto senso –, quella terrena e quella ultraterrena, per una sorta di predestinazione. Il filo che unisce i destini delle anime bianche e di Ysobel viene dal passato della storia ereditata dalla famiglia, come il legame con un’altra bambina, vittima anche lei di una morte precoce e crudele, la piccola Wee Brown Elspeth, e dal presente di una vita solitaria e appartata, in un luogo che sembra quasi una specie di prigione e che lei accetta comunque di buon grado, con un fatalismo altrimenti inspiegabile.

Su tutta la narrazione, fin dall’inizio, grava un senso di suspense che per il lettore risulta esagerato: quasi da subito – il titolo del resto è fin troppo esplicito già da solo – si capisce benissimo cosa siano le ‘anime bianche’. Tuttavia per proteggere la piccola Ysobel nessuno osa rivelarle l’oggetto e il significato delle sue visioni. L’ansia di proteggere un bambino per una madre frustrata è più che comprensibile, tanto più se sull’adorabile fanciulla si opera un transfert così personale e autobiografico, come suggerisce l’autodescrizione della narratrice nei termini di una bambina bruttina e insignificante. Lo splendore a cui Ysobel accede per contrasto nella parte finale del racconto è il risultato della trasfigurazione operata dalla consapevolezza di sé e dal compiersi del suo destino, quello appunto di incarnare la soglia e dare continuità a due mondi separati dall’ineluttabilità della morte e dagli abissi del dolore.

È a questo punto, verso il quale si arriva con una calma e una serenità difficilmente accettabili visto il tema di cui si parla, che tende tutta la narrazione: l’incontro voluto dal destino con lo scrittore idealizzato Hector MacNairne e con sua madre, che rappresentano, per il loro fortissimo rapporto madre-figlio, la scrittrice e il piccolo Lionel, cioè quel rapporto che era stato negato dalla realtà. In questa simbiosi quasi edipica Ysobel si inserisce come una cerniera, creando la possibilità di rendere eterno un legame, quello tra madre e figlio, che, ancora una volta, la realtà impedisce di mantenere. Questa volta però, almeno nella finzione letteraria, con il lieto fine consolatorio della fiducia in una vita spirituale che dà un senso alla perdita.

Peccato per la copertina che evoca un harmony: anche se enfatico e a tratti melenso nell’idealizzazione dei personaggi e delle ambientazioni, nel contesto biografico di Frances Hodgson Burnett e del particolare momento storico da cui proviene, Le anime bianche rispecchia in modo sincero un aspetto della cultura e del sentire dell’epoca sospeso, come le anime del titolo, tra passato e futuro.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Le anime bianche
  • Titolo originale: The white people
  • Autore: Frances Hodgson Burnett
  • Traduttore: Annarita Tranfici
  • Editore: Panesi Edizioni
  • Data di Pubblicazione: 2015
  • Collana: -
  • ISBN-13: isbn13
  • Pagine: 64
  • Formato - Prezzo: ebook - Euro 1,99

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