1 giugno 2016

La vetrina degli incipit - Maggio 2016

L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine? Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...





«Avrei incontrato la Maga? Tante volte mi era bastato affacciarmi, arrivando da rue de Seine, all’arco che dà sul quai de Conti, e appena la luce di cenere e di olivo sospesa sul fiume mi lasciava distinguere le forme, subito la sua figurina sottile si disegnava sul Pont des Arts, qualche volta muovendosi da una parte all’altra, qualche altra ferma contro la ringhiera di ferro, china sull’acqua. Ed era così naturale attraversare la strada, salire i gradini del ponte, penetrare nella sua sottile vita ed avvicinarmi alla Maga, che sorrideva senza sorpresa, convinta quanto me che incontrarsi per caso non era un caso nelle nostre vite, e che la gente che si dà appuntamenti precisi è la medesima che ha bisogno del foglio a righe per scriversi o che preme dal basso il tubetto del dentifricio.»
Rayuela, di Julio Cortázar - Sakura

«Fratelli umani, lasciate che vi racconti com’è andata.
Non sia­mo tuoi fratelli, ribatterete voi, e non vogliamo saperlo. Ed è ben vero che si tratta di una storia cupa, ma anche edificante, un ve­ro racconto morale, ve l’assicuro. Rischia di essere un po’ lungo, in fondo sono successe tante cose, ma se per caso non andate trop­po di fretta, con un po’ di fortuna troverete il tempo. E poi vi ri­guarda: vedrete che vi riguarda. Non dovete credere che cerchi di convincervi di qualcosa; in fondo, come la pensate è affar vostro. Se mi sono deciso a scrivere, dopo tutti questi anni, è per mette­re in chiaro le cose per me stesso, non per voi. A lungo uno stri­scia su questa terra come un bruco, nell’ attesa della diafana e splen­dida farfalla che porta in sé. E poi il tempo passa, la ninfosi non arriva, rimani larva, desolante constatazione, ma che farci? Cer­to, il suicidio resta un’ opzione. Ma per la verità, il suicidio mi ten­ta poco. Ci ho pensato molto, ovviamente; e se dovessi ricorrervi, ecco come farei: mi piazzerei una bomba a mano proprio sul cuo­re e me ne andrei in un violento scoppio di gioia. Una piccola bom­ba a mano rotonda a cui toglierei con delicatezza la sicura prima di rilasciare la linguetta, sorridendo al lieve rumore metallico del­la molla, l’ultimo che sentirei, oltre ai battiti del mio cuore nelle orecchie. E poi, finalmente, la felicità, o perlomeno la pace, e le pareti dello studio addobbate di brandelli di carne. Toccherà alle domestiche pulire, sono pagate per questo, affari loro. Ma come ho detto, il suicidio non mi tenta. Non so perché, del resto, un vecchio residuo di morale filosofica, forse, che mi fa dire che in fondo non siamo qui per divertirci. Per far che, allora? Non ne ho idea, per durare, probabilmente, per ammazzare il tempo prima che lui ammazzi noi. E in tal caso, come occupazione, a tempo per­so, scrivere vale come qualsiasi altra
»
Le benevole, di Jonathan Littell - Valetta

« La testa umana ha, grossomodo, le dimensioni di un pollo arrosto. Fino a oggi non me n’ero accorta, anche perché fino ad oggi non ne avevo mai vista una dentro un tegame. Ma qui ce ne sono quaranta, sistemate a faccia in su dentro quelle che sembrano ciotole per cani. Servono ai chirurghi plastici perché s’impratichiscano; due chirurghi per testa. Sto per assistere a un corso di Anatomia facciale sul ringiovanimento dei tratti, patrocinato da una clinica universitaria del Sud e tenuto dai cinque o sei migliori chirurghi facciali d’America. »
Stecchiti.Le vite curiose dei cadaveri, di Mary Roach - Antonio

«Se muore il più puro
La gioia si invalida
Il petto è come svuotato,
E l'occhio conosce bene l'oscuro.

Basta qualche secondo
Per cancellare un mondo.
»
Configurazioni dell'ultima riva, di Michel Houellebecq - Tancredi

«Se tutte le persone intelligenti fossero anche buone, il mondo sarebbe un posto migliore.” L’uomo in grigio aspetta che la frase cada nel silenzio sfrigolando come una pastiglia effervescente dentro ad un bicchiere d’acqua. Piccoli cenni di assenso, teste che dondolano. Come parla bene. Studia le prime file: qualcuno ha già capito, annoda la fronte.”Siamo qui per celebrare una donna intelligente, intelligentissima. Una donna che ha scoperto molto presto il suo talento per la scrittura e l’ha piegato ad una causa nobile: la letteratura per l’infanzia. E grazie alle sue doti e all’infaticabile impegno ha trasformato Cenerentola nella principessa che merita di essere, la Bella Addormentata nella regina. Una donna intelligente, dicevo, Buona” – un respiro – “ proprio no”.Dai banchi si alza uno scricchiolio di stoffe troppo pesanti per la giornata, calda e luminosa in modo scostante, fuori luogo. Minimi gesti d’assestamento alla sorpresa. Ma ancora la confusione, e la compostezza, prevale. L’uomo in grigio aspetta che torni il silenzio. Anche chi si è messo apposta in fondo, per uscire a fumare, telefonare o dileguarsi appena possibile ha alzato la testa e lo fissa.»
I nomi che diamo alle cose, di Beatrice Masini - Cattivissimaprof

«La casa si trova all'estremità della punta, in un rado bosco di pini, su un'isola. Vicino al cimitero, lontano da un piccolo villaggio di pescatori. Qui, a breve distanza dal mare, sfavillante d'estate, cupo e grigio d'inverno, vivono loro due da anni, una troppo lunga serie di anni. Avrebbero anche potuto dimenticare tutto quel che era stato, perché era accaduto tanto tempo prima, ma non avevano dimenticato, condannati al ricordo.
Lui ha: la rete, la barca, i pesci, i discorsi, il dolore, la rabbia, il vagare per l'isola. Lei ha: la cucina, le pulizie, i fiori, le galline, il pianoforte di cui sogna, la sopportazione e i ricordi melanconici.
Lui odia i propri pesci e dice: domani a pranzo mangeremo una gallina. Lei è più ragionevole, dice: meglio il pesce.
Lui va in barca, lontano dall'isola in mare aperto, si sente solo e libero, o nel bosco, nell'oscurità, nella notte, ama il vento e le onde, le intemperie e fa discorsi mai pronunciati, getta al vento qualche parola, qualche grido, qualche frase tronca, ed è più sensibile di quanto non esprima. Lei stasera ha un'acconciatura alla spagnola e gli orecchini ad anello, trent'anni prima con quell'acconciatura e quegli orecchini aveva suonato la mazurka di Chopin a una festa di beneficenza, il direttore era entusiasta, le aveva accarezzato la guancia; era una mazurka che suonava spesso in occasione di tutte le feste nazionali, al cospetto di tutte le persone importanti della città.
»
L'isola, di Mesa Selimovic - Polyfilo

«La sveglia fece sobbalzare sul letto Oliver. Si vestì e scese in cucina per la colazione.
«Pronto per il tuo primo giorno di scuola media?»
«Papà, quest’anno vado in terza!»
«Davvero?» si fermò a contare sulle dita della mano.
«Sei sicuro?»
«Sì, papà. Vuoi la lista? La prima a Dallas, in Texas; la seconda a Tampa, in Florida; la terza a Toronto, in Canada; la quarta a Denver, in Colorado; la quinta a Monterey, in Messico; poi Great Falls, in Montana; Salt Lake City, nell’Utah. Ora siamo a…»
«Jackson, ridente cittadina turistica ai margini del Parco Naziona- le di Yellowstone, Wyoming» precisò suo padre. «Il mio lavoro ti ha costretto a girare un bel po’, Oliver, soprattutto da quando la mam- ma ci ha lasciato…»
«Non ricominciare papà, non soffro di sindrome da divorzio, e ormai lo sai che mi adatto ai luoghi sconosciuti e ai nuovi amici sen- za spaventarmi.»
«A volte mi chiedo se hai veramente tredici anni»
«Io invece mi chiedo perché hai scelto un lavoro che ti porta così tanto in giro, dalle zone semi-desertiche del Texas ai grandi parchi e laghi del Wyoming!»
«Ne abbiamo già parlato, mi piace studiare usi e comportamenti degli animali e non c’è niente di meglio di Yellowstone per osservare i Grizzly»
«Già, infatti hai tenuto sott’occhio gli Alligatori in Florida; i Puma in Canada; il Bighorn sulle Montagne Rocciose; il Giaguaro in Texas; l’Alce nel Montana; il Coyote nell’Utah e il Serpente Corallo in Messico!» elencò Oliver.
«Esatto. Sai pure che in ognuno di questi posti ho girato dei bel- lissimi documentari.»
Oliver Lifeless, di Alessandro Fieschi - Chiara A.

«Tu cambi tutto ciò che tocchi.
Tutto ciò che cambi ti cambia.
L'unica verità duratura è il cambiamento.
Dio è il cambiamento.

Il seme della terra: I libri dei vivi

Sabato 20 luglio 2024

Stanotte ho fatto il mio sogno ricorrente. Dovevo aspettarmelo, immagino: mi viene quando lotto, quando mi dimeno appesa al mio amo personale e fingo che non stia succedendo niente. Mi viene quando cerco di essere la figlia di mio padre.
Oggi è il mio compleanno: io compio quindici anni e mio padre cinquantacinque. Cercherò di compiacerlo - lui, la comunità e Dio. Così il sogno mi ha ricordato che è tutta una menzogna. Ho bisogno di scrivere del sogno perché questa particolare bugia mi turba profondamente..
»
La Parabola del Seminatore, di Octavia E.Butler - Daniele

« Epilogo

“Vedo,” le disse, “cara Sheherazade, che i tuoi racconti sono senza limiti, e ormai da molto tempo mi diletti con essi: sei riuscita a placare la mia ira e rinuncio volentieri, per amor tuo, alla legge crudele che mi ero imposto. Tu sei la salvatrice di tutte le fanciulle che avrebbero dovuto essere sacrificate al mio giusto risentimento.”

Il re ansimava, come se l’aria viziata della stanza gli mozzasse il respiro. I tendaggi erano tirati e oscuravano la notte rendendola opprimente. Le schiave spargevano petali di rosa nei bacili d’acqua tiepida, e i bracieri ardevano da giorni, ma il profumo non copriva l’odore medicinale degli incensieri, delle pozioni, quello chimico delle spugnature; al di sotto, come una maledizione, stagnava l’altro odore, quello fetido e insopportabile, la malattia. Il re ansimava, ma non era l’aria viziata a mozzargli il respiro. Non permise alla schiava di accostarle la coppa alle labbra, e furono le sue mani a prendere l’acqua, a sostenere con fermezza il capo della moribonda. Shahriyàr tenne inclinato l’orlo, rivestito di finissima filigrana d’oro puro, finché la principessa non stornò il capo, le palpebre pallide sul volto esangue. “Mi sembra tu stia già meglio.” Disse il re.
»
Il quarto fato, di laura MacLem - Il Gatto Zorba

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