17 novembre 2015

Trilogia della città di K. - Agota Kristof

Quando "Il grande quaderno" apparve in Francia a metà degli anni Ottanta, fu una sorpresa. La sconosciuta autrice ungherese rivela un temperamento raro in Occidente: duro, capace di guardare alle tragedie con quieta disperazione. In un Paese occupato dalle armate straniere, due gemelli, Lucas e Klaus, scelgono due destini diversi: Lucas resta in patria, Klaus fugge nel mondo cosiddetto libero. E quando si ritroveranno, dovranno affrontare un Paese di macerie morali. Storia di formazione, la "Trilogia della città di K" ritrae un'epoca che sembra produrre soltanto la deformazione del mondo e degli uomini, e ci costringe a interrogarci su responsabilità storiche ancora oscure.

Recensione di Sakura

Lo stile elementare, inizialmente, apparenta questo romanzo alle favolette che si raccontano ai bambini perché non facciano i capricci a tavola e considerino quanto affamati e sfortunati siano i loro coetanei che abitano in paesi di guerra – seguendo questo ragionamento, la madre che le racconta non dovrebbe azzardarsi a comprare neanche un paio di scarpe, visto che nei paesi del terzo mondo le donne non hanno di che vestirsi, ma questa è un’altra storia.

E forse di una favoletta si tratta, posto che accadono vicende forse non magiche, ma sicuramente fuori dall’ordinario: ne Il grande quaderno, infatti, due gemellini vengono condotti dalla madre a casa della Vecchia Strega –la crudele nonna materna-, per allontanarli dalla Grande Città su cui incombe la seconda guerra mondiale. La Strega li nutre –ben poco, in verità-, e dà loro un tetto sopra la testa, ma li batte, li umilia, li sfrutta, e cerca di soffocare la loro straordinaria intelligenza che va oltre il comprensibile. Totalmente intercambiabili, privi di una personalità indipendente da quella dell’altro, i gemelli coltivano abitudini inquietanti per la loro età e la loro condizione, come esercizi di resistenza al dolore o di crudeltà, e continuano a studiare di nascosto. Crescono laconici, indifferenti, capaci di uccidere con una purezza e una semplicità disarmanti, così come di assistere impassibili all’esplosione della Madre. Piegano l’ambiente in cui vivono per ricavarne le migliori condizioni di vita possibili, sfruttano le persone con cui interagiscono: la Strega, l’Attendente, l’Ufficiale, la Fantesca, il Curato, Labbro Leporino e la Vicina, tutti senza nome e senza volto, esseri di carne e di vizi, maliziosi o ingenui, ricchi di bontà o di cattiveria, e anche loro intercambiabili tra di loro nell’esercizio di dissolutezze o atti di dolcezza.
La parte della trilogia che ho preferito, senza dubbio. Ma questa è solo una favola, anche se crudele, no?

Già ne La prova i personaggi si concretizzano, assumono nomi e identità: la prosa si fa meno incisiva e più descrittiva, i periodi si allungano. Claus e Lucas, questi i nomi dei due bambini, ormai quindicenni, si dividono. Ma ci saranno sul serio due bambini? La Madre e il Padre hanno davvero fatto la fine descritta dai quaderni? Chi erano, in realtà, tutti i personaggi allegorici incontrati dai gemellini durante la loro infanzia e da Lucas durante la sua adolescenza e maturità?

La terza menzogna stravolge ogni aspettativa. Perché niente è mai come sembra, e quando tutto è contraddittorio, tutto potrebbe essere falso. E la vita, d’altronde, è spesso più intricata di un romanzo.

Tagliente e agghiacciante, la Trilogia della città di K. offre uno spaccato dell’Ungheria della seconda guerra mondiale, a metà tra favola e romanzo. Una storia tutta da scoprire, a volte vicina come stile e temi a Cormac McCarthy, sia pure con ambientazione europea. Doloroso da leggere, velenoso, ma sicuramente formativo.

Giudizio:

+5stelle+

Recensione di Valetta

Composto da tre racconti pubblicati separatamente tra il 1986 e il 1991, questo famosissimo libro mi ha tanto colpita quanto lasciata perplessa.
Il primo racconto è decisamente brillante, metà favola nera - come giustamente viene definita in quarta di copertina - metà banalità del male. Due ragazzini, gemelli, per sfuggire ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, vanno a vivere in una capanna ai margini del bosco con la Nonna che è per tutti la Vecchia Strega e che fa di tutto per assomigliarle. La narrazione in prima persona plurale, quasi i due fratelli condividessero corpo, anima e cervello, lo stile asciutto, crudo, fatto di frasi brevi ed essenziali: tutto concorre a definire una realtà fredda e brutale, un microcosmo inquietante in cui si concentrano quelle nefandezze del genere umano che solo la povertà e la guerra riescono a coltivare con tanta efficacia, esaltate dalla spasmodica ricerca di una forma di anestetico che annulli il dolore da parte dei geniali (o diabolici?) gemelli.
Si fosse fermata sarebbe stato un racconto perfetto. Ma Agota Kristof non aveva ancora esaurito ciò che aveva da dire, al contrario, aveva appena iniziato a giocare con il lettore. Il che mi sta benissimo, adoro i libri in cui la scrittura si piega e si trasforma moltiplicando le verità e i piani di lettura, tuttavia non sempre i due racconti successivi sono all'altezza del primo.

Il secondo, in particolare, perde il fascino del precedente, un po' per il passaggio alla narrazione in terza persona, un po' per lo stile che, pur mantenendo il suo pragmatismo, è meno lapidario, una sterile sequenza di eventi che ricorda tanti, troppi, libri (o film) ambientanti nella soffocante atmosfera del blocco comunista.
Se di solito questo tipo di racconti, fatti di annientamento dell'individualità, soppressione del dissenso e quotidiana violenza trasmettono un'atmosfera di sorda disperazione, ne La prova queste caratteristiche emergono solo a tratti, guizzi di sofferta rassegnazione in cui ciò che domina è la solitudine, indomabile, incolmabile ma ciò che tiene realmente incollati alle pagine è la sensazione, che si fa sempre più certezza, che ciò che ci è stato raccontato ne Il grande quaderno non sia totalmente veritiero.

La terza menzogna risolleva le sorti della trilogia, tirando le fila della vicenda e colmando i buchi rimasti con una narrazione che alterna senza soluzione di continuità passato e presente, realtà e sogno. Ritorna il tema della solitudine e si prende il centro del palcoscenico, illuminando di una luce straziante tutti e tre i capitoli di questa epopea e imponendosi come tema dominante. Al di là di una testimonianza della vita durante la guerra e poi sotto un regime totalitario, ispirata alle esperienze dirette dell'autrice, ciò che rimane, e ciò che deve essere rimasto alla Kristof profuga, sradicata dal suo paese natio, è proprio l'ineluttabile isolamento al quale l'uomo sembra essere destinato, la sua ricerca di un'anima gemella, un mezzo per colmare il vuoto, per completarsi, destinata a fallire nelle incomprensioni e nell'incomunicabilità.
Bello, ma forse non abbastanza da essere un capolavoro.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Trilogia della città di K.
  • Titolo originale: Trilogie - Le grand cahier/La preuve/Le troisième mensonge
  • Autore: Agota Kristof
  • Traduttore: V. R. di Meana, A. Marchi
  • Editore: Einaudi
  • Data di Pubblicazione: 2005
  • Collana: Super ET
  • ISBN-13: 9788806173982
  • Pagine: 384
  • Formato - Prezzo: Brossura - 11,50 Euro

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