L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine?
Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
«La neve sulle montagne si stava sciogliendo e Bunny era già morto da molte settimane prima che arrivassimo a comprendere la gravita della nostra situazione. Era già morto da dieci giorni quando lo trovarono, sapete. Fu la più grande battuta della storia del Vermont-polizia dello Stato, FBI, persino un elicottero dell’esercito; il college chiuse, la fabbrica di colori a Hampden serrò i battenti, la gente veniva dal New Hampshire, dal nord dello Stato di New York, addirittura da Boston.
È difficile credere che il semplice piano di Henry potesse aver funzionato tanto bene, nonostante tali eventi imprevisti. Non avevamo l’intenzione di nascondere il corpo dove non potesse essere trovato: invero non l’avevamo nascosto per nulla, bensì semplicemente lasciato dov’era precipitato, nella speranza che qualche sfortunato viandante vi incespicasse, prima che si accorgessero della sua scomparsa. Era una storia che si raccontava da sola, semplicemente e bene: le pietre smosse, il corpo in fondo al burrone con il collo rotto, e le strisciate fangose dei tacchi a segnare il tragitto della caduta; un incidente durante un’escursione, niente di più, niente di meno. E la cosa sarebbe rimasta in questi termini – lacrime sommesse e piccolo funerale –, non fosse stato per la neve che cadde quella notte; il bianco manto ricoprì senza lasciar trasparire la minima traccia, e dieci giorni più tardi, quando venne finalmente il disgelo, la polizia di Stato, l’FBI e tutti coloro che, dal paese, avevano preso parte alla ricerca, videro che erano andati in su e in giù sul suo corpo fino a che la neve gli si era indurita attorno come ghiaccio.»
«Il giorno prima che tutto cambiasse, Ante Valdemar Ross ebbe una visione.
Camminava con suo padre in un bosco. Era autunno, e si tenevano per mano; la luce del sole filtrava attraverso le alte chiome dei pini, e loro seguivano un sentiero battuto che serpeggiava in mezzo ai bassi cespugli di mirtilli rossi e massi ricoperti di muschio. L’aria era limpida e frizzante, qua e là c’era profumo di funghi. Lui doveva avere cinque o sei anni, in lontananza si sentivano le strida degli uccelli e il latrato di un cane.
Eccoci a Gramyren, disse suo padre. Di solito qui ci sono gli alci.
Erano gli anni Cinquanta. Il padre indossava un gilet di pelle e un berretto a quadretti con la visiera; se lo levò, lasciò andare la mano del figlio e si asciugò la fronte con la manica della camicia. Prese pipa e tabacco e cominciò a caricare.
Guardati intorno, Valdemar, ragazzo mio, disse. La vita non potrà mai essere meglio di così.
Mai meglio di così. »
««Sono troppo vecchio per questa merda», mormorò lo Strozzato sussultando a ogni passo, con una smorfia di dolore per via del ginocchio malandato. Si sarebbe dovuto ritirare da tempo, ormai. Da molto tempo. Seduto sotto il portico dietro casa con la pipa in bocca, avrebbe sorriso guardando l’acqua mentre il sole pian piano affondava all’orizzonte, dopo essersi lasciato alle spalle un’onesta giornata di lavoro. Non che avesse una casa. Ma quando l’avrebbe avuta, sarebbe stata bella. »
«Acido. Pizzichi di luce, ronzio. Echi di colpi che rimbalzano da una parete all'altra del cranio, immenso come un solaio. Luce violenta. Credo che gli occhi siano aperti. Bianco. Li chiudo, li riapro, il bianco diventa grigio chiaro, torna bianco abbagliante. Un bruciore secco mi ustiona la gola e interrompe le esplorazioni. Rosso, con piccoli scoppi gialli, cataclisma di un colpo di tosse. Tutti i dolori rac-colti dalla memoria crepitano in scosse che affiorano vibrando, mordono la pelle, tor-nano nel buio. La testa, le braccia, le gambe, il petto… la gola, soprattutto. No, è il fianco. Credo il sinistro. C'è tutto. Mi sento tutto. E vivo. Un flusso stridente, poi un'onda di suoni grotteschi. Si ripetono, assomigliano a una voce. Ho voglia di ridere. Adesso si articola in gorgoglii meno caotici, si increspa, scivola in una litania. È una voce, e vuole costringermi ad ascoltarla… Scricchiolio di molluschi affilati, di polistirolo che si sbriciola, di gesso sul vetro, di scarpe di gomma sulla cera…
Scarpe di gomma sulla cera.
— Ha ripreso conoscenza.
Panico. È improvvisamente nitida, comprensibile. Si è lacerato qualcosa, vedo e sento e i giochi di luce diventano nebbiolina chiara. Aumenta il dolore, più diffuso e più intenso.
— Si sente meglio?
Volto agghiacciante a pochi centimetri, odore di fiato che irrompe nello spazio de-limitato dagli odori miei.
Voglia di vomitare.
— Come si sente, adesso? Può parlare, se vuole. Prima non sentivo. Quindi mi sen-to peggio.
— Non si affatichi. È tutto finito, stia tranquillo.
Mi sforzo di capire perché dovrei affaticarmi, e come. Tanto più che è tutto finito. Finito? Brivido di freddo. — L'operazione è riuscita. Ha una buona fibra, non ci metterà molto a ristabilirsi.
È una tortura, pensare. E ristabilirmi da che?»
«La miglior cosa sarebbe scrivere gli avvenimenti giorno per giorno. Tenere un diario per vederci chiaro. Non lasciar sfuggire le sfumature, i piccoli fatti anche se non sembrano avere alcuna importanza, e soprattutto classificarli. Bisogna dire come io vedo questa tavola, la via, le persone, il mio pacchetto di tabacco, poiché è questo che è cambiato. Occorre determinare esattamente l'estensione e la natura di questo cambiamento. Per esempio ecco un astuccio di cartone che contiene la mia bottiglia d'inchiostro. Bisognerebbe provare a dire come la vedevo prima e come adesso la... Ebbene! È un parallelepipedo rettangolo che si distacca su — è idiota. Non c'è nulla da dirne. Ecco quel che si deve evitare, non bisogna mettere dello strano dove non c'è nulla. Credo sia questo il pericolo, quando si tiene un diario: si esagera tutto, si sta in agguato, si forza continuamente la verità. D'altra parte son certo che da un momento all'altro — sia a proposito di questo astuccio che di qualsiasi altro oggetto — io posso ritrovare l'impressione dell'altro ieri. Devo star sempre all'erta altrimenti essa mi scivolerà ancora di tra le dita. Non bisogna... ma notare accuratamente e con i maggiori particolari tutto ciò che succede.»
«Appare sempre più probabile che riuscirò davvero ad intraprendere la spedizione che da alcuni giorni ormai tiene completamente occupata la mia fantasia. Spedizione, vorrei aggiungere, che intraprenderò da solo nella comodità della Ford di Mr Farraday; e che, a quanto prevedo, attraverso gran parte della più bella campagna inglese, mi condurrà fino alla costa occidentale del paese e riuscirà a tenermi lontano da Darlington Hall per cinque o sei giorni almeno. L'idea di un simile viaggio era nata, mi preme sottolinearlo, da una proposta delle più cortesi avanzatami da Mr Farraday in persona un pomeriggio di quasi due settimane orsono mentre spolveravo i ritratti in biblioteca.»
«Avete notato che gli autori di autobiografie stanno diventando sempre più giovani? Spaventoso, vero? Cosa avranno mai da scrivere?
Il mio libro, ovvio, è completamente diverso. Io ho un sacco di cose da raccontare. Mi sto sforzando di trasmettere l'autentica voluttà vitalistica di quei mesi esaltanti fra gli uno e i due anni, quando nuove esperienze e sensazionali scoperte attendono a ogni angolo una mente in via di formazione.
Scriverò parecchio anche di pupù. Sì, la pupù occupa un posto di primo piano nelle pagine a seguire, quindi se avete lo stomaco delicato, probabilmente è meglio che abbandoniate il campo adesso e scegliate un volume che sporchi un po' meno (ho sentito di un nuovo libro su un serial killer, pare sia molto bello).»
«Il più formidabile nemico dei finlandesi è la malinconia, l’introversione, una sconfinata apatia. Un senso di gravezza aleggia su questo popolo sfortunato, tenendolo da migliaia di anni sotto il suo giogo, tingendone lo spirito di cupa seriosità. Il peso dell’afflizione è tale da indurre parecchi finlandesi a vedere nella morte l’unico sollievo. La malinconia è un avversario più spietato dell’Unione Sovietica.
Ma i finlandesi sono al tempo stesso un popolo combattivo. Non cedono mai. Si ribellano a ogni occasione contro il tiranno.
San Giovanni, la festa della luce e della spensieratezza nel solstizio d’estate, rappresenta per i finlandesi l’occasione di una lotta titanica in cui tentare, unendo le forze, di sconfiggere la malinconia che li rode. Il paese intero si mobilita fin dalla vigilia: non solo gli uomini arruolabili, ma anche donne, bambini e vecchi accorrono al fronte. Per respingere le tenebre, immensi falò pagani vengono accesi sulle rive delle migliaia di laghi del paese. E in cima ai pennoni si issano vessilli di guerra biancoazzurri. Cinque milioni di guerrieri, prima della tenzone, si rimpinzano di grasse salsicce e costolette di maiale ai ferri. Tracannano senza scrupoli per farsi coraggio e, al suono della fisarmonica, le truppe marciano all’assalto della depressione, arrivando a sopraffarla nel corso della notte dopo una lotta senza quartiere.
Nel trambusto dei corpo a corpo i due sessi finiscono per incontrarsi, le donne per restare incinte. Intrepidi che sfrecciano sulle acque su gommoni da sbarco vanno ad annegare nei laghi e nel mare. Si contano a decine di migliaia i caduti tra i cespugli e in mezzo alle ortiche, per non dire degli atti di valore e di eroico sacrificio. Gioia e benessere trionfano, la malinconia è respinta, e la nazione, sbaragliato il cupo oppressore, può godersi almeno una notte all’anno di libertà.»
0 Commenti a “La vetrina degli incipit - Maggio 2014”
Posta un commento