25 maggio 2014

Angolotesti: "Sonetto XLIII" di William Shakespeare

Se la paternità delle opere teatrali di Shakespeare ancora oggi è fonte di infinita polemica, i Sonetti sono senza dubbio l'opera più controversa del grande drammaturgo.
Sublimi esempi di poetica vi diranno alcuni, banali, ripetitivi, noiosi, risponderanno altri, convinti che l'autore di questa raccolta di poesie non possa avere nulla a che fare con capolavori come Amleto e Macbeth.
I 154 sonetti furono pubblicati per la prima volta dall'editore inglese Thomas Thorpe nel 1609 sottoforma di quarto (sebbene un paio di essi fossero già apparsi in precedenti raccolte), terminata dal poema in 47 stanze "A Lover's Complaint". Tutti i sonetti mostrano la medesima struttura: 14 pentametri giambici disposti in tre quartine in rima alternata più un distico conclusivo in rima baciata (uno schema che sarà successivamente chiamato rima shakespeariana) e una divisione per temi piuttosto netta secondo cui i primi 126 sono dedicati a un misterioso e bellissimo giovane (fair youth), mentre i restanti 28 sono dedicati all'altrettanto misteriosa dama bruna (dark lady).
L'oscurità che avvolge i soggetti delle poesie di Shakespeare non fa nulla per aumentare la comprensione dei poemi stessi, per cui troverete critici che si arrampicano sugli specchi cercando di spiegare che il fair youth non è altro che un'incarnazione di bellezza assoluta verso cui l'autore nutriva una platonica ammirazione, mentre la dark lady rappresenta un amore più passionale e sarebbe ispirata a una delle amanti del poeta, probabilmente tale Mary Fitton. Devozione e passione, contaminati dalla gelosia verso un misterioso poeta rivale, non mancano però nemmeno nelle poesie dedicate al bellissimo giovane e se mai potremo sapere con certezza l'identità del destinatario o se abbia avuto o meno una relazione carnale con il grande drammaturgo, possiamo dare per scontato che Shakespeare fosse quanto meno bisessuale e che la dark lady, oltre che una figura reale, debba intendersi come allegoria della morte e che gli studiosi (e il mio povero insegnante di inglese delle superiori con loro) si mettessero l'animo in pace.
I guai in realtà iniziano dalla celebre dedica iniziale, indirizzata a "Mr. W.H." e firmata "T.T.". Se in molti concordano nell'identificare W.H con William Herbert, conte di Pembroke, che sarebbe poi anche l'ignoto fair youth, le ipotesi si sprecano e includono anche quelle di grandi autori come Bertrand Russell che era convinto W.H non fosse altro che un errore di stampa delle iniziali di Shakespeare W. Sh. E' abbastanza scontato invece che T.T. rappresentino l'editore Thorpe, ma perché l'editore dovrebbe firmare la dedica di un romanzo da lui stampato? Forse perché Shakespeare non era disponibile in quel momento o non aveva mai autorizzato la pubblicazione di opere che riteneva non all'altezza della sua produzione?
Sia come sia, questi 154 sonetti rappresentano una delle più complete riflessioni sull'amore, la bellezza, il trascorrere del tempo e la nostra mortalità. Vi ripropongo qui uno dei più celebri, il Sonetto 43, in cui il poeta si tormenta sull'assenza dell'amato, un tema comune ai successivi 9 sonetti, giocando sui contrasti fra luce e ombra, giorno e notte, sogno e realtà. Nelle ultime sequenze l'autore sembra scegliere di entrare in un mondo fatto di sogni per sfuggire a questa realtà fatta di assenza.


Sonetto XLIII

Quanto più chiudo gli occhi, allora meglio vedono,
perché per tutto il giorno guardano cose indegne di nota;
ma quando dormo, essi nei sogni vedono te, e, oscuramente
luminosi, sono luminosamente diretti nell'oscuro.

Allora tu, la cui ombra le ombre illumina,
quale spettacolo felice formerebbe la forma della tua ombra
al chiaro giorno con la tua assai più chiara luce,
quando ad occhi senza vista la tua ombra così splende!

Quanto, dico, benedetti sarebbero i miei occhi,
guardando a te nel giorno vivente,
quando nella morta notte la tua bella ombra imperfetta,
Tutti i giorni sono notti a vedersi, finchè non vedo te,
e le notti giorni luminosi, quando i sogni si mostrano a me.


When most I wink, then do mine eyes best see,
For all the day they view things unrespected;
But when I sleep, in dreams they look on thee,
And darkly bright are bright in dark directed.

Then thou, whose shadow shadows doth make bright,
How would thy shadow's form form happy show
To the clear day with thy much clearer light,
When to unseeing eyes thy shade shines so!

How would, I say, mine eyes be blessed made
By looking on thee in the living day,
When in dead night thy fair imperfect shade
Through heavy sleep on sightless eyes doth stay!

All days are nights to see till I see thee,
And nights bright days when dreams do show thee me.


Considerato il più importante scrittore in lingua inglese e generalmente ritenuto il più eminente drammaturgo della cultura occidentale, William Shakespeare nacque a Stratford-upon-Avon il 23 aprile 1564, o almeno così si crede dato che non esistono documenti certi sulla nascita dello scrittore, mentre si ha prova di un battesimo in data 26 aprile.
Le notizie sulla vita di Shakespeare sono poche e confuse, sebbene molti biografi concordino sul fatto che Shakespeare frequentò la King's New School, istituto gratuito per i maschi della cittadina. È anche probabile che il poeta abbia lavorato come apprendista nel negozio del padre; infatti è stato spesso osservato come Shakespeare nelle sue opere faccia riferimento a svariati tipi di pelle d'animale e ad altre conoscenze tipiche dei conciatori. Nel 1582, all'età di diciotto anni, William sposò Anne Hathaway, di otto anni più anziana, che probabilmente al momento delle nozze era già incinta.
Dalla moglie Shakespeare ebbe tre figli, dopodiché egli scomparve dalle cronache per circa sette anni, dal 1585 al 1592, di solito indicati come gli anni perduti, riguardo ai quali numerose e fantasiose ipotesi sono state fatte.
Nel 1592 il poeta ricomparve, direttamente a Londra e già con una certa fama sulla scena teatrale: si sa che sue opere erano già state rappresentate da diverse compagnie e si ha notizia della rappresentazione il 3 marzo 1592 della prima parte dell'
Enrico VI. La fama di Shakespeare era in ascesa vertiginosa, tanto da attirarsi le gelosie dei colleghi più anziani. Il suo lavoro subì una forzata interruzione negli anni 1593-94, quando un'epidemia di peste portò i legislatori a chiudere i teatri. Shakespeare, in questo periodo, pubblicò due poemetti, Venere e Adone e Il ratto di Lucrezia. Alla riapertura dei teatri il drammaturgo si unì a una compagnia teatrale chiamata The Lord Chamberlain's Men, di cui negli anni successivi divenne anche azionista acquistandone il 10%; essa divenne talmente popolare da far sì che, dopo la morte di Elisabetta I e l'incoronazione di Giacomo I (1603), il nuovo monarca adottasse la compagnia, che si fregiò così del titolo di The King's Men.
Nel 1611 egli decise di ritirarsi nuovamente a Stratford, dove aveva acquistato in precedenza una discreta proprietà, e dove morì il 23 aprile 1616.

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