14 agosto 2012

Assassino senza volto - Henning Mankell

Una giornata di gennaio, in un paese della Svezia, un contadino scopre che i suoi vicini, una coppia di vecchi contadini, sono stati assaliti e picchiati barbaramente. Incredulo di fronte a tanto sangue, avverte la polizia. Kurt Wallander accorre subito alla chiamata della centrale e quello che vede è peggio di quanto avesse immaginato. L'uomo è stato torturato e colpito fino alla morte, la donna è ancora viva e anche lei vittima di una violenza senza ragione. Prima di morire sussurra le sue ultime parole: "Straniero, straniero". Basta una fuga di notizie e i cittadini organizzano una caccia all'uomo. Wallander deve arginare la loro determinazione a farsi giustizia da soli, ma presto scoprirà anche che l'uomo ucciso conduceva una doppia vita.

Recensione

Prima di iniziare, una confessione: il travolgente fascino del giallo scandinavo rimane al momento un mistero per me. Gli americani producono gialli seriali con protagonisti improbabili "supereroi" e finali incredibili? Può essere, ma non sono sicura di voler scambiare le loro "americanate" con queste sterili cronache di eventi in nome di un maggior approfondimento psicologico/sociologico ancora tutto da dimostrare.

Ma andiamo con ordine. Assassino senza volto è il primo di una serie di gialli che lo scrittore svedese Henning Mankell dedica al commissario Kurt Wallander e che, attualmente, è arrivata a contare 11 libri oltre che diversi adattamenti per la televisione, il più famoso dei quali è stato realizzato dalla BBC e ha per protagonista il grande Kenneth Branagh. In questo primo episodio Wallander è alle prese con il brutale omicidio di una coppia di anziani contadini, omicidio che lo porta a concentrare l'attenzione sulla complessa realtà dell'immigrazione clandestina in Svezia, tra sfruttamento, xenofobia in ascesa e autorità incapaci di gestire un incontrollato afflusso di stranieri nel territorio. Tutto il mondo è paese, a quanto pare.

Questa attenzione allo spaccato sociale, apprendo dal tam-tam della rete, è uno dei punti forti del romanzo, che lo colloca al di sopra della media della letteratura di genere, spesso considerata tra le forme più "basse" di produzione scritta. Premesso che i gusti sono gusti e che ognuno è libero di cercare in un giallo ciò che preferisce, io sono ancora una di quei lettori "vecchio stampo" che ad un buon giallo richiedono innanzitutto una trama avvincente e ben congegnata, un mistero in grado di stuzzicare l'intelletto del lettore e di sfidarlo alla risoluzione del rebus. Se poi l'autore ne vuole approfittare per inserire elementi di analisi sociale nel racconto, ben venga, ma non basta questo a farmi sciogliere in estasi di fronte alla profondità e all'originalità del romanzo, soprattutto quando, come in questo caso, si tratta di osservazioni che possono benissimo essere raccolte dalla lettura di un qualsiasi articolo di cronaca sull'argomento, tra parentesi con lo stesso grado di suspence ed espressività.

Lo stile utilizzato è infatti, a mio parere, l'aspetto peggiore di Assassino senza volto. Sarà che la freddezza scandinava non è molto nelle mie corde ma, dopo le interminabili "liste della spesa" del buon Stieg Larsson, questo è uno dei romanzi più piatti, monocordi e incolori che mi sia mai capitato fra le mani. Sospetto che la traduzione dia il suo contributo in negativo, sotto questo aspetto, soprattutto per quanto riguarda la mancanza di nesso logico che si riscontra in numerosi dialoghi oltre che alcune clamorose sviste come l'inconcepibile utilizzo del "tu" invece del "lei" in qualunque forma di conversazione; ignoro se in svedese si faccia uso o meno della forma di cortesia, ma in italiano si utilizza eccome, per cui è decisamente spiazzante sentire il protagonista rivolgersi con lo stesso tono alla sorella e ad un'impiegata di banca mai vista prima. Tuttavia ho trovato in rete diversi commenti di lettori anglofoni che lamentavano la stessa mancanza di logica nelle loro edizioni per cui o l'editoria mondiale è afflitta da una comune penuria di buoni traduttori dallo svedese oppure già in lingua originale c'è qualche problema.

Mankell è carente anche nella caratterizzazione dei personaggi: tutti i poliziotti si somigliano, fatta eccezione per il protagonista Wallander, l'unico a dimostrare una parvenza di spessore psicologico. Però, di nuovo, quanti ne abbiamo già visti finora di investigatori di mezz'età bistrattati dalla vita e dalle donne, con una vita famigliare allo sfascio, poche amicizie e una malsana propensione per i superalcolici? Certo Wallander raggiunge nuovi vertici di avvilimento, essendo dotato di una goffaggine tutta sua che trasforma ogni inseguimento in una scena tragicomica di proporzioni fantozziane e fa presagire che la catastrofe sia sempre dietro l'angolo. La cosa a volte fa sorridere e altre volte irrita, soprattutto se si considera che questa figura non particolarmente brillante, non particolarmente agile e della mentalità non troppo flessibile arriva a risolvere il crimine solo grazie ad un paio di colpi d'intuito un po' casuali. Proprio grazie ad uno di questi colpi d'intuito Wallander si rende conto di una svista grande come tutta la Scandinavia che si trascinava dall'inizio del romanzo e che toglieva un po' di smalto alla trama gialla che, di per se stessa, non è affatto male ed è comunque in grado di sostenere l'interesse del lettore fino alla fine.

Il giudizio finale sarebbe di due stelle e mezzo; sarei tentata di dare una seconda chance giusto per capire se con la pratica in qualche modo migliorano, al punto da giustificare un tale successo internazionale.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Assassino senza volto
  • Titolo originale: Mördare utan ansikte
  • Autore: Henning Mankell
  • Traduttore: Giorgio Puleo
  • Editore: Marsilio
  • Collana: Farfalle
  • Data di Pubblicazione: Gennaio 2005
  • ISBN: 9788831786775
  • Pagine: 384
  • Formato - Prezzo: Brossura - 12,00 Euro 

1 Commenti:

  • 14 agosto 2012 alle ore 18:48
    Pythia says:

    Condivido in tutto e per tutto.
    Da parte mia ho trovato ridicolo Wallander, perché incarna lo stereotipo dell'investigatore (d'oltreoceano) divorziato a causa del lavoro, dedito all'alcool ma talmente bravo e rispettato che i colleghi lo coprono nonostante tutto.
    Ho cortesemente declinato il prestito dei successivi.

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