7 luglio 2016

L'isola - Meša Selimović

In un’isola dell’Adriatico orientale, un luogo senza nome e senza storia, una coppia di anziani, disillusa e dimenticata dai figli ormai lontani, attende la fine del proprio tempo. La loro quotidianità viene però stravolta da una serie di accadimenti e dall’imperversare inatteso di altre vite (uno straniero giunto da chissà dove, una giovane donna che scombussola le placide abitudini del villaggio, un cane inspiegabilmente attratto dalla loro casa…). Nei brevi capitoli, inanellati come perle di una stessa collana, i ricordi e gli accadimenti di due esistenze – narrati da Selimović con il calore e la forza di una vera e propria epica quotidiana e con un tratto che ricorda i mondi narrativi di Sandor Marai e Ágota Kristóf – prendono forma lentamente, ridestando vecchi fantasmi e antiche ossessioni, e lasciando fiorire nel cuore dei protagonisti il seme terribile della ricerca del significato dell’esistenza. Ultimo libro – inedito in Italia – della sua trilogia (dopo La fortezza e Il derviscio e la morte), L’isola è la definitiva, straordinaria testimonianza di uno dei più importanti autori del Novecento europeo. Il volume è corredato da una puntuale e precisa postfazione di Božidar Stanišic che aiuta a inquadrare agilmente i riferimenti storici e culturali di Selimović e del suo intero corpus narrativo.

Recensione

Nato come conclusione di un trittico sul tema dell’esistenza umana, L’isola di Meša Selimović in realtà non ha legami diretti, almeno dal punto di vista della trama, con i due romanzi precedenti, Il derviscio e la morte, forse la sua opera più famosa, e La fortezza, dal titolo decisamente kafkiano. Anche nella scansione cronologica delle tre opere, che vanno dal 1966, anno di edizione del primo tomo, al 1970, quando uscì La fortezza, fino al 1974 dell'ultima parte, non c’è progressione lineare: la radice della riflessione narrativa di Selimović parte da vicende biografiche lontane e segue un percorso arzigogolato e complesso intorno al senso della giustizia e dell’identità umana, che, nel contesto storico della Jugoslavia comunista del dopoguerra, sono tematiche particolarmente significative.

I legami tra le tre opere sono sotterranei e indiretti ma non per questo meno forti: se il derviscio protagonista del romanzo omonimo vive nella condizione ‘insulare’ del monastero e dell’integrità religiosa di fronte al mondo e agli uomini ma ne esce per interrogarsi sul senso della giustizia, e ne La fortezza lo stesso tema si declina nel suo valore politico di vincolo tra gli uomini, L’isola, quasi una fortezza nella quale il protagonista attende la morte, parla della giustizia in termini più ampi, forse ultimativi, quasi come una prospettiva di bilancio esistenziale, che coinvolge il passato, i vincoli famigliari, i sentimenti e le passioni, le aspettative di una vita intera. Non una trilogia, quindi, ma un universo romanzesco ampio e slegato che sembra convergere verso un punto sempre sfocato e incerto, senza lasciare certezze definitive tranne l’impotenza dell’uomo di fronte alle illusioni.

L'impressione di una narrazione sfuggente e frammentaria è netta, tanto più che l’ultima opera consiste in una serie di racconti episodici che formano un arcipelago di vicende legate tra di loro ma in modo debole e vago. Resta comunque il fatto che il terzo episodio di questo percorso narrativo si può leggere indipendentemente dagli altri due e che è quello con legami più diretti verso la contemporaneità dell’autore, visto che gli altri due sono ambientati nella Bosnia ottomana.

L’isola invece è ambientato in un presente astorico – i protagonisti, in particolare Ivan, sono due coniugi che vivono il loro distacco dal mondo e dalla vita della società comunista del dopoguerra – calato nella Jugoslavia del regime socialista. Si può parlare di ambientazione astorica perché la riflessione sulla sofferenza e sul bilancio esistenziale nel racconto, o meglio nei racconti, subisce una deriva verso l’isolamento, proprio nel senso etimologico, evidente fin dalle prime righe. Il distacco tra i due coniugi Ivan e Katarina Marić è profondo, non solo dal resto del mondo e dalla famiglia, ma anche l’uno dall’altra e di ognuno dei due dall’esistenza stessa: sono entrambi un’isola nell’isola e l’uno per l’altra. Da questo punto di vista lo scrittore serbo, riprendendo con maestria uno stile narrativo tipico delle letterature slave e mitteleuropee, esplora in prospettive originali il tema dell’isola come metafora della vita umana. È sicuramente vero che la cadenza del narrare di Selimović richiama al lettore l’andamento di autori come Ágota Kristóf, Milan Kundera e Sándor Márai, come, non mentendo – il che è raro – dichiara il risvolto di copertina; e però la realtà serba si presenta da sé a chi legge come un crocevia di identità e culture che faticano a trovare dei punti di contatto, come delle isole senza ponti che le colleghino. Ivan Marić è il protagonista dei racconti, insieme alla moglie che resta confinata quasi a un ruolo subordinato; oltre alla coppia di coniugi, attorno ai quali ruotano più o meno direttamente i racconti, appaiono e scompaiono figli, amanti, vicini di casa, personaggi del villaggio, che sembrano quasi delle comparse.

Il manifestarsi casuale delle persone e degli eventi in realtà si adatta anche a Ivan e Katarina, che ritiratisi a passare una vecchiaia al limite dell’indigenza sull’isola senza nome non sembrano protagonisti di nulla, neppure della loro vita. Sia nello stile, scarno e lineare, con dialoghi e scambi di battute secchi e taglienti, sia nella scelta degli scorci narrativi – da un’escursione verso un bosco dove vive allo stato brado un branco di cavalli selvaggi ma destinati al macello alla partenza di giovani del luogo per andare a lavorare all’estero, dall’apologo dostoevskijano in cui si pone un dilemma etico universale alla tempesta che pare simboleggiare l’arrivo della morte per Katarina – manca quasi del tutto l’azione. Non succede praticamente nulla, nei vari racconti.

Emergono semplicemente aspetti della vita di questa coppia di anziani coniugi, in particolare legati a Ivan, al bilancio fallimentare della sua vita nel lavoro e negli affetti, alle sue frustrazioni, che in parte riflettono eventi della vita di Selimović. Molte delle situazioni che l’autore mette in scena lasciano un’impressione di rassegnazione apatica; la sofferenza esistenziale di Ivan che si riflette sulla moglie Katarina e sull’ambiente che li circonda sembra il risultato di una cappa di pesantezza e di abulia esterna di cui gli uomini sono vittime e insieme complici, ma da dove venga questo senso di oppressione rimane un mistero che non ha più senso per i protagonisti esplorare: la vicinanza alla morte e l’isolamento dalla vita attiva, dichiarata nella scelta di abitare ai margini del villaggio, vicino al cimitero e alla muta ed enigmatica vastità del mare, rende superfluo e velleitario ogni sforzo. Si può solo attendere.

Come puntualizza nell’esauriente postfazione Božidar Stanišić, il lettore sembra quasi sospinto a chiedersi perché dovrebbe continuare a leggere una storia in cui non accade molto, che sembra giocarsi su un livello di pura superficie della vita e che potrebbe svolgersi in qualsiasi momento storico e in ogni luogo. Chi avesse la costanza di arrivare in fondo alla corona di racconti e riuscisse ad apprezzarne lo stile pregevolmente arido e piatto potrebbe però anche subire il fascino di una visione dell’esistenza umana, nella sua nuda semplicità, misteriosa e insieme insignificante.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: L'isola
  • Titolo originale: Ostrvo
  • Autore: Meša Selimović
  • Traduttore: Manuela Orazi, Dunja Badnjević
  • Editore: Bordeaux
  • Data di Pubblicazione: 2015
  • ISBN-13:  9788899641009
  • Pagine: 224
  • Formato - Prezzo: Paperback - euro 16,00

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