6 aprile 2016

Passavamo sulla terra leggeri - Sergio Atzeni

Un bambino predestinato è il testimone del tempo, il depositario della storia così come altri prima e dopo di lui. Il racconto che gli viene narrato è lo stesso che avvince il lettore. Per la prima volta, laddove gli storici sono rimasti muti, è la straordinaria prosa poetica di Atzeni a descrivere le vicende dei cantori delle stelle, il popolo sardo, dal primo affannoso sbarco nell’Isola fino all’occupazione piemontese.

Recensione

Diviene difficile riuscire a confrontarsi con un libro del genere e la sua portata, che non si auspica di raccontare una vicenda, ma di riferire, tramandare forse, la storia delle storie di una terra.
Poco importa quanto possa esserci di fantasia e quanto invece sia realistico l’intessuto. Atzeni, con questa sua opera uscita postuma, è stato capace di intessere le fila di una moltitudine di generazioni che hanno vissuto e calpestato i suoi dell’isola sarda fino a che il suo popolo, approdatoci dalla notte dei tempi, è stato libero. Libero soprattutto di essere popolo.

Un romanzo ricco, che in duecento pagine condensa esistenze, leggende, un linguaggio arcaico e la fondazione delle prime città, la loro evoluzione nel tempo, basata sul ricordo che ogni custode del tempo ha tramandato, con l’unico compito, quando veniva il momento, di aggiungere il proprio pezzo di presente con quegli avvenimenti che, in cuor suo, valeva la pena raccontare e riportare ai posteri.

Conosciamo uomini e donne che lottano, si ingegnano, si tradiscono oppure diventano loro malgrado persone eroiche, alla guida di un territorio tanto grande quanto affascinante, come solo la Sardegna può essere.
La voce narrante, quella di Antonio Setzu di Morgongiori, riporta al giovane ascoltatore la storia dell’isola, proponendoci personaggi a volte di fantasia, a volte realmente esistiti ma rielaborati dalla diceria e dall’immaginario collettivo, o talvolta dello stesso autore. Unico compito, è trarne memoria, per portare la storia ancora avanti.
A tratti epico, con alcuni richiami alla magia e al rituale delle stelle nelle epoche più lontane, il testo conduce per mano il lettore nell’ambientazione sarda, fatta di rifugi, grotte, cieli stellati e lunghe cavalcate tra gli insediamenti umani, dove il mare è la condanna dell’isola, per l’arrivo dello straniero, così come la sua fortuna, divenendo quasi un padre accudente che protegge la terra e i suoi abitanti dall’esterno, permettendogli di essere se stessi.

La narrazione si inerpica in piccole vite che in qualche modo colpiscono la curiosità degli oratori e che si intersecano con i vissuti dei protagonisti e con la storia stessa romanzata della gente del posto, mantenendo alta l’attenzione e l’interesse, con la capacità evocativa tratta da immagini semplici eppure nel contempo emozionanti. Il popolo che danza viene chiamato, che scorre e si afferma secondo i suoi codici e che in qualche modo ci spiega l’essere giudici, il rispetto della legge e le norme non scritte (ma che poi verranno scritte) che regolano la vita quotidiana.
Perché il gruppo e l’identità assurgono a requisito fondante: si può essere liberi solo se si è uniti e se non si spezza il legame con la terra polverosa e pietrosa che lavoriamo per trarne frutto.
Emblematico il passaggio noto dell’intero romanzo, che dà il titolo all’intera opera:

Passavamo sulla terra leggeri come acqua, disse Antonio Setzu, come acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte, scivola e serpeggia fra muschi e felci, fino alle radici delle sughere e dei mandorli o scende scivolando sulle pietre, per i monti e i colli fino al piano, dai torrenti al fiume, a farsi lenta verso le paludi e il mare, chiamata in vapore dal sole a diventare nube dominata dai venti e pioggia benedetta.
E ancora:
A parte la follia di ucciderci l'un l'altro per motivi irrilevanti, eravamo felici. Le piante e le paludi erano fertili, i monti ricchi di pascolo e fonti. Il cibo non mancava neppure negli anni di carestia. Facevamo un vino colore del sangue, dolce al palato e portatore di sogni allegri. Nel settimo giorno del mese del vento che piega le querce incontravamo tutte le genti attorno alla fonte sacra e per sette giorni e sette notti mangiavamo, bevevamo, cantavamo e danzavamo in onore di Is. Cantare, suonare, danzare, coltivare, raccogliere, mungere, intagliare, fondere, uccidere, morire, cantare, suonare, danzare era la nostra vita. Eravamo felici, a parte la follia di ucciderci l'un l'altro per motivi irrilevanti.

Lo stile è semplice, senza fronzoli, ma comunque elevato ed evocativo, con dei tratti che trascendono nel poetico e che comunque non stonano all’interno del complesso dell’opera.
Passavamo sulla terra leggeri è forse il libro che rappresenta la Sardegna tutta, ma che va oltre i suoi confini per arrivare a chiunque altro voglia imbattersi nella fantasia di un popolo fiero, eppure accogliente, a tratti aspro e selvaggio, con delle caratteristiche fisiche nette, ma non per questo meno civile, anzi.
È un libro che molto può dare a chiunque abbia la fortuna di leggerlo. E che senz’altro è da consigliare per la sua intensità dalla prima all’ultima pagina.

Giudizio:

+5stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Passavamo sulla terra leggeri
  • Autore: Sergio Atzeni
  • Editore: Ilisso
  • Data di Pubblicazione: 2000
  • Collana: Bibliotheca sarda
  • ISBN-13: 9788887825077
  • Pagine: 208
  • Formato - Prezzo: Brossura - € 11,00

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