4 marzo 2014

Manuale del rivoluzionario - Gabriele D'Annunzio. A cura di Emiliano Cannone

Nel Manuale del rivoluzionario sono raccolti insieme per la prima volta alcuni passaggi tratti dall'opera di Gabriele D'Annunzio, utili a intercettare la componente rivoluzionaria del suo pensiero politico, spesso trascurata quando non addirittura adombrata da un'immotivata e ingiustificata riduzione del vate di Pescara a 'Giovanni Battista del Fascismo'.
La natura eversiva, antiliberale e antiparlamentare, socialisteggiante e vagamente anarchica del pensiero politico dannunziano si va profilando all'interno dei vari capitoli, incentrati ognuno, a parte il primo e l'ultimo (dedicati rispettivamente a un aspetto importante della mitologia personale dell'autore e dell'uomo D'Annunzio), su uno degli elementi portanti del rivoluzionarismo novecentesco: critica al mondo borghese e al parlamentarismo dello stato liberale e conseguente necessità di instaurare un nuovo ordine, lotta ai totalitarismi e internazionalismo, sindacalismo e organizzazione di un esercito liberatore.
I passaggi pubblicati, ascrivibili per la maggior parte al periodo fiumano, sono tratti prevalentemente dalla produzione meno nota di D'Annunzio, soprattutto da quella che fa capo alla sua oratoria politica e alla sua pratica giornalistica. Non manca tuttavia, e non sarebbe potuta mancare, un'esigua ma signifiicativa presenza di citazioni di di versi, i quali, molto più della scrittura narrativa e teatrale, si prestano bene alla funzione di documentare (con accenti a volte anche perentori) in vario modo il credo politico dell'autore.

Recensione

"In Italia c'è un rivoluzionario solo: Gabriele d'Annunzio"
(Lenin)

D'Annunzio un comunista?
Certo una rivelazione del genere sarebbe stato un modo gradito probabilmente al vate per celebrare il 150simo anniversario della sua nascita, occorso nel 2013. Cosa meglio di un salto di cavallo per uno che, oltre ad avere corso la cavallina per tutta la vita, ai cambi di casacca doveva essere abituato, visto che eletto come parlamentare del collegio di Ortona per la destra nel 1897 poco dopo, per protesta contro il governo Pelloux, passava ai banchi della sinistra?

In realtà la posizione del Vate non è inquadrabile con le categorie esclusive di destra e sinistra, visto che per il suo vitalismo il personaggio aveva l'abitudine di adattare la realtà alle sue prospettive piuttosto che il contrario.
Sicchè la seconda parte della sua carriera, quella che lo vede pesantemente impegnato sulla scena politica, diventandone protagonista nel decennio che parte con la partecipazione italiana alla Grande Guerra e finisce con l'alba del ventennio fascista, è per il poeta-soldato di Pescara un susseguirsi di imprese ardite e colpi di scena, di successi e fallimenti, sempre e comunque in prima linea nell'interpretare il ruolo di alfiere della Patria e stendardo dell'italico onore.

E chissà quale reazione le tristissime e boccaccesche vicende di cronaca, che hanno accompagnato e in parte anche pubblicizzato la ricorrenza della sua nascita, avrebbero provocato a D'Annunzio!
Di sicuro il vate avrebbe stigmatizzato l'atteggiamento dei politici ingordi e truffaldini, così come nell'opera letteraria presentava personaggi, come il 'superuomo' Claudio Cantelmo da Le vergini delle rocce, che fuggono dalle speculazioni edilizie e dai patrimoni ammassati con manovre finanziarie spericolate, e lo avrebbe interpretato come segno di debolezza di un sistema parlamentare che eguaglia gli uomini, si, ma li livella verso il basso e li spinge alle piccine mediocrità del quotidiano, privandoli di orizzonti e di ideali.

In effetti quello che colpisce davvero di queste testimonianze, raccolte e introdotte criticamente da Emiliano Cannone, non è tanto e soltanto l'immagine di un D'Annunzio diversa dal poeta introduttore delle fanfare totalitariste e scioviniste del ventennio - e davvero vedere nei suoi discorsi appelli al sindacalismo e alla difesa del lavoro operaio fa un certo effetto -, quanto realizzare con triste meraviglia come tanti dei suoi attacchi diretti a governi di Giolitti, Nitti 'Cagoja' e Salandra, sarebbero e sono adattabili all'attualità di un secolo dopo!

Del resto l'opposizione alla stabilità conservatrice dell'Italia dei primi decenni del Novecento non poteva passare che dalla distruzione di un mondo, quello della borghesia liberale, percepito come vecchio, decrepito anzi, incapace di aprirsi al nuovo e privo di ogni forma di vitalità e di esuberanza, in grado solo di tarpare le ali alla libertà creatrice dell'artista e della vita stessa, in nome di interessi consolidati legati al mantenimento di uno status sociale ed economico che tendeva a escludere le masse, pur restando nel limite della mediocrità benpensante.

Di fronte a questo stato di fatto, sentito come espressione di una società morente, d'Annunzio sceglie la vita, tanto nelle trincee della Grande Guerra, sfidando la morte, quanto poi nella contestazione dell'ipocrisia politica che portava i governi italiani ad affrontare le trattative della pace di Versailles con spirito di realpolitik, ottenendone in cambio solo una vittoria mutilata. Da questo stato d'animo la partenza entusiasta per l'impresa di Fiume appare quasi il completamento naturale del pensiero vivo, dell'idea che si fa azione, e porta con sè tutta la spinta innovatrice e vitalista del cambiamento.

La reggenza del Carnaro, o Quarnaro secondo la grafia impreziosita del poeta, tra il 1919 e il 1920, costituisce il fulcro di questa pubblicazione e insieme il vertice dell'esperienza politica e umana del vate. Gli ampi stralci della Carta del Quarnaro riportati da Cannone delineano il quadro di una 'città di vita', come d'Annunzio chiamava Fiume, ispirata alla modernità, quasi come fosse il laboratorio dove sperimentare quei principi di rinnovamento cui aveva votato la sua esistenza. Uguaglianza di uomini e donne, uguale valore di tutte le religioni, partecipazione attiva di tutte le fasce sociali alla creazione di uno Stato democratico, si, ma non teso a livellare verso il basso e a tutelare in forme ipocrite solo alcuni interessi di parte.

Dopo la pars destruens dei capitoli precedenti, dunque la fase positiva porta alla nascita di quella dovrebbe essere davvero una 'utopia' fatta concreta e realizzata dal coraggio degli uomini, soldati e lavoratori insieme.
Tristemente questo esperimento della poesia al potere - nel senso etimologico del termine, 'creazione' - dovrà soccombere al realismo delle Nazioni alleate e verrà cancellata dall'intervento italiano, in nome del mantenimento di quegli equilibri tra gli Stati che d'Annunzio combatteva in nome del diritto di Fiume italiana di far parte del territorio italiano.

Tra luci e ombre di un tentativo in qualche modo eroico, pronto al sacrificio, emerge il ritratto inedito di un personaggio che non è solo poeta e romanziere abituato a frequentare salotti mondani ma che, pur senza rinunciare al gusto di contraddirsi e di mantenere un certo opportunismo di fondo, è capace di mettere le sue doti di guida al servizio di un'Idea. Il fatto che poi Mussolini sia riuscito per altre vie dove lui aveva fallito, non giustifica una visione di d'Annunzio come intellettuale organico del fascismo.

Molto interessanti anche le appendici sui motti del poeta e sui giudizi espressi sulla sua esperienza politica, anche se qualche nota storica in più renderebbe più comprensibili alcuni passaggi dell'attualità del tempo, poco chiari a distanza di ormai quasi un secolo.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Il manuale del rivoluzionario
  • Autore: Gabriele D'Annunzio. A cura di Emiliano Cannone
  • Editore: Tre Editori
  • Data di Pubblicazione: 2013
  • ISBN-13: 9788886755665
  • Pagine: 226
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 17,00

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