27 gennaio 2014

Listopia: I milleuno libri da leggere almeno una volta nella vita (#701 - 720)

Quante volte ci siamo imbattuti in una di queste liste? La stessa BBC ne aveva stilata una da cento libri (piuttosto faziosa, se volete la mia opinione). Scopo di queste liste, è noto, non è permettere al lettore di scoprire nuovi libri e nuovi autori, bensì distruggere ogni sua pretesa di letterato facendolo sentire oltremodo ignorante per il gran numero di volumi che, a fine lista, scopre di non aver non solo mai letto, ma nemmeno sentito nominare. Noi vi proponiamo questa, pubblicata in volume, che già da diversi anni circola più minacciosamente della videocassetta di The Ring (o di Pootie Tang - questa è pessima, se la capite vergognatevi) distruggendo l'autostima di ogni lettore che credeva di aver letto tutti o la maggior parte dei cosiddetti libri da leggere prima di morire. La lista in questione ha i suoi difetti. Intanto è stata stilata approssimativamente nel 2005, per cui la sezione 2000 risulta incompleta; inoltre mette in lista solo narrativa, ed è eccessivamente sbilanciata su romanzi pubblicati nel corso del 1900, glissando decisamente su quelli pre-Ottocento. Continuiamo con un'altra carrellata di venti romanzi: nel corso degli articoli vedremo quali sono stati pubblicati in Italia e quali risultano ancora inediti.



701. Il processo – Franz Kafka (1925)

Josef K. condannato a morte per una colpa inesistente è vittima del suo tempo. Sostiene interrogatori, cerca avvocati e testimoni soltanto per riuscire a giustificare il suo delitto di "esistere". Ma come sempre avviene nella prosa di Kafka, la concretezza incisiva delle situazioni produce, su personaggi assolutamente astratti, il dispiegarsi di una tragedia di portata cosmica. E allora tribunale è il mondo stesso, tutto quello che esiste al di fuori di Josef K. è processo: non resta che attendere l'esecuzione di una condanna da altri pronunciata. [La nostra recensione]


702. L'affare degli Artamonov – Maxim Gorky (1925)

Pubblicato nel 1925, il romanzo è la saga di una dinastia di ricchi industriali tessili di una città della provincia russa, Driomov. nel corso di tre generazioni. Gli Artamonov si trasmettono di padre in figlio, oltre all'ingente patrimonio, anche la rapacità e la dissolutezza.





703. La casa del professore – Willa Cather (1925)

Il professor St. Peter si rifiuta di abbandonare la vecchia casa in cui ha abitato con la moglie e le figlie, e dove ha dato forma al suo capolavoro di studioso, un saggio storico sulle spedizioni dei conquistadores in America. Ma è anche la casa dove ha accolto Tom Outland, il suo allievo più stravagante e geniale, morto durante la Prima Guerra Mondiale, che ha avviato agli studi e a un futuro brillante ma breve di scienziato e ricercatore. A poco più di cinquant'anni, il professore è vittima di uno scoramento che ha radici in un'insoddisfazione che il successo accademico e il benessere, anziché mitigare, rendono ancora più bruciante. L'arrivismo sociale della moglie, della figlia maggiore Rosamond e di suo marito Louie gli è estraneo e lo avvilisce. A rendere più dolorosi l'inquietudine e l'amarezza che affliggono Godfrey St. Peter è proprio il ricordo di Outland, la cui amicizia gli ha aperto una finestra sulla vita libera e appassionata che il giovane Godfrey "l'altro ragazzo" - ha solo vagheggiato nell'adolescenza. Durante una lunga estate solitaria, mentre lavora ad annotare il diario di Tom, il professore si trova a fare i conti con la propria vita. Inserito al centro della narrazione, come la tavola centrale di un trittico, il racconto di Tom Outland della scoperta della Città di roccia, sulla mesa che si alza in apparenza inaccessibile nella pianura del New Mexico, è il centro da cui si irradia l'energia che muove i passi del giovane eroe e soccorre il professore.


704. Billy Budd il marinaio – Herman Melville (1924)

Romanzo che narra come il giovane Billy Budd venga costretto ad arruolarsi come marinaio nella marina inglese, seguiranno una serie di vicende che lo porteranno ad essere accusato ingiustamente e processato per cospirazione.






705. The Green Hat – Michael Arlen (1924)

The Green Hat perfectly reflects the atmosphere of the 1920s. Iris Storm, femme fatale, races around London and Europe in her yellow Hispano-Suiza surrounded by romantic intrigue, but beneath the glamour she is destined to be a tragic heroine. A perfect synecdoche, in fact: as the hat is to the woman, so the words of the title are to an entire literary style. The success of the novel when it was first published in 1924 led to its adaptation for the screen, with Greta Garbo starring as Iris Storm.


706. La montagna incantata – Thomas Mann (1924)

"'La montagna incantata' è un fedele, complesso, esauriente ritratto della civiltà occidentale dei primi decenni del Novecento e, nella sua incantata fusione di prosa e poesia, di vastità scientifica e di arte raffinata, è il libro, forse, più grandioso che sia stato scritto nella prima metà del secolo." Con queste parole, un entusiasta Ervino Pocar concludeva l'introduzione all'edizione della "Montagna incantata" da lui tradotta nel 1965 che da allora ha fatto conoscere e apprezzare ai lettori italiani questo Bildungsroman straordinariamente complesso ambientato in un sanatorio svizzero, il celebre Berghof di Davos. Quando il protagonista, il giovane Hans Castorp, vi arriva, è il tipico tedesco settentrionale, un solido e rispettabile borghese. A contatto con il microcosmo del sanatorio il suo carattere subisce un'evoluzione e un incremento: passa attraverso la malattia l'amore, il razionalismo e la gioia di vivere, il pessimismo irrazionale, senza che nessuna di queste posizioni lo converta. Ma in mezzo a tante forze contrastanti, Castorp trova il proprio equilibrio. In questo mondo dove il tempo si dissolve e il ritmo narrativo si snoda in sequenze di ore, giorni, mesi e anni resi tutti indistinti dalla routine quotidiana, egli può liberamente crescere. Paradossalmente (l'umorismo di Mann),dopo essere stato convertito alla vita Castorp tornerà alla pianura per perdersi nell'inutile strage della "grande" guerra. Prefazione di Giorgio Montefoschi.


707. Noi – Evgenjy Zamjatin (1924)

“Per annientare il diavolo è permessa, si capisce, qualsiasi alterazione della verità – e così il mio romanzo scritto nove anni prima, nel 1920, è stato presentato come la mia ultima opera. È stata organizzata una persecuzione quale non si è mai avuta nella letteratura sovietica.” Tratte dalla lettera che Evgenij Zamjatin (1884-1937) spedì a Stalin nel 1931 nel tentativo di vedersi commutata in esilio quella “privazione della possibilità di scrivere” che pesava sul suo animo come una “pena di morte”, queste parole sono la testimonianza della dura censura che colpì Noi, l’avveniristico e lungimirante atto d’accusa contro la spietata e progressiva diffusione del taylorismo nella società sovietica e la morsa totalitaria in cui la Russia sarebbe rimasta strangolata sotto il regime di Stalin. Nella città di vetro e di acciaio dello Stato Unico gli individui sono ridotti a numeri e vivono nel rigoroso rispetto dell’autorità del Benefattore, garante assoluto di una felicità “matematicamente” calcolata. Non esistono né vita privata né intimità. Le pareti degli edifici sono trasparenti, e anche il tempo dell’amore è scandito da orari e modalità rigorose. Scritto in forma di diario tenuto dal costruttore di una macchina spaziale, l’Integrale elettrico, che avrebbe il compito di esportare in tutto l’universo “il benefico giogo della ragione”, Noi incarna una delle più sofisticate e lucide anti-utopie della letteratura novecentesca.


708. Passaggio in India – E.M. Forster (1924)

A Chandrapore, nell'India stretta sotto la morsa del colonialismo, si fronteggiano "Islam, un atteggiamento verso la vita squisito e durevole", la burocrazia britannica, "invadente e sgradevole come il sole" e "un pugno di fiacchi indù", in una silenziosa guerra fredda. Finché l'arrivo di una giovane turista inglese non viene a incrinare il fragile equilibrio. Perché Adela Quested, con stupore del clan dei sahib bianchi, non si accontenta dei circoli e delle visite ufficiali: vuole conoscere "la vera India" e trova la guida indigena perfetta nel mite e ospitale Aziz. Ma nelle grotte di Marabar la gita preparata con ogni cura si trasforma per Adela, vittima delle sue personali inquietudini o di un indegno affronto, in un dramma sconvolgente che arriva fino nelle aule di un tribunale, facendo esplodere pregiudizi, razzismi, contraddizioni. Lo scontro tra due civiltà agli antipodi per sentimenti e valori troverà anche la sua eroina inconsapevole: Esmiss Moor, Miss Moore per gli inglesi, figura simbolo di un'impossibile pacificazione. Il ritratto umano e poetico di un paese amatissimo si fa parabola della "segreta intelligenza del cuore" di contro alla protervia della ragione in quello che Forster chiamò "il mio romanzo indiano influenzato da Proust" e che è il suo indiscusso capolavoro. [La nostra recensione]


709. Il diavolo in corpo – Raymond Radiguet (1923)

Il protagonista è un adolescente spinto da un'irrefrenabile voglia di ribellione, che si lascia trascinare in una storia di passione e trasgressione in tempo di guerra. Come scrive Francesca Sanvitale, Il diavolo in corpo non è soltanto un libro «maledetto», ma appartiene di diritto alla grande tradizione del romanzo francese: l'aria che vi si respira rivela l'attitudine dell'autore a razionalizzare i sentimenti alla luce di quella crudeltà della ragione che proviene dal Settecento delle Relazioni pericolose di Laclos.



710. La coscienza di Zeno – Italo Svevo (1923)

Le pagine della Coscienza di Zeno si chiudono con una terribile profezia: "Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' più ammalato, ruberà tale esplosivo e si arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie". Zeno Cosini conclude così il suo diario di malato interiore, di nevrotico consapevole che si guarisce con la sola persuasione di non essere più un possibile oggetto di studio della "psico-analisi". Nato come forma teraupetica suggerita da un medico, l'auto-racconto di Zeno percorre le tappe di una vita malata, attraverso la lotta contro il fumo, la morte di un padre colpevolizzante, la storia di un matrimonio senza amore, di un adulterio appassionante e infelice, di un'iniziativa commerciale disastrosa. La coscienza di Zeno è uno dei grandi romanzi del Novecento: come Joyce, Musil, Kafka, Italo Svevo affonda qui nelle più oscure e dolorose regioni dell'incertezza umana, per poi risalire alla quieta consapevolezza del "male di vivere".


711. Canne – Jean Toomer (1923)

E' un libro di incontri brutali, dove la violenza delle situazioni si condensa nella storia esemplare di un linciaggio, in una notte di sangue e di fuoco, di accellerazione quasi surrealista dell'esperienza individuale e razziale. Poesia e prosa si alternano a segnare il cammino tragico, epico e lirico di una ricerca di radici che, passando per l'identità razziale di una cultura polarizzata dalla linea del colore, aspira all'universalità dell'esperienza.


712. Passo di danza – Aldous Huxley (1923)

[Pubblicato da Dall'Oglio nel 1965 e ormai fuori catalogo, si tratta del secondo romanzo di Aldous Huxley. L'opera, dal taglio comico, ironizza sull'èlite culturale londinese al termine della prima guerra mondiale. Nel mirino di Huxley, bohemien, artisti e intellettuali, persi nella vacuità dei loro circoli.]




713. Amok – Stefan Zweig (1922)

Amok è una parola malese. Indica «una follia rabbiosa, una specie di idrofobia umana... un accesso di monomania omicida, insensata, non paragonabile a nessun’altra intossicazione alcolica». Lo sa bene la voce narrante di questa tesa novella – un medico dai tanti conti in sospeso: con la giustizia, con la professione, con la propria vita ormai annientata. E su una grande e rumorosa città natante che fende l’Oceano Indiano, e ricorda la non meno fatale nave della Novella degli scacchi, una confessione simile a un delirio ricrea davanti ai nostri occhi un mondo coloniale che «divora l’anima e succhia il midollo dalle ossa», scatenando forze capaci di scardinare in un attimo ordinate esistenze. Un mondo febbrile dove si scontrano la protervia di una donna di imperiosa bellezza, convinta che tutto si compri col denaro, e la divorante passione di un uomo cui i tropici e la solitudine hanno sviato la mente e i sensi. La nave va verso un’Europa ormai crepuscolare, verso una conclusione ineluttabile, lontano dalla giungla e dalla città d’acqua in cui i due hanno giocato una partita dall’esito segnato sin dal primo incontro: «Nel giro di un’ora, da che quella donna era entrata nella mia stanza, mi ero buttato la vita alle spalle lanciandomi alla cieca nel furore dell’amok».


714. Garden Party – Katherine Mansfield (1922)

Fin dalla prima edizione, avvenuta nel 1922, l'anno precedente la morte dell'autrice, Garden Party suscitò un coro di lodi nel mondo inglese e americano. Nel giro di pochi mesi la raccolra ebbe una ristampa in Inghilterra e ben sette in America. Il motivo della donna abbandonata vi ricorre spesso, ma i migliori racconti sono quelli riferiti alle memorie della Nuova Zelanda che trascendono, con la loro ispirazione lirico-narrativa, i limiti dell'ambiente e dell'evocazione personale. I suoi racconti non dovrebbero essere letti come tali, ma come liriche, sebbene nella maggior parte di essi sia implicito un considerevole movimento narrativo. Ella sa trasmettere il sentimento delle umane situazioni. Le sue opere hanno l'unità e la purezza di linea della migliore poesia. Fatte le debite proporzioni, il contributo che la Mansfield diede all'evoluzione dell'arte del racconto è paragonabile solo all'apporto che James Joyce diede a quella del romanzo.


715. La stanza enorme – E.E. Cummings (1922)

Amato da Hemingway e definito da Lawrence d’Arabia «il più bel romanzo americano sulla prima guerra mondiale», La stanza enorme fu pubblicato per la prima volta nel 1922. La guerra si impone nella narrazione come la «grande assente»: C., il protagonista, viene riconosciuto colpevole di tradimento davanti a un tribunale da farsa e imprigionato ben prima di aver sperimentato direttamente la guerra, anzi dopo un mese di bella vita parigina. Dal viaggio verso la prigione, e poi durante il suo periodo di detenzione, accompagniamo C. nel suo itinerario di salvazione e nel suo cammino di conoscenza, fino a quando il protagonista finirà per spogliarsi di qualsiasi orpello civile e farà il suo ingresso in una nuova vita, consapevole della propria superiore diversità.


716. La stanza di Jacob – Virginia Woolf (1923)

Romanzo sperimentale, biografia, romanzo di formazione, elegia, meditazione sul flusso incessante della vita, soprattutto ricerca di un disegno che ricomponga l'armonia sottesa all'apparente caos del reale, La stanza di Jacob è il primo, grande capolavoro di Virginia Woolf, che con questo libro entra a buon diritto tra i grandi scrittori novecenteschi, creando una nuova forma narrativa che si costruisce su tracce, allusioni, simboli, ma resta tuttavia concreta, ancorata all'esperienza, al tempo stesso, secondo una metafora della stessa autrice, «granito e arcobaleno». Ispirato alla figura dell'amato fratello prematuramente scomparso, La stanza di Jacob disegna, attraverso sensazioni, emozioni, memorie, illuminazioni epifaniche, non soltanto un personaggio indimenticabile, ma un intero mondo, e regala, al lettore, le scoperte e l'incanto di una nuova visione.


717. Siddhartha – Herman Hesse (1922)

Chi è Siddharta? È uno che cerca, e cerca soprattutto di vivere intera la propria vita. Passa di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione, perché ciò che va cercato è il tutto, il misterioso tutto che si veste di mille volti cangianti. E alla fine quel tutto, la ruota delle apparenze, rifluirà dietro il perfetto sorriso di Siddharta, che ripete il "costante, tranquillo, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multirugoso sorriso di Gotama, il Buddha, quale egli stesso l'aveva visto centinaia di volte con venerazione". Siddharta è senz'altro l'opera di Hesse più universalmente nota. Questo breve romanzo di ambiente indiano, pubblicato per la prima volta nel 1922, ha avuto infatti in questi ultimi anni una strepitosa fortuna. Prima in America, poi in ogni parte del mondo, i giovani lo hanno riscoperto come un loro testo, dove non trovavano solo un grande scrittore moderno ma un sottile e delicato saggio, capace di dare, attraverso questa parabola romanzesca, un insegnamento sulla vita che evidentemente i suoi lettori non incontravano altrove.


718. The Glimpses of the Moon – Edith Wharton (1922)

'She wondered if, when human souls try to get too near each other, they do not inevitably become mere blurs to each other's vision.' Susy Branch learned early that to thrive without money in a society driven by wealth one must dissemble, flatter and sometimes even drop one's moral guard in order to share a little of one's host's luxury and leisure. Nick Lansing has also learned and wearied of the same lesson. Despite the foolishness of their romance - for each should be seeking a partner of means - they decide to marry. By combining their skills they should be able to enjoy a year's invitations and happiness before they need face reality. But love makes its own exacting demands and its costs can also be high...
Edith Wharton is best known for her stories and ironic novels about upper class people. Wharton's central subjects were the conflict between social and individual fulfillment, repressed sexuality, and the manners of old families and the nouveau riche, who had made their fortunes in more recent years. Among her numerous novels, short stories, and travel writings are The House of Mirth, Ethan Frome, and the Pulitzer prize-winning Age of Innocence. An international bestseller, The Glimpses of the Moon details the romantic misadventures of the Lansings, a 1920's couple with the right connections but no money.


719. The Life and Death of Harriett Frean – May Sinclair (1922)

Harriett is the Victorian embodiment of all the virtues then viewed as essential to the womanly ideal: a woman reared to love, honour and obey. Idolising her parents, she learns from childhood to equate love with self-sacrifice, so that when she falls in love with the fiance of her closest friend, there is only one way to confront such an unworthy passion. Or so it seems...
Ironic, brief and intensely realised, The Life and Death of Harriett Frean (1922) is a brilliant study of female virtue seen as vice, and stands with the work of Virgina Woolf and Dorothy Richardson as one of the great innovative novels of the century.


720. Gli ultimi giorni dell'umanità – Karl Kraus (1922)

Gli ultimi giorni dell’umanità stanno al centro dell’opera di Karl Kraus, come il Minotauro nel labirinto. Tutti i suoi saggi, i suoi aforismi, i suoi pamphlets, le sue liriche convergono verso questo testo di teatro irrappresentabile, che accoglie in sé tutti i generi e gli stili letterari, così come la realtà di cui parla – quell’irrappresentabile evento che fu la prima guerra mondiale – racchiudeva in sé le più sottili e inedite varietà dell’orrore. Per Kraus, fin dall’inizio, la guerra fu un intreccio allucinatorio di voci, dal «quotidiano, ineludibile, orrendo grido: Edizione straordinaria!» alle chiacchiere dei capannelli, dalle dichiarazioni tronfie e ignare dei Potenti ai ‘pezzi di colore’ della stampa, sino all’inarticolato lamento delle vittime. «Non c’è una sola voce che Kraus abbia lasciato perdere, era invasato da ogni specifico accento della guerra e lo riproduceva con forza stringente», ha scritto Elias Canetti, che a Vienna ascoltò molte volte Kraus mentre leggeva in teatro scene degli Ultimi giorni. Così, mentre i più illustri scrittori del tempo, salvo rarissime eccezioni, davano una prova miserevole di sé, partecipando baldanzosi, da una parte o dall’altra, all’esaltazione bellica, Kraus fu l’unico che riuscì a catturare quell’evento immane in tutti i suoi aspetti, e nel momento stesso in cui accadeva, sulla pagina scritta: «La guerra mondiale è entrata completamente negli Ultimi giorni dell’umanità, senza consolazioni e senza riguardi, senza abbellimenti, edulcoramenti, e soprattutto, questo è il punto più importante, senza assuefazione» (Canetti). Per giungere a tanto, Kraus dovette abbandonarsi a un rovente delirio, a una perenne peregrinazione sciamanica attraverso le voci, sui mille teatri della guerra, dalle trincee ai Quartier Generali, dai luoghi di villeggiatura ai palazzi imperiali, dagli interni borghesi ai caffè. Il risultato si presenta come un imponente «masso erratico» nella letteratura del Novecento e spezza ogni categoria: prima fra tutte quella della «tragedia», a cui allude il sottotitolo con dolorosa ironia. Perché la tragedia presuppone almeno la coscienza della colpa: mentre qui centinaia di personaggi – fra i quali incontriamo i due imperatori, Francesco Giuseppe e Guglielmo II e vari Potenti maligni, ma anche una loquace giornalista e tanti di quei liberi lettori di giornali che compongono la voce delle masse – in un solo carattere concordano: una spaventosa comicità, data dalla loro comune inconsapevolezza di ciò che provocano e che subiscono, paghi come sono di trasmettersi frasi fatte e di «portare la loro pietruzza» sull’altare dove si attendono le sacre nozze fra la Stupidità e la Potenza. Come Kraus aveva già visto tutte le atrocità della guerra nella affabile vita viennese dei primi anni del Novecento, così nella prima guerra mondiale vide con perfetta chiarezza non solo il nazismo (che qui appare mirabilmente descritto prima ancora che il nome esistesse), ma gli anni in cui viviamo: l’età del massacro. Perciò a noi, come ai lettori di allora, si rivolgono le parole con cui Kraus introduceva gli Ultimi giorni: «I frequentatori dei teatri di questo mondo non saprebbero reggervi. Perché è sangue del loro sangue e sostanza della sostanza di quegli anni irreali, inconcepibili, irraggiungibili da qualsiasi vigile intelletto, inaccessibili a qualsiasi ricordo e conservati soltanto in un sogno cruento, di quegli anni in cui personaggi da operetta recitarono la tragedia dell’umanità». Karl Kraus (1874-1936) scrisse la maggior parte del testo di Gli ultimi giorni dell’umanità durante la prima guerra mondiale e continuò a lavorarci fino al 1922, quando ne apparve l’edizione definitiva.

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