9 dicembre 2012

Dal libro al film: Blade Runner

Cos’hanno in comune tra loro il romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick e la più celebre trasposizione cinematografica Blade Runner di Ridley Scott?

La risposta potrebbe stupire: a parte l’ossatura della trama e la concordanza sui nomi dei personaggi, si tratta di due opere molto diverse, ognuna figlia del proprio tempo.

In Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968) è il 1992 e siamo a San Francisco. Un’enorme guerra nucleare ha quasi distrutto la Terra e molte delle sue forme di vita, lasciando dietro di sé città desertificate e contaminate dalle radiazioni. Quasi ogni forma animale è estinta e gli esseri umani sopravvissuti subiscono gli effetti delle radiazioni, che si manifestano in mutazioni dei propri geni. La popolazione terrestre è quasi interamente migrata nelle colonie extramondo, dove l’ONU ha offerto a ciascuno come incentivo la possibilità di avere un servitore androide prodotto dalle Industrie Rosen.

In un mondo in cui non possedere un animale vero e non elettrico è uno stigma sociale, il cacciatore di taglie Rick Deckard accetta l’incarico di ritirare sei androidi fuggiti sulla Terra per potersi permettere il lusso di comprare un vero animale organico e riuscire così a dare un senso alla propria vita e a quella della moglie Iran, una donna depressa diventata fervente seguace del Mercieresimo, un culto che prevede la condivisione empatica tra tutti i fedeli delle sofferenze di un tale William Mercer.


In Blade Runner (1982) siamo a Los Angeles ed è il 2019. L’inquinamento e il sovraffollamento stanno rendendo il pianeta Terra invivibile, spingendo la gente ad emigrare nelle colonie extraterresti. L’ex agente di polizia Rick Deckard (Harrison Ford) accetta con riluttanza l’incarico di ritirare alcuni pericolosi replicanti fuggiti illegalmente sulla Terra. I replicanti, che hanno un’aspettativa di vita molto breve, mirano a raggiungere la Tyrell Corporation guidati dal carismatico replicante-soldato Roy Batty (Rutger Hauer) per estendere la durata della propria vita.

Già a questo punto si possono notare alcune differenze: la Terra, che nel romanzo era un deserto radioattivo (figlio della paura di una guerra nucleare, uno dei principali terrori del periodo della Guerra Fredda e degli anni Sessanta in particolare), nel film diventa un luogo sporco e sovraffollato e il protagonista, che nel libro sembra un grigio e triste dipendente statale (un po’ come i guardiani de I Guardiani del Destino, un altro racconto di Dick), è la versione cyberpunk dell'investigatore che popolava i vecchi film noir di Hollywood.
Blade Runner sorvola volontariamente su alcuni di quelli che Dick considerava probabilmente i temi forti del proprio racconto: la religione e l’empatia verso gli animali come metro per definire l’umanità e stabilire il limite oltre cui è eticamente accettabile terminare una macchina, per concentrarsi invece su alcuni spunti narrativi solo accennati nel romanzo e rapidamente liquidati (cosa distingue un essere umano da un replicante che non sa di esserlo? Il protagonista è un vero essere umano o un replicante riprogrammato?).
Così mentre la Rachel del libro sa di essere un androide e usa il suo potere seduttivo per distrarre Deckard dalla sua missione e danneggiarlo il più possibile, quella del film tenta di venire a patti con la rivelazione di essere una replicante pur continuando a sentirsi umana.
In effetti, tutti gli androidi di Ma gli androidi sognano pecore elettriche? sono più simili a elettrodomestici che a robot dotati di intelligenza artificiale: freddi e calcolatori, non hanno mai un moto di pietà o di compassione, né sono in grado di comprenderla. Sono tutti virtualmente identici e intrappolati negli stessi processi di ragionamento logico. A rimarcare questo concetto, nel romanzo Rachel e Pris sono identiche, fisicamente e mentalmente, essendo due esemplari di uno stesso modello, mentre nel film si tratta di due individui (e due personalità) completamente differenti.
I replicanti di Blade Runner, sono mossi dal desiderio di confrontarsi con il proprio creatore e decisamente più vitali dei veri esseri umani (che ci vengono mostrati tutti come feriti, fragili o malati).

Conclusioni quasi opposte, dunque, con 20 anni di storia scivolati tra l'uscita del libro e quella del film.

I replicanti Pris (Daryl Hannah) e Roy (Rutger Hauer)

È innegabile, però, che Blade Runner abbia una marcia in più: la sua ambientazione coinvolgente, buia e studiata nei minimi dettagli (il realistico miscuglio del cityspeak, la lingua parlata nel film per le strade di Los Angeles) ha contribuito a plasmare il modo con cui ancora oggi ci approcciamo alla fantascienza, diventando la fonte e l’ispirazione anche per altri film, serie televisive (Battlestar Galactica), serie animate (Ghost in the shell) e videogiochi (uno su tutti, Deus Ex).

Quasi obbligatoria, quindi, la visione di Blade Runner, meglio se nel Final Cut fatto da Ridley Scott nel 2007, l'unica versione su cui il regista abbia avuto il definitivo controllo: uno dei pochi casi in cui il film supera nettamente il libro da cui è stato tratto.




Il trailer del Final Cut (in inglese)

6 Commenti a “Dal libro al film: Blade Runner”

  • 10 dicembre 2012 alle ore 17:20
    Tancredi says:

    Blade Runner è decisamente insuperabile: senza il film il racconto sarebbe passato inosservato. Parola di dickiano doc!
    Sull'empatia con gli animali la vedo in modo abbastanza diverso. Il riferimento agli animali "artificiali" mi sembra sia da iscrivere nella solitica critica alla società statunitense stile anni Cinquanta (tematica mai sopita in Dick e presente in quasi tutti i suoi romanzi): non a caso il possesso dell'animale "naturale" comporta uno status sociale elevato, la sua perdita comporta la depressione nella moglie di Deckard, e l'uso di surrogati artificiali pare farsi emblema di quelle comodità che negli anni Cinquanta allo stesso modo regalavano l'illusione di uno statut sociale elevato dietro cui si nascondevano casalinghe disperate alcolizzate.
    Certo è che il film è tutt'altra cosa. E Dick si è pure detto enormemente soddisfatto del risultato!

  • 10 dicembre 2012 alle ore 21:31

    Oddio, credevo di aver lasciato un commento, e invece...
    Anch'io trovo superiore Blade Runner, perché ha introdotto alcune sequenze indimenticabili (l'inizio, il monologo finale) e tolto alcuni punti un po' cervellotici (la stazione di polizia "fantasma"). Non che DoAndroidsetc. sia un brutto libro, anzi. Solo che non riesco a farmi piacere Dick come romanziere, lo preferisco nei racconti.

    PS:
    Dick non riuscì a vedere Blade Runner ultimato, ma solo un montaggio dei primi 40 minuti (o qualcosa di simile). Ma è vero che gli piacque.

  • 12 dicembre 2012 alle ore 00:00
    Anonimo says:

    Secondo me sono veri entrambi gli aspetti della "questione animale": sono sia status symbol consumistici, sia mezzi attraverso cui manifestare la propria umanità.

    Certo è che ho molto apprezzato la loro quasi totale omissione nel film. Avrebbe stonato molto una scena in cui Harrison Ford si cruccia per il costo di uno struzzo organico.

  • 12 dicembre 2012 alle ore 17:43
    Anonimo says:

    E pensare che il monologo finale doveva essere molto più lungo, ma Rutger Hauer lo tagliò notevolmente, aggiungendo la parte sulle lacrime nella pioggia :)

  • 13 gennaio 2013 alle ore 23:30
    Anonimo says:

    Articolo ben formulato. DADOES e Blade Runner sono due storie molto diverse. Però non concordo nel definire il libro nettamente inferiore: l'idea del Mercerianesimo, collegata agli animali elettrici, collegata al rapporto uomo-androide, è uno dei parti più straordinari della mente turbata di Dick. E ho letto tutti i suoi racconti e una dozzina buona di romanzi.

  • 15 gennaio 2013 alle ore 17:03
    Anonimo says:

    Grazie per il complimento!
    Per me, invece, DADOES è il primo libro di Dick letto e la prima impressione che ho avuto è che ci fosse troppa carne al fuoco perché fosse sviluppata tutta in modo convincente e che la parte del Mercerianesimo fosse un po' troppo sacrificata per risultare veramente significativa.

    Magari si tratta solo di un problema di prospettiva (la mia), che mi ha fatto trovare più affini i temi che invece sono stati poi sviluppati nella sceneggiatura di Blade Runner.

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