9 giugno 2012

Accabadora - Michela Murgia

Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima".
Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fill'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia".
Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte.
Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.

Recensione

Le colpe, come le persone, iniziano ad esistere se qualcuno se ne accorge.

Per quanto sia scritto in italiano, con uno stile molto pulito, semplice e ricco insieme, levigato come le vasche di marmo di certi piccoli paesi di montagna di una volta, che questo romanzo breve - o racconto lungo, se si preferisce - di Michela Murgia necessiti di una qualche forma di traduzione risulta evidente dal titolo.

Accabadora o femmina accabadora, dallo spagnolo acabar, finire, significa letteralmente terminatrice ed è una figura, in parte mitologica, dell'antropologia sarda: sarebbe - dal momento che ne mancano attestazioni storicamente attendibili - una figura femminile deputata a porre termine alla vita e alla sofferenza di malati terminali, infermi allettati e moribondi senza speranza, o almeno, secondo un'interpretazione più contenuta, a celebrare i riti per accompagnare l'agonia dei morenti.

La traduzione, tuttavia, risulta necessaria perché il racconto di Accabadora immerge le sue radici nel cuore dell'anima folklorica sarda: oltre al mito delle terminatrici - alle quali, per gli amanti del genere, è anche dedicato un albo omonimo della serie a fumetti horror Dampyr, edito da Bonelli - Michela Murgia fonde insieme anche il costume dei fill'e anima, un istituto simile all'adozione/vendita dei figli da parte di famiglie in stato di necessità, le tradizioni rituali sulle nozze con la preparazione di una corona di pane per la sposa, le superstizioni legate allo spostamento e alle protezioni sui muri di confine tra proprietà fondiarie per mezzo di pratiche al confine con la magia.

Non ci sono molti appigli per collocare cronologicamente la storia, sappiamo che è vicina alla nostra modernità, potrebbe forse risalire agli anni dopo la seconda guerra mondiale, ma la forza con cui si fa sentire l'eredità delle tradizioni sarde la situa in un orizzonte indeterminato, ancora molto vicino a una percezione ancestrale della vita.

La trama presenta una visione matriarcale dell'esistenza, in cui sono le donne, vere protagoniste e depositarie delle scelte e delle responsabilità, a svolgere un ruolo attivo: donna è tzia Bonaria Urrai, sola per fedeltà a un amore mai più ritornato dalla guerra, che adotta Maria Listru sottraendola a una vita senza affetti e in povertà; donna è la madre vera, vedova e rimasta sola con quattro figlie da mantenere, che cede l'ultimogenita, Maria appunto, senza troppi scrupoli e altrettanto affetto; donna è Maria stessa, la protagonista, che dà inizio con la consapevolezza delle colpe a una catena di piccoli eventi con grandi conseguenze, dall'adozione a una fuga, fino a un ritorno che non poteva mancare; donna è infine la bambina torinese, di cui Maria era divenuta governante e la cui fuga apre la strada a una confessione pesante da parte del fratello più grande di lei.

Gli uomini hanno ruoli periferici o comunque non sono reattivi: sono pavidi nei confronti dei sentimenti, come Andrìa Bastìu, o finiscono immobili in un letto come suo fratello Nicola, per aver voluto sfidare la legge degli uomini e quelle delle tradizioni, oppure sono bloccati dalla condizione di vittime ancestrali, come l'adolescente torinese di buona famiglia, poco più giovane di Maria, che si ritrova a esserne tutrice.

Le donne sono la parte attiva della storia: agiscono e sono fattivamente madri, nel senso pieno del termine, realizzano le condizioni dell'esistenza, materiali e spirituali, fino al significato più completo del termine, quello dell'ultima madre, l'accabadora del titolo, che, dando una morte richiesta e desiderata, permette, assumendosene la colpa, alla vita di andare avanti e di rigenerarsi.

Michela Murgia affronta in questo romanzo, che ha tutto il sapore autentico della tradizione sarda, compreso il suo essere apparentemente collocato in una sorta di periferia del tempo e dello spazio, una serie di temi che, a dispetto della patina di piccolo mondo antico, sono di una modernità sconcertante, eppure sfilano davanti agli occhi del lettore con la naturalezza di ciò che esiste da sempre.

L'eutanasia e la difficoltà della vecchiaia si fondono con il tema della maternità, vista nelle due sfaccettature, quella genetica di Anna Teresa Listru o affettiva di tzia Bonaria, un personaggio che di bonario ha ben poco ma è capace di far sentire affetto a una bambina che considerava scontato essere considerata l'ultimo pensiero oltre che l'ultimogenita. Alla scoperta del ruolo quasi di strega, che tzia Bonaria esercita nella piccola comunità di Soreni, appartata dal mondo e ancora sensibile al tepore famigliare di usanze millenarie, Maria reagisce con la fuga, ha paura dell'oscurità del luogo affettivo da cui proviene e soprattutto del ruolo che potrebbe trovarsi spinta a ricoprire come una sorta di eredità.

In più la rottura della fiducia con la madre putativa si interseca anche il legame con la famiglia Bastìu e i due fratelli Andrìa e Nicola, il primo dei quali ha con Maria, di cui è coetaneo, un rapporto quasi simbiotico. In seguito a una vicenda di terra e magia, di confini tra campi spostati con sacrifici rituali e superstizioni ancora vive nella cultura contadina, si creano le condizioni per cui Maria, preda di un comprensibile spavento, rifiuta un'acqua senza pensare che le sarebbe potuto toccare poi di doverla bere, come usa dire tzia Bonaria.

La rappresentazione delle cerimonie della buona morte come una forma di rito catartico e liberatorio e l'uso di un linguaggio semplice e pulito, piano e pregnante insieme, che non cede mai alla tentazione del pietismo compassionevole portano la storia di Maria verso la conclusione e anche la sezione del soggiorno torinese, il cui vincolo narrativo con la struttura principale risulta non privo di deboleze, passa senza creare problemi alla lettura.

Il ritorno - eterno nel suo significato intimo - di Maria a Soreni, pur nella dimensione del dolore, è il simbolo della composizione delle divergenze e delle differenze sulla bilancia degli affetti e del rispetto filiale e anche la catena delle colpe e della catarsi si risolve. L'arrivo nella terra madre si sublima nella presa di coscienza dell'identità tra morte e nascita e chiude il cerchio del ciclo vitale cancellando un allontanamento, che nell'anima non c'era mai stato.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Accabadora
  • Autore: Michela Murgia
  • Editore: Einaudi
  • Data di Pubblicazione: 2010
  • Collana: Numeri Primi
  • ISBN-13: 9788866213116
  • Pagine: 164
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 18,00

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