29 gennaio 2012

Dal libro al (tele)film: Bag of Bones

Mike Noonan, scrittore di bestseller all'apice del successo, perde l’adorata moglie Jo in un incidente stradale. Un test di gravidanza nella borsa della spesa riversa sull'asfalto suggerisce allo scrittore che forse della moglie non sapeva esattamente quanto credeva.
Da quel momento, la sua carriera sembra subire un rapido arresto. Sogni (e soprattutto incubi) ricorrenti e la tenue speranza di poter superare il lutto e riprendere a scrivere lo invogliano a trasferirsi nella residenza al lago dove la moglie trascorreva molto tempo, a poche miglia da Castle Rock: Sara Laughs, così è conosciuta la vecchia casa in legno in cui si è rifugiato, è ancora piena di ricordi di Jo, ma pare giovare all’ispirazione di Mike. Poco dopo il suo arrivo, lo scrittore viene coinvolto in una battaglia legale tra Mattie, bella e giovane madre della piccola Ki, e Max Devore, suo suocero, intenzionato a ottenere la custodia della nipotina. Ma non è tutto: Sara Laughs è sede di misteriosi fenomeni paranormali che mettono Mike sul chi va là. E il lago Dark Score, come scoprirà ben presto lo scrittore, ha inghiottito un numero rilevante di vittime.

Bag of Bones, ancora non disponibile in italiano, è una miniserie americana in due episodi andata in onda su A&E Network nel dicembre 2011, adattamento dell'omonimo romanzo di Stephen King Mucchio d'ossa. Il regista, Mick Gerris, aveva già lavorato con risultati non esattamente soddisfacenti ad altri ben cinque film e miniserie tv tratti da altrettanti romanzi dell'autore americano: I Sonnambuli (Sleepwalkers) nel 1992, film tratto da un romanzo mai pubblicato; L'ombra dello scorpione (The Stand), miniserie in quattro episodi, nel 1994; Shining (The Shining), miniserie in tre episodi, nel 1997; Riding the Bullet, film del 2004; Desperation, film del 2006. Sorte migliore non tocca alla sua ultima fatica, Bag of Bones, ancor più se paragonata al romanzo da cui è tratta (che io considero uno dei migliori, tra quelli più recenti, di Stephen King).

Partiamo dal cast: Mike Noonan è interpretato da Pierce Brosnan (protagonista, tra le altre cose, di ben tre 007 - Goldeneye, Il mondo non basta, La morte può attendere, e anche buon cantante nel film musical Mamma mia!), che non riesce a dare alcuno spessore al protagonista, men che meno a rendere credibile la sua cieca disperazione per la morte della moglie (a tratti appare perfino involontariamente comico). Melissa George (Derailed - Attrazione letale, Turistas, Triangle), che dovrebbe restituire una coraggiosa e amorevole giovane madre, appiattisce il personaggio trasformando Mattie in una goffa e civettuola gallina. Max Devore, uno dei villain più irritanti di King per la sua perfetta plausibilità, è reso da William Schallert (Quantum Leap, Star Trek, The Twilight Zone) un bavoso vecchietto sghignazzante, più simile a un pensionato affetto da demenza senile che all'arzillo e lucidissimo magnate del romanzo. Tra i ruoli minori figurano Annabeth Gish (Colpevole d'innocenza, Mai dire sempre) nei panni di una monoespressiva Jo, Anika Noni Rose (Dreamgirls) come Sara Tidwell, cantante che emerge dalle nebbie del passato e forse personaggio meglio reso di questa miniserie, e infine un inutile e redivivo Jason Priestley nel ruolo di Marty, assistente di Mike, il cui nome è spiattellato nei titoli di testa quasi all'inizio, come se si trattasse di una grande star discesa dall'Olimpo per concedere dieci minuti di dorata interpretazione e non un attorucolo che, dopo Beverly Hills, non è stato in grado di imporsi sul grande schermo né più su quello piccolo.

Non è solo colpa dell'interpretazione monodimensionale del cast se i personaggi della miniserie sono poco più che fantasmi di quelli del libro, s'intende: lo stravolgimento è inevitabile, dal momento che Gerris riassume all'osso il romanzo di King (già notevolmente introspettivo) e trasforma un libro sull'elaborazione del lutto in una banalissima storia di fantasmi. L'essenza del romanzo, poetico e lirico, non viene affatto colta, perché il regista pone l'enfasi sull'elemento sovrannaturale, coadiuvato da effetti speciali nemmeno così ottimi. La stessa storia tra Mike e Mattie, breve ma emozionante, viene restituita in un paio di sterili incontri, e manca del tutto l'affetto paterno del protagonista verso la piccola Ki.

Se lo spettatore si chiede quali saranno i misteri di Dark Score per più di cinque minuti, allora manca davvero di acume: dall'inizio alla fine il film è affollato di scene di bambine che annegano, bambine in decomposizione che emergono dalla vasca o dal lago, bambine terrorizzate che chiedono aiuto, eccetera. Ogni risposta verrà fornita allo spettatore in media tre minuti dopo che la visione avrà instillato in lui un dubbio o una domanda. Nella fattispecie, 166 minuti di pura noia quasi ininterrotta, con un finale che stravolge in modo ridicolo la conclusione commovente del romanzo, uno dei migliori explicit dello scrittore.

D'altronde, cosa ci aspettavamo? King non è (quasi) mai stato fortunato con gli adattamenti televisivi e cinematografici tratti dalle sue opere. Che questa miniserie è una mezza ciofeca se ne sono accorti persino gli americani, come dimostra il calo di quasi mezzo milione di spettatori tra un episodio e l'altro. Gerris, ci vogliamo togliere mano alle miniserie tv tratte dai libri di King? E, già che ci siamo, a che pro scomodare il Boo'Ya Moon di Duma Key?



Il trailer americano del film

L'edizione italiana del libro

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