L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine?
Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
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«"Natale non sarà Natale senza regali", borbottò Jo, stesa sul tappeto.
"Che cosa tremenda esser poveri!", sospirò Meg, lanciando un'occhiata al suo vecchio vestito.
"Non è giusto, secondo me, che certe ragazze abbiano un sacco di belle cose e altre nulla", aggiunse la piccola Amy, tirando su col naso con aria offesa.
"Abbiamo papà e mamma, e abbiamo noi stesse", disse Beth, col tono di chi s'accontenta, dal suo cantuccio.
I quattro giovani visi, illuminati dalla vampa del caminetto, s'accesero alle consolanti parole, ma tornarono a oscurarsi quando Jo aggiunse tristemente: "Papà non l'abbiamo e non l'avremo per un bel pezzo". Non disse "forse mai più", ma ognuna, in cuor suo, lo pensò, andando con la mente al padre lontano sui campi di battaglia."»
«Venti minuti a mezzanotte. Sono sotto la pioggia davanti alla casa di un ricco banchiere di Las Vegas.
Controllo in tasca. C'è tutto quello che mi serve. Foto. Chiavi della macchina. Orologio d'argento da taschino.
La pistola soprattutto.
Perché mi è stato chiesto di uccidere un uomo.
E io ho detto: "Sì".»
«Biancaneve è stata sette anni in una bara.
Però lei dormiva, non se n’ è neanche accorta.
E poi la bara era di cristallo, se apriva gli occhi vedeva tutto.
La mia non è una bara, è una stanza. Ma buia, con i muri sporchi e ragni grossi come rospi.
E io non sono Biancaneve, non ce la faccio a dormire. Se capita faccio brutti sogni.
Dentro c’è sempre lui. Lui, e il gridare cattivo di quelle papere grosse, grigie e verdi. Le ho viste di sfuggita una volta. Trascinano la coda, non è vero che fanno la ruota.
I miei sogni fanno paura. Chissà se Biancaneve ce li aveva dei sogni così. Secondo me no, altrimenti si svegliava.
Sono stufa di respirare l’aria della stanza. E’ piena del suo alito. Gliel’ho detto che non mi piace. Dice che non riesce a digerire. Per forza, mangia schifezze. E le dà anche a me. Mammina non vuole che si mangino quelle cose. Fanno diventare brutti. E infatti lui è brutto. Con le mani coperte di peli e le labbra grosse. Però non è verde. Mammina dice che le patatine del sacchetto fanno diventare verdi. Lui è grigio. Ma anche un po' giallo. Giallino. Come la paglia.
E ha le mani fredde. Fortuna che non mi tocca mai.
“Prima devi diventare una principessa. Dopo ti sposo.”
Io non voglio diventare una principessa, e neanche sposarmi.»
«-Sally.
Un borbottio.
-Svegliati, Sally.
Un borbottio più forte: 'sciami in pace
La scosse più bruscamente.
-Svegliati. Devi svegliarti!
Charlie.
La voce di Charlie. La stava chiamando. Da quanto tempo?
Sally emerse dal sonno.
Prima guardò la sveglia sul comodino e vide che erano le due e un quarto. Charlie non sarebbe dovuto neppure essere lì: aveva il turno di notte. Poi lo guardò per bene per la prima volta e sentì qualcosa che le balzava dentro, un'intuizione funesta.
Suo marito era pallido come un morto. Aveva gli occhi fuori dalle orbite. Le chiavi dell'auto in una mano. Con l'altra continuava a scuoterla, benché ormai avesse gli occhi ben aperti. Sembrava che non riuscisse a rendersi conto che si era svegliata.
-Charlie, che cosa c'è? Che cosa succede?
Era come se lui non sapesse che cosa dire. Il suo pomo d'adamo continuava ad andare su e giù, ma nel piccolo bungalow non si sentiva altro suono che il ticchettio della sveglia.
-Un incendio?- gli domandò stupidamente. Che cosa altro avrebbe potuto ridurlo così? I genitori di Charlie erano morti nell'incendio di un palazzo.
-In un certo senso,- rispose lui. -In un certo senso è peggio. Devi vestirti, amore. Prendi Baby La Von. Dobbiamo andarcene.
-Perché?- chiese lei, scendendo dal letto. Una paura nera l'aveva attanagliata. Niente sembrava normale. Era come un sogno. -Dove? Dici nel cortile?- ma sapeva che non intendeva il cortile. Non aveva mai visto Charlie così terrorizzato. Aspirò profondamente e non sentì odore di fumo o di bruciato.»
«Io sono un gatto. Un nome ancora non ce l'ho.
Dove sono nato? Non ne ho la più vaga idea. Ricordo solo che miagolavo disperatamente in un posto umido e oscuro. E' lì che per la prima volta ho visto un essere umano. Si trattava di uno di quegli studenti che vivono a pensione presso un professore - mi hanno poi detto - e che fra tutti gli uomini sono la specie più perversa.
«Sono nata il 9 gennaio 1908, alle quattro del mattino, in una stanza dai mobili laccati in bianco che dava sul boulevard Raspail. Nelle foto di famiglia fatte .'estate successiva si vedono alcune giovani signore con lunghe gonne e cappelli impennacchiati di piume di struzzo, e dei signori in panama, che sorridono a un neonato: sono io. Mio padre aveva trent'anni, mia madre ventuno, e io ero la loro primogenita. Volto una pagina dell'album; la mamma tiene in braccio un neonato che non sono io; io porto una gonna pieghettata e un berretto, ho due anni e mezzo, e mia sorella è appena nata. A quanto pare, io ne fui gelosa, ma per poco. Per quanto lontano riesco a spingere la memoria, ero fiera d'essere la più grande: la primogenita. Mascherata da Cappuccetto rosso, con la focaccia e il burro nel panierino, mi sentivo più interessante d'una lattante chiusa nella sua culla. Io avevo una sorellina, ma lei non aveva me.»
«L’annuale party di beneficenza organizzato da quegli iperattivi di Pediatria mi ricorda puntualmente che. in qualità di specializzanda in Medicina Legale, mi trovo – senza alcuna chance di progressione verticale – all’ultimo gradino della piramide alimentare della Medicina. Gli altri, ossia tutti gli altri medici, sono convinti di esserne al vertice.
Imbevuti di maratone di ER, hanno una distorta percezione della loro realtà professionale e nessuno si prende la briga di spiegare, per esempio, a uno sfigato qualunque di Pediatria che lui non ha niente a che vedere con George Clonney. Non che io abbia a che vedere con CSI, perché nel mio terrificante Istituto, il grande santuario dell’umiliazione intesa come sport, il ruolo dello specializzano, e il mio nella fattispecie, è concepito alla stregua della carta igienica. Anzi, peggio, perché la carta igienica ha una qualche utilità. Non c'è possibilità che a una specializzanda del mio rango venga affidato un grosso caso di quelli che finiscono sui giornali.
Pertanto, irrisa dai colleghi che giocano al Dr House ed esclusa da quelli che si sentono protagonisti di un romanzo della Cornwell, non posso che considerarmi un'appendice vermiforme della medicina legale.
Forse è per questo che, da sempre, il party di raccolta fondi per la ricerca contro le malattie neurologiche pediatriche è in assoluto la circostanza più rovinosa del mio anno solare.»
«Elspeth died while Robert was standing on front of a vending machine watching tea shoot in a small plastic cup.
Later he would remember walking down the hospital corridor with the cup of horrble tea in his hand, alone under the fluorescent lights, reatracing his steps to the room where Elspeth lay surrounded by machines. She had turned her head towards the door and her eyes were open; at first Rober thought she was conscious.»
«DUE PAROLE DA PARTE DELLO CHEF
Non fraintendetemi: io amo il mondo della ristorazione. Diavolo, ne faccio ancora parte - sono chef da una vita, addestro secondo i canoni della tradizione classica, e nel giro di un'ora starò probabilmente rosolando le ossa per la demi-glace e facendo a pezzi filetti di manzo in una scalcagnata cucina a sud di Park Avenue.
Non sto per vuotare il sacco su tutto quello che ho visto, imparato e fatto nella mia lunga e documentata carriera di lavapiatti, sguattero, addetto alla friggitrice e poi al grill, salsiere, sous-chef e chef solo perché sono furioso contro il sistema o perché voglio sconvolgere i clienti che stanno cenando. E vorrei continuare a fare lo chef anche dopo che questo libro sarà stato pubblicato, perché questa vita è l'unica che conosco davvero. Se dovessi aver bisogno di un favore alle quattro del mattino, che si tratti di un prestito al volo, di una spalla su cui piangere, di un sonnifero, di soldi per la cauzione o semplicemente di qualcuno che mi venga a recuperare in auto in un quartiere malfamato sotto una pioggia battente, io non mi rivolgerei di sicuro a un collega scrittore. Chiamerei il mio sous-chef, o uno che lo è stato in passato, o il mio salsiere, qualcuno con cui lavoro o ho lavorato nel corso degli ultimi vent'anni.»
«Marsiglia, ai primi di germinale. (Fine marzo 1794, secondo l'antiquato calendario di mamma)
Io sono convinta che una donna può ottenere molto da un uomo quando possiede un bel seno rotondo. Mi sono proposta, per questo, d'imbottirmi per bene la scollatura con quattro fazzoletti, domani, così da acquistare l'apparenza di una signorina cresciuta. Io sono già cresciuta, e del tutto, naturalmente; ma è una cosa che so soltanto io, e ancora non la mostro a chi mi guarda.
Nel novembre scorso ho compiuto quattordici anni e papà, per il mio compleanno, mi ha regalato questo bel diario. Certo è un peccato riempire di scrittura queste delicate pagine bianche. E questo mio libro è anche munito di una piccola serratura, così che lo posso chiudere a chiave. Neppure mia sorella Julie saprà quello che vi sarà scritto.
È stato l'ultimo regalo del mio caro papà.
Il mio papà era il negoziante di sete François Clary di Marsiglia, ed è morto due mesi fa di polmonite.
«E che cosa devo scrivere in questo libro?» gli domandai un po' confusa. Papà sorrise e mi baciò sulla fronte.
«La storia della cittadina francese Bernardine Eugénie Désirée Clary» rispose e, improvvisamente, mi accorsi dalla sua faccia che era commosso.»
Bourdain è mitico.
Il primo libro l'ho letteralmente ingoiato, e va letto. Il secondo no, per niente ;)