4 dicembre 2009

Il cinese - Henning Mankell

In una fredda giornata di gennaio, un lupo affamato arriva a Hesjövallen, nel nord della Svezia. Sente l’odore del sangue. Nel villaggio ci sono i corpi di diciannove persone: di fronte a una strage così feroce e assurda, la polizia pensa al gesto di uno squilibrato. Può davvero la follia essere così ben pianificata? Il giudice Birgitta Roslin non lo crede e, in nome del legame che la unisce ad alcune delle vittime, decide di occuparsi del caso.
Seguendo la pista di un nastro di seta rossa ritrovato nella neve, unica traccia in un’indagine che sembra senza via di uscita, Birgitta arriva a Pechino, alla ricerca del nesso misterioso tra un diario scritto più di cento anni prima e la violenza senza senso che si è scatenata in quello sperduto villaggio.
Coinvolta in un diabolico conflitto intestino al governo, dove in gioco ci sono la supremazia e l’assetto del paese, Birgitta dovrà confrontarsi con le nuove forze al comando nella Cina che si prepara alle Olimpiadi, novelli mandarini pronti a rivendicare il loro posto sulla scena internazionale, e constatare cosa può succedere quando una grande potenza non ha risolto la questione della democrazia.
Considerato dalla stampa svedese tra le migliori opere di Mankell, Il cinese è un thriller politico che tocca tutti i temi a lui più cari, una storia di soprusi e vendetta, dove gli errori del passato riemergono in un presente di sconvolgenti lotte di potere.

Recensione

Il mio primo libro di Mankell non è uno della serie dei gialli con protagonista il commissario Wallander: si tratta invece di una spy story con risvolti famigliari piuttosto particolari, che ha fatto storcere il naso ai puristi del genere poliziesco e agli aficionados del detective svedese.

Il risultato è un incrocio, a parere di chi scrive piuttosto originale, tra storia famigliare e intrigo internazionale. La sua originalità sta nel fatto che Mankell pone al centro del confronto narrativo il rapporto che hanno con le proprie radici due personaggi molto distanti tra di loro, e non solo geograficamente, un magistrato svedese donna, l'idealista Birgitta Roslin, e un tycoon cinese, alfiere del capitalismo comunista aggressivo e neocolonialista.
La prima cerca di recuperare un passato attraverso il legame indiretto con i nonni adottivi, vittime del massacro feroce di Hesjovallen, con la cui descrizione si apre il racconto in un panorama innevato e attutito, turbato da sangue e arti maciullati e sparsi con crudeltà ferina. Il giudice Roslin si tuffa gradualmente nelle indagini, con la sensazione di scorgere un nesso tra la sua storia personale e la strage: è già madre e si avvia verso la vecchiaia. La ricerca della verità, nella sua dimensione più semplice - e per questo più pericolosa - le serve, in parte inconsciamente, ad affrontare il proprio passato, il rapporto con il marito Staffan, la ribellione giovanile negli anni della contestazione, e a trovare un orizzonte per il futuro.
Diversamente l'affarista cinese, che ha trovato in un vecchio diario di famiglia la cronaca delle disavventure americane di un avo vissuto all'epoca del far west e delle ferrovie coast-to-coast, tra schiavismo e vessazioni da parte dei bianchi dominanti, cerca nella vendetta una sorta di pacificazione con un passato lontano, quello delle tradizioni e delle origini ancestrali, allo scopo di raggiungere un equilibrio necessario al grande balzo, insieme suo e della Cina.

L'accostamento tra queste due dimensioni famigliari, quella svedese e occidentale, problematica e incerta, quella cinese e orientale, apparentemente solida e sicura diventa possibile nella prospettiva della mondializzazione: altrimenti non sarebbe possibile passare dagli inizi del XIX secolo al 2006, dal Nevada alla Svezia, da Harare a Pechino. Il libro affronta una delle paure più radicate nella nostra società: l'assedio da parte del diverso nella sua veste di straniero e ci sottopone l'urgenza di un confronto con questo problema e con tutto ciò che riguarda il progressivo e innegabile sfarinamento della nostra identità culturale, sociale e civile.

Perché nel giro di poco tempo il rischio è quello di rimanere isolati: questo indica tutto quanto succede, con spunti plausibili se non realistici, nelle aree periferiche e poco presenti all'attenzione dell'opinione pubblica occidentale, se non per raccolte fondi e assistenza umanitaria alla meno peggio, dell'Africa subsahariana.

La costruzione della storia è solida e procede pur lentamente verso un epilogo che per quanto atteso riserva comunque delle sorprese. Tre blocchi narrativi si succedono dalla Svezia del massacro nella dimensione della cronaca, a un giro intorno al mondo tra paure e disillusioni di un cinese vissuto nel XIX secolo in flashback attraverso un diario, alla Cina dei giorni nostri in viaggio verso il futuro come una locomotiva. A queste tre sequenze si aggiunge, come appendice dell'ultima, una sorta di safari nello Zimbabwe di Mugabe, un tuffo nell'attualità più cruda.

Oltre ai temi dell'espansionismo capitalista cinese, della sostenibilità dello sviluppo e della crescita umane e dei destini del continente africano, sempre legato al ruolo di serbatoio di risorse, umane e materiali, il romanzo di Mankell propone degli spunti interessanti nel confronto tra i due protagonisti, il giudice svedese e l'uomo d'affari cinese.
Il magistrato è caratterizzato in modo molto approfondito, riesce facile immaginarne il volto tanto sono scandagliati ed esplorati tutti gli aspetti della sua vita, privata, lavorativa e affettiva. Il suo bisogno di impegolarsi in una vicenda, che tutto sommato la riguarda solo marginalmente, è profondamente umano, così come lo è il suo slancio nell'affrontare il rischio di un'indagine incosciente e dilettantesca: è il giudice idealizzato, in alto sullo scranno del tribunale, con la facoltà di decidere delle vite degli individui, ma non troppo distante e irraggiungibile. Anzi il suo potere discreto è rivolto a un'etica calvinista del servizio e trova la sua giustificazione proprio nella capacità di calarsi nei panni delle persone.
Agli antipodi c'è l'affarista di Pechino, privato di ogni umanità, il cui senso della famiglia è in realtà inesistente, che guarda il mondo dall'alto del suo attico in un grattacielo della capitale cinese. Non si assume la responsabilità di giudicare, non ha nessuna guida etica: l'unico valore che lo spinge è il raggiungimento dei suoi obiettivi, che solo in parte coincidono con quelli dell'intelligentja del Paese. La vendetta per lui è poco più che un tassello nel gioco di equilibri di potere: da questo punto di vista il suo personaggio risulta più condizionato da clichè, ma rispetta comunque il suo ruolo di contraltare al giudice Roslin.

E dopo un'accelerazione improvvisa e quasi parossistica - visto che per il resto il ritmo non era, né necessitava essere, concitato - la conclusione chiude ogni conto sospeso con il passato, in un equilibrio meritato e non definitivo tra gli opposti. Lo Yin e lo Yang sono pari e palla al centro: non per questo, come diceva Mao Tse Tung, cesserà di esserci confusione sotto il cielo. Com'è giusto che sia.

Dettagli del libro

  • Titolo: Il cinese
  • Titolo originale: Kinesen
  • Autore: Henning Mankell
  • Traduttore: Giorgio Puleo
  • Editore: Marsilio
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • ISBN-13: 9788831797870
  • Pagine: 592
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 19,00

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