12 luglio 2009

Il revisionista - Giampaolo Pansa

"Siete voi giovani che dovete tirare i sassi nei vetri. Così, quando i vetri si rompono, noi vecchi ci rendiamo conto che era il momento di cambiarli. Per ringraziarti, mio caro spaccavetri, ti darò una borsa di studio." Così, nel maggio 1959, Ferruccio Parri si rivolgeva a un giovane di ventitré anni, non ancora laureato: quel giovane era Giampaolo Pansa. In questo libro il giornalista racconta la sua avventura umana e intellettuale, nata nel segno della nonna, Caterina Zaffiro vedova Pansa, che con il suo fastidio per comunisti, democristiani e fascisti è stata, senza saperlo, un esempio di revisionismo anarchico imposto dalla povertà. Dalle stregonerie di nonna Caterina si passa all'infanzia nella guerra civile. Giampaolo aveva otto anni, e con la memoria dei bambini ha fotografato quel tempo: i partigiani fucilati, i fascisti ammazzati, ma anche le ragazze che ballavano nude ai festini dei tedeschi e poi alle baldorie degli americani. Il destino di Pansa si compie quando, dopo le mille pagine della tesi sulla guerra partigiana tra Genova e il Po, viene assunto alla "Stampa". Decenni di lavoro nei grandi giornali, di incontri con i big politici e i direttori famosi, che l'autore narra nei loro lati nascosti: Giulio De Benedetti, Italo Pietra, Alberto Ronchey, Piero Ottone, Eugenio Scalfari e Claudio Rinaldi.

Recensione

Il libro con cui Pansa pone fine - almeno per il momento - alla lunga e dibattuta querelle su revisionismo storico e resistenza partigiana alla fine della guerra civile italiana è indubbiamente ben scritto, scorrevole e interessante. Difficilmente avrebbe potuto essere altrimenti, stante il consumato mestiere dell'autore, la sua pratica cinquantennale dei salotti buoni del giornalismo italiano, il suo acume critico e la conoscenza analitica delle vicende storiche di cui si propone di effettuare, o meglio di auspicare, una riconsiderazione "revisionista".

Si tratta in effetti di un lungo racconto romanzato, molto autobiografico, che spiega il legame profondo e personale tra il giornalista e storico non accademico, come lui stesso si definisce, e la categoria storica del revisionismo. In diversi punti si corre il rischio di passare dalla linea apologetica all'autoincensamento spudorato: ma in fondo stiamo parlando di uno dei grandi vecchi del giornalismo italiano.

L'aspetto più scottante - soprattutto dal punto di vista dell'attualità politica - è l'uso certamente strumentale della memoria storica per fini che poco hanno a che vedere con tante nobili motivazioni ideali. Personalmente non credo che questo genere di libri possa essere di aiuto a un processo di ripensamento degli anni tra il 1943 e il 1948, in cui si sono poste le fondamenta della Repubblica Italiana, soprattutto per via delle polemiche, queste -sì- ancora genuinamente partigiane, che fatalmente tali pamphlet generano.

Il revisionista di Pansa si colloca in parte fuori da questa linea per il suo tono di amarcord amaro e malinconico (dove l'abbia vista l'autore della quarta di copertina l'allegria rimane per me un mistero), per tutto il cotè aneddotico che rivela in tante piccole gemme incastonate qua e là nei rivoli della disputa storica. Ma proprio questo suo voler essere bastione della verità e dell'imparzialità per ragioni biografiche, Pansa rientra in pieno nella faziosità della polemica, più giornalistica che storiografica. Forse non è ancora possibile per una certa fascia di età guardare alcuni passaggi della storia patria, certo non tra i più fulgidi, in modo spassionato: basta vedere come ancora si usino a mo' di clava - e in termini ampiamente bipartisan - certe categorie tra la storia e la politica.
Forse la generazione attuale o la prossima potranno rivedere, o revisionare, queste pagine oscure che avviluppano la notte del regime fascista, della Rsi, delle foibe, del terrorismo rosso e nero con una luce più giusta, più obiettiva. Potranno dipanarne i fili dalla matassa complessa e intricata, aiutati da una giusta distanza.
E non si potrà non tenere conto anche dei libri di Pansa, da I figli dell'aquila e Il sangue dei vinti, a I gendarmi della memoria fino al Revisionista e della vexata quaestio che ne è scaturita a riguardo della vulgata su resistenza partigiana, antifascismo e valori repubblicani.
Perché saranno dei documenti, tra i tanti, utili per la ricerca storiografica e politica, per i retroscena sulle dinamiche relative al mondo dell'informazione giornalistica (le testimonianze dirette sulla posizione della stampa riguardo l'antifascismo, le lunghe parti sulla nascita di "Repubblica" e sulla guerra di Segrate per la Mondadori), nonostante il sospetto che dietro questa cascata di libri ci sia una furba regia editoriale.

Utili, si diceva, per una ricerca storiografica che sia fatta da chi non possa più cadere nelle tentazioni di ricorrere all'ipotesi complottarda, come Pansa adombra sornione, per il golpe del generale Borghese nel 1970; da chi non possa considerare personale invece che politico il problema dei vari cambiamenti di posizioni del PCI italiano su Tito e le varie invasioni nella cortina di ferro; da chi infine non si esponga all'accusa di conflitto d'interesse - altro leit motiv nella politica italiana - per le vicende di un film/fiction tratto da Il sangue dei vinti in una Rai lottizzata e faziosa.

Dettagli del libro

  • Titolo: Il revisionista
  • Autore: Giampaolo Pansa
  • Editore: Rizzoli
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: Rizzoli Best
  • ISBN-13: 97888317030403
  • Pagine: 482
  • Formato - Prezzo: Rilegato, sovraccoperta - 22,00 €

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