1 agosto 2016

La vetrina degli incipit - Luglio 2016

L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine? Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...





«Il giornale radio di questa mattina è ritornato sulla questione dei mendicanti: quegli accattoni, quei pelandroni, quegli scansa fatica, quei lebbrosi, quei minorati fisici, quegli straccioni, sono larve umane che danno fastidio e ingombrano il traffico! Occorre ripulire la città da quei rifiuti umani che ti assalgono e ti aggrediscono ovunque e in qualsiasi momento. Agli incroci, devi sperare d’arrivarci sempre col verde! Ma, una volta passato l’ostacolo del semaforo, devi superare un’altra barriera per raggiungere l’ospedale, forzare uno sbarramento per poter andare a lavorare in ufficio, lottare per svincolarti da loro mentre esci da una banca, fare innumerevoli giri per evitarli nei mercati e, alla fine, pagare una taglia per accedere alla casa di Dio. Ah!»
La solitudine di Mour che aveva due mogli, di Aminata Sow Fall - Antonio

«Solo altri venti metri, venti piccoli metri da percorrere per raggiungere la cassetta postale: era più difficile del previsto. Ridicolo, pensò lei, non ci sono metri piccoli e metri grandi. Ci sono metri e basta. Strano come alle soglie della notte, e dall’alto di quella posizione, ci ostiniamo a pensare a futili scempiaggini mentre in teoria dovremmo enunciare qualche poderosa massima destinata ad imprimersi a caratteri di fuoco negli annali della saggezza dell’umanità. Massima che poi passerà di bocca in bocca: «Sapete quali furono le ultime parole di Alice Gauthier?»
Se lei non aveva nulla di memorabile da dichiarare, aveva però un messaggio decisivo che si sarebbe impresso negli annali dell’umanità, infinitamente più corposi di quelli della saggezza. Guardò la lettera che le tremava in mano. Forza, sedici piccoli metri. Dalla porta dello stabile Noémie la teneva d’occhio pronta a intervenire se solo avesse barcollato un po’. Noèmie aveva fatto l’impossibile per impedire alla paziente di avventurarsi in strada da sola ma con il suo carattere imperioso Alice Gauthier l’aveva spuntata.
»
Tempi glaciali, di Fred Vargas - Cattivissimaprof

«Già in altri tempi si diceva la collina come avremmo detto il mare o la boscaglia. Ci tornavo la sera, dalla città che si oscurava, e per me non era un luogo tra gli altri, ma un aspetto delle cose, un modo di vivere. Per esempio, non vedevo differenza tra quelle colline e queste antiche, dove giocai bambino e adesso vivo: sempre un terreno accidentato e serpeggiante, coltivato e selvatico, sempre strade, cascine e burroni. Ci salivo la sera come se anch'io fuggissi il soprassalto notturno degli allarmi, e le strade formicolavano di gente, povera gente che sfollava a dormire magari nei prati, portandosi il materasso sulla bicicletta o sulle spalle, vociando e discutendo, indocile, credula e divertita.
Si prendeva la salita, e ciascuno parlava della città condannata, della notte e dei terrori imminenti. Io che vivevo da tempo lassù, li vedevo a poco a poco svoltare e diradarsi, e veniva il momento che salivo ormai solo, tra le siepi e il muretto. Allora camminavo tendendo l'orecchio, levando gli occhi agli alberi familiari, fiutando le cose e la terra.
Non avevo tristezze, sapevo che nella notte la città poteva andare tutta in fiamme e la gente morire. I burroni, le ville e i sentieri si sarebbero svegliati al mattino calmi e uguali. Dalla finestra sul frutteto avrei ancora veduto il mattino.
»
La casa sulla collina, di Cesare Pavese - Sakura

«Era stata una bella corsetta, tutto sommato, almeno finché non erano spuntati i coltelli e i tirapugni. Avevo messo la sveglia all’alba, come facevo ormai da un mese, e mi ero preparato per la mia corsa mattutina. Niente di speciale, una decina di chilometri al Parco Sempione, ma volete mettere la tranquillità alle 6.30 del mattino? Era stato Gip a convincermi. Diceva che dopo i fatti dell’anno prima, quando avevo rischiato la pelle per ritrovare Monica Ferreri, e soprattutto dopo la morte di Costanza, avevo bisogno di tirarmi su. «Se vuoi ti rimetto in sesto io» mi aveva detto. «Se non vuoi, va bene uguale. Ma scordati la mia faccia.» Sempre stato uno di poche parole, Gip. Poche, ma buone. Infatti non aveva tutti i torti. Avevo iniziato a bere qualche bicchiere di troppo, esageravo con le sigarette, dormivo poco e mangiavo male. E poi c’erano le pasticche che quel farabutto di Tyson mi procurava ogni volta che gliele chiedevo. Insomma, mi ero infilato dritto dritto sulla classica brutta china. »
Non guardare nell'abisso, di Massimo Polidoro - Daniele

«"In una bella casa, in una bella zona della cittadina - la cittadina di Nolgate, sede del penitenziario di stato - il dottor Munck esaminava il giornale della sera mentre la sua giovane moglie se ne stava sdraiata su un sofà lì vicino, scorrendo pigramente la sfilata di colori di una rivista di moda. La loro figlia Norleen dormiva al piano di sopra, o forse si stava godendo di straforo una sessione fuori orario con la nuova televisione che aveva ricevuto in regalo per il suo compleanno la settimana precedente. In tal caso, la sua trasgressione passò inosservata dai suoi genitori in salotto, dove tutto taceva. Il quartiere intorno alla casa era silenzioso come sempre, giorno e notte. Tutta Nolgate era silenziosa, visto che non era un posto di grande vita notturna, a parte forse il bar dove le guardie penitenziarie della prigione si riunivano. Una tale quiete initerrotta rendeva nervosa la moglie del dottore nei confronti della sua vita rinchiusa in un luogo che sembrava distante anni luce dalla più vicina metropoli. Ma fino a quel momento Leslie non si era lamentata della sonnolenza delle loro routine. Sapeva che suo marito era molto devoto alle sue responsabilità professionali connesse al nuovo posto di lavoro.Quella sera, tuttavia, stava mostrando più dei sintomi di disillusione rispetto al lavoro di quanto lei fosse stata in grado di osservare in lui con attenzione ultimamente.
"Com'è andata oggi, David?" gli chiese, mentre i suoi occhi raggianti facevano capolino sopra il bordo della rivista, sulla cui copertina un altro paio di occhi irradiavano uno sguardo luccicante. "Sei stato particolarmente silenzioso a cena."
"Più o meno come sempre," rispose il dr. Munck senza abbassare il quotidiano della piccola cittadina per rispondere allo sguardo della moglie.
"Intendi dire che non hai voglia di parlarne?"
Lui ripiegò il giornale, facendo emergere alla vista il suo torso. "Suonava proprio così, non è vero?"
»
I canti di un sognatore morto, di Thomas Ligotti - Polyfilo

«Lo spettacolo per il quale Briony aveva ideato le locandine, programmi e biglietti, costruito il botteghino con un paravento sbilenco e foderato di carta rossa la cassetta dei soldi, era opera sua, frutto di due giornate di una creatività tanto burrascosa da farle saltare una colazione e un pranzo. Quando ebbe concluso i preparativi, non le restò altro da fare che contemplarne la stesura definitiva e aspettare di veder comparire i suoi cugini dal lontano nord. Ci sarebbe stato un solo giorno di tempo per le prove, prima dell’arrivo di suo fratello. A tratti pungente, spesso disperatamente triste, il dramma narrava una storia di cuore il cui messaggio, racchiuso nel prologo in rima, era che un amore non costruito su fondamenta di grande buonsenso ha il destino segnato. La sconsiderata passione dell’eroina per un malvagio conte straniero naufraga nella sventura allorché la protagonista, Arabella, contrae il colera durante una corsa precipitosa verso una cittadina di mare in compagnia del suo promesso. Abbandonata da lui come da tutti gli altri, costretta a letto in una soffitta, la protagonista scopre in se stessa la forza dell’ironia. La sorte le offre una seconda occasione nella persona di un medico in ristrettezza economiche – in realtà, un principe sotto le mentite spoglie che ha deciso di lavorare tra i bisognosi. L’uomo la guarisce e Arabella, che questa volta sceglie con giudizio, è ricompensata dalla riconciliazione con la sua famiglia e dalle nozze col principe-dottore in una «ventosa giornata di sole primaverile».»
Espiazione, di Ian McEwan - Chiara A.

«9 aprile 2006.

Antonio dalla moto grida: “Spara! Sparaaaa!” La donna con il casco rimane immobile, il mitra puntato verso Chialastri, urla: “Ma chi cazzo è questo? Se non sparo siamo nella merda”. Massimiliano sente un nodo alla gola. Guarda Pierfrancesco e lo rivede adolescente, insanguinato, con l’arcata sopracciliare spaccata. Poi gli sembra di vedere Chialastri in divisa e gli si mozza il respiro. “Massimiliano, non è vero!” grida Pierfrancesco. “Non crederai mica a lui! Tu lo sai! Lo sai! Io non avrei mai fatto niente del genere a… dopo quello che è successo al… parco… Devi credermi”. La voce di Pierfrancesco si spegne in un fiato tremante. Massimiliano ha la pistola puntata su Chialastri, i pantaloni chiari bagnati all’interno. Guarda negli occhi Margherita. “Perché? Ritina, perché?” La voce di Massimiliano si rompe in singhiozzi.
»
Sangue del suo sangue, di Gaja Cenciarelli - Il gatto Zorba

0 Commenti a “La vetrina degli incipit - Luglio 2016”

Posta un commento

 

La Stamberga dei Lettori Copyright © 2011 | Template design by O Pregador | Powered by Blogger Templates