19 ottobre 2012

Angolotesti: "La compagnia dei lupi" di Angela Carter

Dopo lunga assenza torna oggi la rubrica Angolotesti, una selezione di testi letterari o poetici nella loro interezza con una breve contestualizzazione perché possiate meglio apprezzarli.
Il racconto proposto oggi è incluso nella raccolta La camera di sangue, pubblicata da Feltrinelli nel 1995 e ormai fuori catalogo. L'autrice, Angela Carter, è generalmente studiata nel contesto degli
woman studies, ossia quel movimento di messa in discussione del canone che - volendo semplificare - ristudia, riscopre e riscatta la letteratura femminile.
L'antologia in questione riflette perfettamente la volontà di sovvertimento dell'autrice: si tratta infatti della riscrittura di alcune celebri fiabe, e la fiaba, com'è noto, è uno dei generi misogini e patriarcali per eccellenza. Tutte le fiabe riscritte dalla Carter sono pervase riferimenti sessuali, ora palpabilissimi, ora solo accennati, e La compagnia dei lupi (da cui è anche stato tratto un film) non fa eccezione: l'autrice riprende il
Cappuccetto rosso di Perrault, storia che già nell'ambito degli studi sulla letteratura per l'infanzia è da decenni decostruita e analizzata nei suoi riferimenti sessuali più oscuri, e mette in evidenza proprio questi ultimi. In seguito a una panoramica sulla figura del lupo/lupo mannaro, che sfuma dalla sociologia al mito, il racconto si innesta sulla storia di una ragazzina alle soglie della pubertà (ha recentemente avuto il suo menarca, ben simboleggiato dallo scialle rosso che la nonna le ha donato), priva di paure proprio in virtù della sua innocenza e verginità. Il cacciatore che la mette in guardia dall'avventurarsi nel bosco è proprio il lupo, il predatore interessato alla sua carne - in ogni senso. Ma il Cappuccetto rosso della Carter non è ingenuo e smaliziato come la sua antenata della fiaba di Perrault, e farà di tutto per cadere volontariamente tra le zampe amorevoli del suo lupo.



La compagnia dei lupi


   C'è un solo animale, uno solo, che urla nei boschi la notte.
  Il lupo, incarnazione di ogni carnivoro, è astuto quanto feroce; ma se assaggerà la carne dell'uomo, allora non vorrà più toccare altro cibo.
   La notte, gli occhi dei lupi brillano come le fiamme ora gialle ora rosse di una candela, e questo accade perché hanno pupille che il buio alimenta e che sanno carpire la luce della lanterna che stringi e rimandartene il lampo - rosso come il pericolo; e quando gli occhi di un lupo riflettono invece la luna, allora scintillano di un verde freddo e innaturale, un colore metallico e penetrante. Se il viaggiatore sorpreso dall'imbrunire all'improvviso scorge, cuciti alle foglie nere degli arbusti, quei due lumini agghiaccianti, allora sa che è il momento di correre, ammesso che la paura non ne abbia già fatto un blocco di sale.
   Ma quegli occhi sono tutto ciò che ti sarà dato di intravedere degli assassini della foresta che intanto, invisibili, si fanno intorno al tuo odore di carne, mentre incauta ti attardi nel bosco. Saranno come ombre, fantasmi, grigi membri della setta dell'incubo; ah! quell'urlo prolungato, tremolante... è la melodia della paura fatta realtà.
   Il canto del lupo è il suono di carne strappata, un omicidio in sé.
   È inverno e fa freddo. In questa regione di monti e foreste, non è rimasto più nulla da mangiare per i lupi. Pecore e capre sono al sicuro dentro le stalle, i cervi sono partiti seguendo avanzi di pascoli sulle pendici meridionali - i lupi si fanno magri, hanno sempre più fame. Han così poca carne intorno alle ossa che potresti contargli le costole sotto il pelo, se te ne dessero il tempo prima di saltarti addosso. Quelle fauci affamate; la lingua che penzola; i fiocchi di bianca saliva sul muso irto di peli grigi - di tutti i pericoli che infestano il bosco di notte, fantasmi, folletti cattivi, orchi che fanno i bambini alla griglia, streghe che invece li ingrassano dentro alle gabbie per i loro banchetti cannibali, il lupo è il peggiore perché non sente ragione.
   Sei sempre in pericolo nella foresta, dove non c'è nessuno. Inoltrati sotto i cancelli dei grandi pini i cui rami spogli ti si avvolgono intorno, e fanno inciampare il piede del viaggiatore incauto, come se la vegetazione stessa fosse in complotto col lupo che abita nella foresta, come se gli alberi infidi andassero a caccia per conto dei loro amici - inoltrati tra i cancelli della foresta con la più grande trepidazione e infinita prudenza, perché basterà lasciare il sentiero un istante, e il lupo ti divorerà. Sono grigi come la fame, cattivi come la peste. I bambini dagli occhi seri dei rari villaggi qui intorno si portano sempre il coltello quando vanno al pascolo con le sparute greggi di capre che danno alla casa il dono di latte cagliato e di un formaggio forte e pieno di vermi. Hanno coltelli grossi metà di loro, e ne affilano tutti i giorni la lama.
   Ma i lupi lo sanno come arrivare fino al tuo focolare. Facciamo di tutto, ma non riusciamo a tenerli lontani. Non passa notte d'inverno senza che montanari temano di vedere il grigio muso affamato rovistare sotto la porta di casa, e ci fu persino una donna una volta che fu azzannata nella sua stessa cucina mentre scolava la pasta.
   Temi il lupo e fuggi da lui; soprattutto perché il lupo può essere peggio di quello che sembra.
   Ci fu un cacciatore un tempo, da queste parti, che prese in trappola un lupo. La bestia aveva massacrato pecore e capre; si era mangiata un vecchio pazzo che abitava da solo in una capanna a metà montagna e innalzava lodi al Signore dalla mattina alla sera; era anche saltato addosso a una pastora, ma quella aveva fatto un tale baccano da far venire degli uomini con i fucili che gli avevano messo paura e avevano cercato di dargli la caccia nella foresta, ma il lupo era astuto e li aveva seminati senza difficoltà. Allora uno dei cacciatori scavò una fossa e ci mise dentro un'anatra viva a fere da esca; poi coprì il buco di paglia sporca di sterco di lupo. Quack, quack! faceva l'anatra e un lupo venne furtivo dal cuore della foresta, era grande, grosso, pesava quanto un uomo fatto e la paglia cedette sotto di lui - e cadde nella fossa. Il cacciatore ci saltò dentro a sua volta, gli tagliò la gola e gli mozzò le zampe a mo' di trofeo.
   Solo che a quel punto non c'era più un lupo davanti agli occhi del cacciatore, ma il tronco sanguinante di un uomo, decapitato e senza piedi, morente, morto.
   Una volta una strega della valle trasformò in lupi tutti gli invitati a un banchetto di nozze, perché lo sposo aveva scelto un'altra ragazza. Ordinava ai lupi di andarla a trovare di notte, per farle dispetto, e quelli si mettevano a ululare intorno alla casa, offrendole una serenata di fame e disperazione.
   Non molto tempo fa, una giovane donna del nostro villaggio sposò un uomo che si dileguò proprio la prima notte di nozze. Il letto era pronto, bianco di nuove lenzuola e la sposa vi si sdraiò; disse lo sposo che sarebbe uscito a orinare, e non ci fu verso di trattenerlo, così la ragazza si tirò il lenzuolo sul mento e rimase in attesa. E aspetta aspetta - ma quanto ci mette? Finché l'urlo agghiacciante non la fa saltare sul letto, l'urlo portato dal vento che arriva dalla foresta.
   C'è nel canto del lupo una malinconia inconsolabile, sconfinata come una foresta, eterna come queste lunghe notti d'inverno, eppure tanta tristezza spettrale, tanto dolore per l'insaziabilità dell'appetito non sa muovere a pietà nemmeno un cuore, giacché non una sola nota in esso accenna a una possibilità di redenzione; il lupo non può ottenere la grazia in virtù della sua disperazione; ci vuole un mediatore esterno, tanto che a volte la bestia sembra quasi accogliere con sollievo il coltello che la manda a morte.
   I fratelli della ragazza frugarono stalle e fienili ma non vennero a capo di nulla, cosicché la giovane piena di buon senso si asciugò le lacrime e si trovò un altro marito non così timido da non poter orinare in un vaso, e disposto a trascorrere la notte in casa. Gli diede un bel paio di marmocchi e tutto filò liscio come l'olio fino a quando, in una notte freddissima, la notte del solstizio, quel cardine dell'anno in cui le cose non vanno come dovrebbero, nella notte più lunga, non tornò a casa il suo primo uomo.
   A darne l'annuncio fu un gran colpo alla porta, mentre lei rimestava la minestra per il padre dei suoi figli. Lo riconobbe nell'attimo stesso in cui sollevò il chiavistello benché fossero passati parecchi anni da che gli aveva portato il lutto, e benché lui adesso fosse coperto di stracci e coi capelli lunghi e incolti e carichi di pulci.
   «Eccomi, sono tornato, donna», disse. «Portami la mia tazza di zuppa di cavolo, e sbrigati.»
   In quella, arrivò il secondo marito con la legna per il fuoco, e quando il primo capì che la moglie era stata a letto con un altro, peggio, quando i suoi occhi iniettati di sangue si posarono sui piccoli che erano entrari in cucina per vedere a che fosse dovuto il chiasso, gridò: «Vorrei essere di nuovo un lupo, per dare una lezione a questa cagna!» E lupo si fece immediatamente e strappò al più grande dei bambini il piede sinistro, prima di essere a sua volta fatto a pezzi dall'accetta che usavano per tagliare i ciocchi. Ma non appena il lupo giacque a terra agonizzante nel sangue, il pelo tornò a sfilarglisi di dosso ed egli ridivenne quello che era stato anni addietro, al tempo della fuga dal letto nuziale, e perciò la donna pianse e il marito la picchiò.
   Dicono che il Demonio possa darti un unguento che ti trasforma in lupo appena te lo sfreghi addosso. E dicono che sia nato all'incontrario, che avesse un lupo per padre e che abbia il corpo di un uomo, ma zampe e genitali di lupo. E dicono che del lupo abbia il cuore.
   Sette anni dura la vita naturale di un lupo mannaro, ma se ne bruci gli abiti di uomo, lo condanni a essere lupo per sempre, perciò le vecchie qui da noi pensano che ci si possa proteggere lanciando addosso al lupo mannaro un cappello o un grembiule, come se bastassero gli abiti a farne un uomo. Ma è dagli occhi, da quegli occhi fosforescenti, che lo riconosci sotto ogni spoglia; gli occhi soltanto non subiscono nessuna metamorfosi.
  Per diventare lupo, il licantropo si mette nudo. Se ti capita di vedere un uomo nudo in mezzo ai pini, devi correre come se avessi il Demonio alle calcagna.
   È il solstizio d'inverno e il pettirosso, amico dell'uomo, si posa a cantare sul manico di una vanga da giardino. Non c'è momento peggiore dell'anno per i lupi, ma questa bambina testarda insiste a voler passare dal bosco. È certa che le bestie feroci non le faranno alcun male, anche se non è mancato chi la mettesse in guardia, convincendola a sistemare un coltellaccio nel cestino che la madre ha riempito di formaggi. C'è anche una bottiglia di liquore fatto in casa distillando bacche di pruno; qualche focaccia d'avena cotta sul fuoco del camino, e un paio di barattoli di confettura. La bambina vuole portare queste leccornie alla nonna costretta a letto e ormai tanto vecchia che il peso degli anni le soffoca la vita. La nonna abita a due ore di cammino nel bosco innevato; la bambina si avvolge in uno scialle pesante e se lo tira sul capo. Si infila gli zoccoli ed è pronta a partire: è la vigilia di Natale. La porta maligna del solstizio oscilla ancora sui cardini dell'anno ma la piccola è stata troppo amata per poter conoscere la paura.
   I bambini non restano a lungo bambini in questo paese selvaggio. Non hanno giochi per giocare e lavorano presto e tanto, e si fanno giudiziosi, ma questa piccola, così bella, ultimogenita, frutto fuori stagione, non ha avuto che vizi dalla madre e dalla nonna. È stata proprio la nonna a farle a maglia lo scialle rosso che oggi spicca sul bianco della neve come un sinistro presagio di sangue. I suoi seni hanno appena incominciato a farsi turgidi; ha i capelli color del lino, tanto biondi da farle solo ombra sulla fronte chiara; le guance sono di un eloquente rosso scarlatto sul bianco della pelle, e da poco sono iniziate le sue perdite di sangue, quell'orologio femminile del corpo che, d'ora in poi, segnerà il tempo allo scadere di ogni mese.
   La bambina vive e si muove sul pentagramma invisibile della sua verginità. È come un uovo intatto; come un vaso sigillato; ha dentro un luogo magico il cui accesso è vietato dalla presenza di una semplice membrana: è un sistema chiuso; non conosce ancora la paura. Ha il suo coltello e non teme nulla.
  Se fosse a casa il padre potrebbe trattenerla, ma è via, nella foresta, e la madre non sa dire di no.
   La foresta si richiuse su di lei come una bocca.
   C'è sempre qualcosa da guardare in un bosco, persino nel cuore dell'inverno - le sagome gobbute degli uccelli, che hanno ceduto alla stagione del letargo, e si ammucchiano sui rami scricchiolanti senza nemmeno la forza per cantare; le trine dei licheni sui tronchi macchiati delle piante; le orme cuneiformi di conigli e cervi, quelle a spina di pesce degli uccelli; una lepre magra come un foglio di carta velina che attraversa il sentiero, là dove il sole pallido screzia di luce le foglie color ruggine di felci già appassite.
  Quando udì in lontananza l'urlo agghiacciante del lupo, la sua mano esperta andò al manico del coltello, ma del lupo non vide traccia alcuna, come pure di un uomo nudo, solo che poi sentì un clangore tra gli arbusti e sul sentiero, invece, d'uomo ne apparve uno, giovane e di bell'aspetto, con il cappellaccio da cacciatore e la giacca verde, carica di selvaggina. La bambina aveva portato la mano al coltello al primo fruscio dei rami, ma lui rise sfoderando una fila di bei denti bianchi e le rivolse un inchino a metà tra lo scherzoso e il lusinghiero; non aveva mai visto un uomo tanto bello, di certo non tra gli zotici del suo paese. Perciò insieme proseguirono nel pomeriggio che addensava la luce.
   Di lì a poco ridevano e scherzavano come vecchi amici. Quando lui si offerse di portarle il cestino, la bambina glielo diede benché ci fosse dentro il coltello, perché il giovane la rassicurò dicendo che l'avrebbe protetta lui con il fucile. All'imbrunire, riprese a nevicare; lei sentì i primi fiocchi posarsi sulle ciglia ma ormai mancava mezzo miglio appena e ci sarebbe stato un fuoco ad aspettarla, una tazza di tè caldo e un'accoglienza senza dubbio entusiasta tanto per il bel cacciatore quanto per lei.
   Questo giovane teneva in tasca un oggetto straordinario. Una bussola. La bambina guardò vagamente meravigliata il piccolo quadrante di vetro nella mano di lui, e osservò l'ago tremolante. Le assicurò che la bussola lo aveva guidato dentro il bosco durante la battuta di caccia, dal momento che l'ago gli diceva sempre con precisione assoluta dove fosse il nord. Lei non gli credette: sapeva di non dover mai abbandonare il sentiero nella foresta, se non voleva smarrirsi all'istante. Lui rise di nuovo; lucidi fili di saliva gli brillavano sui denti. Disse che, se avesse lasciato il sentiero del bosco che li circondava, poteva garantire di arrivare a casa della nonna di un buon quarto d'ora prima di lei, seguendo il cammino indicato dalla bussola, mentre lei si affaticava sulla via più lunga e più tortuosa.
   Non ci credo. E poi, non hai paura dei lupi?
   Lui si limitò a battere sulla canna del fucile e a sorridere compiaciuto.
   Vuoi scommettere? le chiese. Vuoi fare una gara? Che cosa mi dai se arrivo per primo a casa di tua nonna?
   Tu che cosa vuoi? domandò lei maliziosa.
   Un bacio.
   Finisce sempre così il corteggiamento tra gente di campagna. Lei abbassò gli occhi e arrossì.
   Il giovane tagliò per il bosco portando con sé il cestino, ma lei si scordò la paura delle bestie feroci, anche se ormai nasceva la luna: era decisa a prendere tempo per essere certa che il bel galantuomo vincesse la scommessa.
   La casa della nonna si ergeva isolata appena fuori dal villaggio. La neve caduta da poco turbinava nell'orto e il giovane percorse con passo leggero il bianco sentiero che conduceva alla porta, come se non volesse bagnarsi i piedi; faceva ondeggiare il carico di selvaggina e il cestino della bambina, e canticchiava tra sé.
   Ha sul mento una sottile striscia di sangue: un assaggio di quanto ha cacciato.
    Batté piano alla porta con le nocche.
   Fragile e vecchia com'è, la nonna si è per lo più rassegnata alla fine ripetutamente annunciata dai dolori che le attraversano le ossa ed è quasi pronta a una resa totale. Un'ora fa è venuto un ragazzo dal paese ad accendere il camino per la notte e in cucina ora crepita un fuoco vivace. Le fa compagnia la sua Bibbia, perché la donna è molto devota. Siede sorretta da molti cuscini sul letto accostato al muro secondo l'usanza rurale, ed è avvolta nella trapunta a riquadri che si è cucita prima di prendere marito, ormai sono tanti anni da non voler ricordare. Ai lati del camino siedono due spaniel di porcellana dal pelo a macchie rossastre e il naso nero. Sul pavimento di cotto c'è un bel tappeto fatto di stracci a colori vivaci. La pendola del nonno scandisce ticchettando lo scorrere inesorabile del tempo.
   Teniamo i lupi lontano vivendo bene.
   Lui raspò contro la porta con le nocche pelose.
   Sono la tua nipotina, dice imitando la voce da soprano.
   Solleva il chiavistello e vieni dentro, tesoro.
   Li riconosci dagli occhi, occhi di un animale da preda, occhi notturni e devastanti, rossi come una ferita; gli puoi scagliare addosso la Bibbia e coprirli con il grembiule, nonnina, hai sempre pensato che fosse un sistema sicuro per liberarsi di queste bestiacce infernali... adesso puoi anche invocare Cristo e sua madre e tutti gli angeli del paradiso, che tanto non ti servirà a niente.
   Il suo muso da fiera è affilato come un coltello; getta sul tavolo il carico di selvaggina già mordicchiata, insieme al cestino della tua cara bambina.
   Oh, Dio mio, che le hai fatto?
   Basta travestimenti, si sfila la giacca di panno color verde bosco, il cappello con la piuma: i capelli incolti gli scendono sulla camicia bianca e lei vede agitarsi dentro le pulci. I rami crepitano nel fuoco crollando gli uni sugli altri, la notte e la foresta hanno invaso la cucina del buio impigliato nei suoi capelli.
   Si sfila anche la camicia. Ha la pelle del colore e della consistenza di una pergamena. Una striscia di peli arruffati gli scende lungo la pancia; ha i capezzoli gonfi e maturi come frutti velenosi, ma è talmente magro che potresti contargli le costole, se solo te ne concedesse il tempo. Si toglie i calzoni e la donna ora vede come sono pelose le gambe di lui. E i suoi genitali, enormi. Ah, enormi.
   L'ultima cosa che la vecchia vide in questo mondo fu un giovane nudo, dagli occhi di brace, avvicinarsi al suo letto. Il lupo, l'incarnazione di ogni carnivoro.
   Quando ebbe finito con lei, si leccò i baffi e si rivestì, in fretta finché non tornò a essere esattamente lo stesso uomo che era entrato dalla porta. Bruciò i capelli non commestibili dentro il camino e avvolse le ossa in un tovagliolo che poi nascose sotto il letto, dentro il baule di legno, nel quale trovò un paio di lenzuola pulite. Le sostituì con cura a quelle macchiate e rivelatrici che ficcò dentro il cesto della biancheria sporca. Sprimacciò i cuscini e scosse la trapunta a riquadri; raccolse da terra la Bibbia, la chiuse e l'appoggiò sul tavolo. Era tutto come prima, solo che adesso la nonna non c'era più. La legna crepitava nel focolare, l'orologio ticchettava e il giovane sedette paziente accanto al letto, travestito con la cuffia da notte della nonnina.
   Toc-toc.
   Chi è? fa lui con quella querula voce in falsetto.
   Sono la tua nipotina.
   E così la bambina entrò portando in casa un turbinio di neve che si trasformò in lacrime sulle piastrelle, forse era un po' dispiaciuta di vedere solo la vecchia nonna seduta vicino al fuoco. Poi lui però si liberò della coperta e volò alla porta, premendoci contro la schiena per impedirle di uscire.
   La bambina si guardò intorno e vide che sulla guancia liscia del cuscino non c'era il minimo segno e che, per la prima volta, la Bibbia era chiusa sul tavolo. Il ticchettio dell'orologio risuonò come un colpo di frusta. Voleva prendere il coltello dal cestino ma non osava infilarci dentro la mano perché gli occhi di lui la fissavano - occhi enormi, che adesso parevano scintillare di una luce interiore, unica; occhi grandissimi, pieni di fuoco greco, di una fosforescenza diabolica.
   Che occhi grandi hai.
   Per vederti meglio.
   Della nonna, nessuna traccia se si esclude una ciocca di capelli bianchi rimasta impigliata nella corteccia di un ciocco spento. Quando la vide, la piccola seppe di essere in pericolo di morte.
   Dov'è la mia nonna?
   Non c'è nessun altro qua dentro, mia cara, solo io e te.
   E un forte ululato si alzò tutto intorno, vicino, molto vicino, come se provenisse dall'orto dietro la casa, l'ululato di una moltitudine di lupi; sapeva che i lupi peggiori sono pelosi anche dentro e tremò. A dispetto dello scialle rosso che andava stringendosi addosso come potesse proteggerla, benché fosse rosso come il sangue che stava per versare.
   Qualcuno è venuto a cantarci i canti di Natale, chi è? chiese.
   Sono le voci dei miei fratelli, tesoro; mi piace la compagnia dei lupi. Guarda dalla finestra e li vedrai.
   La neve copriva la grata, e dovette aprire per poter guardare in giardino. Era una notte bianca di luna e di neve; la tramontana soffiava intorno alle grigie bestie macilente accucciate tra le file di cavoli, coi musi puntati alla luna e ululanti come se il cuore gli andasse in pezzi. Dieci, venti lupi - tanti che non riusciva a contare, in quel concerto di folle disperazione. Nei loro occhi si rifletteva il fuoco della cucina in lampi di cento candele.
   Fa così freddo, poverini, disse: sfido io che si lamentano tanto.
   Chiuse fuori dalla finestra il canto funebre dei lupi e si tolse lo scialle rosso, color dei papaveri, colore del sacrificio, colore del suo sangue mestruale e, poiché la paura non le veniva in aiuto, decise di non provarne più.
   Che vuoi che faccia dello scialle?
   Gettalo nel fuoco, cara. Non ne avrai più bisogno.
   Ne fece un fagottino e lo lanciò tra le fiamme, che subito lo incenerirono. Poi si sfilò la camicia dalla testa; i piccoli seni rilucevano come se la neve avesse invaso la stanza.
   Che devo fare della camicetta?
   Getta nel fuoco anche quella, cucciolo mio.
   La mussola sottile avvampò nel camino come un uccello incantato e poi fu il turno della sottana e delle calze di lana, delle scarpe; finì nel fuoco ogni cosa, una volta per tutte. Il bagliore della fiamma scintillava intorno alla pelle della bambina, il solo indumento intatto a rivestirle le carni. Così piena di luce, nuda, si ravviò i capelli con le dita: parevano bianchi come la neve. Infine si diresse verso l'uomo dagli occhi rossi nella cui chioma incolta si agitavano le pulci; si tirò su in punta di piedi e gli sbottonò la camicia.
   Che braccia grandi hai.
   Per abbracciarti meglio.
   Ogni lupo sulla terra ora intonava il canto di nozze fuori della finestra, mentre lei disinvolta gli diede il bacio che gli doveva.
   Che denti grandi hai.
   Gli vide le fauci riempirsi di bava e udì il Liebestod della foresta invadere la stanza, ma la bambina saggia non batté ciglio, neanche quando il lupo le rispose: Per mangiarti meglio.
   La bambina scoppiò a ridere; sapeva di non essere il bocconcino di nessuno. Gli rise in faccia, gli sfilò la camicia e la gettò nel fuoco, tra le ceneri dei suoi stessi vestiti. Le fiamme danzavano come anime morte nella notte di Santa Valpurga e le vecchie ossa sotto il letto presero ad agitarsi e a fare rumore, ma la bambina non ci badò.
   Incarnazione del carnivoro, il lupo si sazia solo di carne innocente.
   Lei gli permetterà di appoggiare l'orrido capo sul suo grembo e gli pulirà il pelo dalle pulci ubbidendo al comando, come in un rito di nozze tra selvaggi.
   La tormenta si placherà.
   E si placò, la tormenta, lasciando le montagne sporche di neve, come se una massaia cieca vi avesse disteso sopra i lenzuoli, e i rami alti dei pini duri di calce bianca, scricchiolanti, carichi di neve.
   Luce di neve e di luna, una confusione di impronte sul terreno.
   E quiete, tantissima quiete.
   È mezzanotte; l'orologio batte le ore. È Natale, il giorno dei lupi mannari; la porta del solstizio è spalancata; che ci sprofondino pure tutti quanti dentro.
  Guardate, come dorme tranquilla nel letto della nonna, tra le zampe amorevoli del suo lupo. 

Angela Olive Stalker nacque a Eastbourne nel 1940, ma fu presto evacuata presso la nonna materna, nello Yorkshire. Seguendo le orme del padre, Angela iniziò a lavorare come giornalista subito dopo il liceo, e in seguito si laureò in letteratura inglese all'Università di Bristol.
Nel 1960 sposò Paul Carter, il suo primo marito, da cui ottenne la separazione dieci anni dopo. Di questo periodo sono i suoi primi romanzi, La danza delle ombre (1966), La bottega dei giocattoli (1967, da cui vent'anni dopo venne tratto l'omonimo film) e Several Perceptions (1968). Nel 1969 vinse il Somerset Maugham Award, di cui utilizzò il denaro per trasferirsi a Tokyo, dove visse due anni: pubblicò le sue esperienze in articoli per il
New Society, nel romanzo Le infernali macchine del desiderio del Dottor Hoffman, e nell'antologia di racconti del 1974, Fuochi d'artificio.
Viaggiò negli USA, in Asia e in Europa. Tra gli anni '70 e gli anni '80 lavorò come scrittrice in varie università inglesi. Nel 1977, Angela sposò il suo secondo marito, Mark Pearce, da cui ebbe un figlio.
Nel 1979 fu pubblicata La camera di sangue e il suo saggio femminista The Sadeian Woman and the Ideology of Pornography.
Oltre al
New Society, collaborò ad altre testate giornalistiche quali The Guardian, The Indepentent e New Statesman. I suoi articoli furono raccolti in Shaking a Leg.
Tra le sue altre opere, ricordiamo il libretto per un'opera basata sull'
Orlando di Virginia Woolf, il romanzo Figlie sagge (che rivela l'amore dell'autrice per Shakespeare) e il romanzo Notte al circo, che nel 1984 vinse il James Tait Black Memorial Prize per la letteratura.
Angela Carter morì il 16 febbraio del 1992, all'età di cinquantun anni, per cancro al polmone. La morte le impedì di completare il seguito di
Jane Eyre a cui stava lavorando, basato sulla vita della figlia adottiva Adèle.

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