31 dicembre 2011

Angolotesti: "La diligenza a dodici posti" di Hans Christian Andersen

Buongiorno a tutti i nostri lettori,
torna oggi Angolotesti, una selezione di testi letterari o poetici nella loro interezza con una breve contestualizzazione perché possiate meglio apprezzarli.
Chiamiamo in causa nuovamente Hans Christian Andersen, probabilmente il fiabista moderno europeo più famoso dopo i fratelli Grimm, questa volta con una sua novella a tema Capodanno: La diligenza a dodici posti. Scritta nel 1861, la favola che segue ha per protagonisti i vari mesi dell'anno, antropomorfizzati e pittorescamente descritti.
Con questa novella vi ringraziamo per averci seguito per tutto il 2011 e vi diamo appuntamento al prossimo anno. Che sia pieno di letture per tutti noi!


Nota: testo reperito su lefiabe.com, che non riporta l'edizione né il nome del traduttore.



La diligenza a dodici posti


La notte era gelida e limpidissima: il cielo brillava di stelle. L'orologio della chiesa scoccò dodici rintocchi, e subito i mortaretti incominciarono a scoppiettare e una vecchia latta volò fuori da una finestra, perché era l'ultima notte dell'anno. In quel preciso momento, una vecchia diligenza sconquassata venne a fermarsi alla porta della città; portava dodici viaggiatori, quanti erano i posti.
I nuovi arrivati scesero dalla diligenza. Tutti erano forniti di passaporto e di bagaglio e portavano persino dei doni per me, per voi, per tutti.
- Buon anno! - augurò la sentinella. - avanti il primo: dichiarate nome e professione.
Il primo viaggiatore era tutto avvolto in una pelliccia d'orso e calzava stivaloni di pelo.
- Potete consultare il mio passaporto-disse - io sono colui a cui tutti guardano sempre con speranza. Distribuisco mance e regali, e ne darò uno anche a voi, se verrete a trovarmi domani. Faccio inviti e feste di ballo, ma non posso darne più di trentina. Le mie navi sono imprigionate in mezzo ai ghiacci, ma nella mia casa fa caldo. Mi chiamo Gennaro.
- Avanti il secondo - disse allora la sentinella.
Questi era un personaggio gioviale e pazzerellone: organizzava balli e divertimenti di ogni genere. Portava seco un grosso barile.
- Quando c'è questo, c'è baldoria - dichiarò. - Voglio stare allegro, perché ho poco tempo da vivere: ventotto giorni soltanto. Ogni tanto mi aggiungono un altro giorno per la buona misura, ma non ne faccio gran calcolo. - Poco chiasso! - ammonì la sentinella.
- Io posso fare tutto il chiasso che voglio - replicò l'altro. - Sono il Principe Carnevale, ma viaggio in incognito sotto il nome Febbraio.
Il terzo viaggiatore era magro come la quaresima. Studiava il cielo camminando col naso in aria, perché predicava il tempo e le stagioni. Al risvolto della giacca portava un mazzolino di violette piccine, piccine. Il quarto viaggiatore gli batté la mano sulla spalla.
- Don Marzo, - esclamò sento odor di punch! Nella saletta dei doganieri stanno preparando la tua bevanda preferita. Corri subito a vedere!
Non era vero: il nuovo venuto voleva soltanto giocare un tiro al suo compagno di viaggio; infatti si chiamava Aprile e incominciava la sua carriera con un pesce. Aveva un aspetto gaio, forse perché lavorava poco.
Dopo di lui scese una bella fanciulla che si chiamava Maggiolina. Indossava un vestito color dell'erba tenera. Aveva nei capelli un mazzolino di anemoni e profumava di tino. Quel profumo era tanto forte che la sentinella starnutì.
- Dio vi benedica! - disse la fanciulla.
- Fate largo che scende la dama di Giugno - avvertì il cocchiere.
La signora scese. Era una dama molto bella e un poco altera. L'accompagnava Luglio, suo fratello minore. Questi era un giovane grassoccio, indossava abiti estivi e portava sulla testa un largo cappello di panama.
Un po' affannata e rossa in viso scese poi Mamma Agostina. Era una venditrice di frutta, proprietaria di molti terreni, sempre in faccende.
Dalla diligenza, dopo di lei, sbucò un pittore: il professor Settembre. Aveva per sbaglio i tubetti del colore, perché il colore era la sua passione. Infatti appena entrava nelle foreste, gli alberi e le foglie sfoggiavano la più variopinta magnificenza; qua rosso acceso, là giallo, più in là bruno dorato.
Comparve poi un gentiluomo di campagna, il Conte Ottobre. Amatissimo della caccia, portava con sé il fucile, il cane e il carniere pieno di noci.
Novembre, il suo compagno, era tormentato da una violenta infreddatura. Era provveditore dei Focolari e doveva pensare alle provviste di legna, spaccarla e segarla.
E finalmente ecco l'ultimo viaggiatore: Nonno Dicembre, che stringeva lo scaldino fra le mani. Era freddoloso e intirizzito, e portava in braccio anche un piccolo abete.
- Voglio che cresca tanto da toccare il soffitto, alla sera di Natale - disse, - Così si potrà adornarlo con palle d'argento, candeline colorate e angioletti.
Il doganiere lo interruppe:
- Ogni passaporto è valido per un mese - avvertì. - Io lì ritirerò e, scaduto il tempo consentito, scriverò le note relative alla vostra condotta.
Finito l'anno, cari lettori, credo che anch'io saprò dirvi che cosa i dodici viaggiatori avranno portato in regalo a me, a voi, a tutti, ma per ora davvero non lo so! Forse non lo sanno neanche loro. Si vive in tempi così strani…



Hans Christian Andersen nacque nel 1805 a Odense, in Danimarca, da famiglia povera e al margine. Odense era ancora poco più che un villaggio agricolo immerso nelle superstizioni e nelle tradizioni, lontanissimo dalla società moderna che Hans troverà a Copenaghen nel 1819, dove si trasferirà per cercar fortuna a soli quattordici anni, nella segreta speranza di diventare attore. Ritenuto troppo magro per il teatro, Hans si impiegò come operaio e garzone. Dopo una brevissima carriera come soprano, Andersen venne ospitato e istruito dal direttore del Teatro Reale, avendo l'occasione di entrare in contatto con le classi alte e addirittura con il re di Danimarca, il quale, presolo in simpatia, lo mantenne agli studi. In seguito agli anni di difficoltosa formazione, dovuti alla sua dislessia e alla frammentarietà dell'educazione ricevuta nell'infanzia, Andersen riuscì a entrare nel 1828 nella facoltà di Filosofia dell'Università di Copenaghen. Tra il 1854 e il 1879, Andersen pubblicò poesie, racconti, romanzi, opere teatrali, vaudevilles e fiabe per un totale di trentatrè volumi di lavori.
I romanzi O.T. e Soltanto violinista ricevettero un buon riscontro presso il pubblico, tanto che nel 1848 venne riconosciuto all'autore un vitalizio che gli consentì di non dover più scrivere per necessità economiche. Dal resoconto del viaggio in Germania, Italia, Malta, Grecia, Turchia, nasce il Bazar di un poeta.
Andersen morì nel 1975 a Copenaghen. Sembra che, prima di morire, avesse chiesto alla padrona di casa di tagliargli un'arteria e di far incidere sulla sua lapide "Non sono morto davvero".
Tra le più famose fiabe di Andersen ricordiamo La principessa sul pisello, Pollicina, La sirenetta, I vestiti nuovi dell'imperatore, Il soldatino di stagno, Il brutto anatroccolo, La regina delle nevi, La piccola fiammiferaia.

29 dicembre 2011

Swing! - Michele Fianco

Come vuole il nome, nell'orbita di Swing! si è presi in una danza dondolante di battere e levare, secondo un ritmo che scombina il tempo, e lo dilata, e lo fa spazio. Ché a venir suonata è qui la "biografia surreale" di un io multiplo, che nel fare - modernamente - "dell'esperienza un'esperienza" ci avverte che Io è un satellite non abitabile se non per interposte persone, e oggetti, e piccoli fatti quotidiani. In questo romanzo - che è una menippea contemporanea - c'è uno "strano tutto": c'è la vicenda di Italo Medio e il progetto politico di un "piano di riavvio dell'esistenza"; c'è l'"èra dell'asfissia" e del "furto del lavoro"; c'è un amore raffreddato; c'è un padre. Da una galassia alla deriva affiorano mondi disposti su specchi obliqui, esplorati da una lingua che salta leggera a inseguire gli scarti di una vita che è "sempre più larga" di ogni suo dettaglio, e che però in ogni  dettaglio colto a sfilare dalla contraffatta lanterna magica della scrittura scorge la "grande allegoria della composizione umana".

Recensione

Ci pensi troppo. Lo sconquasso, è vero, ci aveva reso ormai Saturno. Poca vita in mezzo e tanti giri intorno. Sì, sulla circonvallazione, un traffico continuo. Tu dentro avevi, invece, una velocità enorme. E in un attimo avevi calcolato: che un mondo alla volta non si poteva più, che quel centro - che pure c'è stato - si vedeva solo così, braccio appoggiato, dal finestrino, e non c'era altro modo che quella fila e quell'andare sempre. E passavano gli anni con quella tua rapidità frustrata.

Capita di volere/dovere recensire libri di questo genere. L'incipit, fulminante, è già pieno di invenzioni che potrebbero essere sviluppate in quattro o cinque romanzi. Per scrivere un romanzo, invece, di invenzioni ne basta una sola, pensata, ragionata e sviluppata come si deve. Invece, procedendo con la lettura (vi giuro che l'ho letto tutto!), si scopre che il libro è proprio fatto così: un groviglio di idee brillanti, di invenzioni linguistiche. Ma è l'autore stesso ad aiutarci e a fornirci la spiegazione che il lettore cerca invano in tutto il romanzo: "è un tuttùno". Il personaggio, il protagonista, il suo antagonista: "è un tuttùno", nel/al quale l'io narrante è avvinghiato/avviluppato/impantanato. Il lettore si chiederà, ad esempio: questo "tuttùno" è maschio o femmina? Assomiglia lontanamente all'autore oppure no? Se questo povero lettore cercherà una risposta semplice e univoca a queste domande, posso subito avvertirlo: non la troverà. E se, magari pensando di fare un dispetto all'autore, costui provasse, per fare un esperimento, a saltare qualche capitolo (perché di una cosa il lettore può essere certo: il libro è diviso in capitoli, che l'autore ha voluto chiamare, chissà perché, "chapters"), il risultato sarebbe identico: troverebbe passaggi fulminanti, trovate esilaranti che si succedono su un esile filo logico, come giocolieri e/o abili equilibristi.

Posso garantire che la lettura è divertente, ma ovviamente per chi è in grado di apprezzare questo girare intorno a un qualcosa che non c'è, un centro che viene deliberatamente sottratto all'intelligenza del lettore, in grado di recepire solo alcuni messaggi criptati senza un ordine né una chiave. O meglio, a un certo punto, a p. 132, c'è una voce femminile che pone una semplice domanda a quella che parrebbe la voce narrante: "Allora, vuoi sposarmi?".

Da qui fino a p. 170 l'autore gira intorno a qualcosa che assomiglia a un matrimonio. I promessi sposi riveduti e (s)corretti? Un po' anche questo, volendo. Perché Swing! assomiglia molto a una resa dei conti con l'esistenza da parte di un poeta troppo giovane per morire e troppo vecchio per il rock'n roll, per citare la celebre canzone dei Jetro Tull ("nel mezzo del cammin della sua vita" avrebbe detto un altro poeta).

Giudizio:

+2stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Swing!
  • Autore: Michele Fianco
  • Editore: Polimata
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: ultra/corpi
  • ISBN-13: 9788896760215
  • Pagine: 170
  • Formato - Prezzo: Brossura - 10 euro

28 dicembre 2011

La trama del matrimonio - Jeffrey Eugenides

Madeleine Hanna era l'unica laureanda a non aver capito. Siamo, significativamente, all'inizio degli anni Ottanta, e mentre tutti gli altri attorno a lei leggono Roland Barthes e studiano lo strutturalismo ("la prima cosa che profumava di rivoluzione"), Madeleine rimane felicemente attaccata a Jane Austen, George Eliot e Henry James. Un po' troppo elegante per i gusti dei suoi amici bohémien, Madeleine è la studentessa perfetta e avvenente la cui vita amorosa non è mai stata all'altezza delle proprie aspettative. Ma ora, all'ultimo anno di università, si è iscritta al corso di semiotica: visto che tutti ne parlano, sedotti e affascinati, vuole almeno capire di cosa si tratta. Non sa che da quel momento, indipendentemente dallo studio, per lei vita e letteratura non saranno più le stesse. Tutto cambia quando, imbattutasi nei Frammenti di un discorso amoroso ed essendone rimasta folgorata, decide di cedere al fascino di Léonard Bankhead, un giovane dallo strano carisma che soffre di profonde crisi depressive, fino a convincersi di esserne davvero innamorata. Ma siccome la vita spesso sembra giocare con quei romanzi che Madeleine ha tanto amato, ricompare anche all'improvviso Mitchell Grammaticus, un vecchio amico che ha preferito dedicarsi allo studio delle religioni, ossessionato dall'idea che Madeleine è la donna della sua vita. Nel corso di un anno, da quando si laureano e muovono i primi passi nel mondo, si vedranno costretti a rimettere in discussione tutto quello che hanno imparato...

Recensione

Temo proprio che questo romanzo si presterà a una miriade di equivoci. Una copertina "romantica", la parola "matrimonio" inserita nel titolo (inaudito!), l'attrattiva fascetta che parla di amore ed una quarta di copertina che riduce la trama essenzialmente allo stra-abusato cliché del triangolo amoroso.
Lette le prime righe, però, clamorosamente crolla il castello di carte delle aspettative e delle illusioni. Questo non è un romanzo d'amore, ma un romanzo che parla d'amore. Sottile differenza, ma significativa, che cela il gioco provocatore di Eugenides.

E' possibile ancora oggi scrivere una storia sul triangolo amoroso? E' morto il romanzo d'amore? Esiste ancora il distaccato narratore in terza persona?
A queste domande l'autore vuole provocatoriamente rispondere, scrivendo un romanzo che, costruito ad hoc, polemizza con la moda del decostruzionismo esplosa negli anni Ottanta: proprio gli anni in cui si muovono i tre protagonisti, tre incarnazioni diverse dell'americano medio di quegli anni, dalla mania depressiva di Leonard, ai conflitti di Maddy, che alla fine sacrifica l'ambiziosa carriera per correre incontro ad un matrimonio precoce, alla ricerca di spiritualità e i tormenti di Mitchell. Lo sfondo, almeno per un terzo del romanzo, è l'ambiente universitario statunitense, che pesa sulla trama con un complesso di citazioni letterarie e riferimenti ricorrenti al postmodernismo, allo strutturalismo, alla linguistica e alla semiotica.

Il mio timore, a questo punto, è che nel reagire con convinzione al postmodernismo (specie quello degli ultimi vent'anni, su cui s'impone il nome di Wallace) Eugenides ricorra paradossalmente ad effetti propri del postmodernismo. Per quanto il romanzo si faccia leggere e l'autore riesca a suscitare facilmente l'immedesimazione, rimane di fondo la sensazione di qualcosa di fortemente artificioso, costruito a tavolino, che vanifica, seppur parzialmente, le buone intenzioni dell'autore.

La trama del matrimonio è dunque la prova che ancora la narrativa americana non riesce a riscattarsi dal gioco perverso di questi ultimi decenni, dei romanzi scritti in risposta ad altri, dei romanzi costruiti ad hoc, che narrano ma non raccontano, che dimostrano ma non argomentano. E' un bel romanzo, ma Middlesex, per me, rimane insuperato: è l'esatta differenza tra lo scrivere con la testa e scrivere con il cuore.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo originale: The Marriage Plot
  • Autore: Jeffrey Eugenides
  • Traduttore: K. Bagnoli
  • Editore: Mondadori
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: Scrittori italiani e stranieri
  • ISBN-13: 9788804613589
  • Pagine: 478
  • Formato - Prezzo: Rilegato - 20,00 Euro

25 dicembre 2011

Zero Kill - Y. B.

Natale 2000: Youssef Suitane, appartenente alle Lame dell'Islam - un gruppo fondamentalista armato underground - è all'angolo di una via di Algeri, pronto a colpire l'arcivescovo della città. Il prelato dispone tuttavia di un efficiente servizio d'ordine, così, subito dopo avere sparato, Youssef viene a sua volta colpito. "Poco male" si dice l'anima di Sultane mentre il suo involucro corporeo si accascia al suolo. Da bravo seguace del Profeta e della jihad, sa che ad attenderlo ci sarà uno strepitoso Giardino delle Delizie: vergini a volontà ed efebi come optional. Ma nell'aldilà l'anima del martire della fede si trova di fronte a un severo angelo della morte che gli chiede conto della sua vita, delle sue idee, della sua militanza, del Corano...

Recensione

Parlare male di questo libro è fin troppo facile. Non nascondo una certa fatica ad arrivare fino in fondo.

Lo stile dell'autore è riconoscibile, personale, accattivante, a tratti divertente. Le invenzioni linguistiche si sprecano e devo ammettere che qualche volta strappano un sorriso.

L'autore algerino, classe 1968, un giornalista che dal 1998 vive in Francia e scrive in francese, mescolando il gergo della "mala" a quello della politica e dei proclami ufficiali dei fondamentalisti e dei loro avversari (esercito e polizia), in un gioco grottesco e perverso nel quale tutti i personaggi appaiono coinvolti e tutti perdenti. L'inizio è promettente.

Inoltrandosi nella lettura si avverte un certa stanchezza, come dopo un'abbuffata di un dolce farcito con troppa panna che, con ogni probabilità, un lettore francese riuscirebbe ad assaporare molto di più. Nello stesso anno in cui è uscito questo libro Einaudi ha pubblicato Allah superstar, che sono riuscito a procurarmi e che ho provato a leggere. Ma questa volta mi sono bastate le prime 10 pagine per capire che si trattava più o meno della stessa cosa. Entrambi i libri purtroppo sono già introvabili, probabilmente a causa del loro scarso successo commerciale.

Tuttavia, a scanso di equivoci, devo dire che non mancano elementi di interesse. La cosiddetta "primavera araba" era lontana, ma si percepiscono chiaramente quei segni di quella che nel suo illuminante saggio Samir Kassir definiva "L'infelicità araba". Cioè quella situazione di scacco, senza via d'uscita, in cui si trovano i giovani e le donne in tutti i paesi dell'altra sponda del Mediterraneo.

Yassir Benmiloud cerca una via di fuga nell'ironia e nel grottesco, nella provocazione e nell'umorismo pulp. Tutte cose che, alla lunga, possono risultare un po' noiose e certamente sterili. Ma se vogliamo prendere un po' più sul serio questo romanzo breve, rimane aperto il problema del "romanzo arabo", che raramente riesce a trovare il pubblico, in patria e all'estero, malgrado l'indubbio talento dell'autore.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Zero Kill
  • Titolo originale: Zero Mort
  • Autore: Yassir Benmiloud
  • Traduttore: Jacopo De Michelis
  • Editore: Mondadori
  • Data di Pubblicazione: 2004
  • Collana: Piccola biblioteca Oscar Mondadori
  • ISBN-13: 9788804536550
  • Pagine: 173
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 7,80

24 dicembre 2011

22/11/'63 - Stephen King

Jake Epping ha trentacinque anni, è professore di inglese al liceo di Lisbon Falls, nel Maine, e arrotonda lo stipendio insegnando anche alla scuola serale. Vive solo, ma ha parecchi amici sui quali contare, e il migliore è Al, che gestisce la tavola calda. È proprio lui a rivelare a Jake il segreto che cambierà il suo destino: il negozio in realtà è un passaggio spaziotemporale che conduce al 1958. Al coinvolge Jake in una missione folle - e follemente possibile: impedire l'assassinio di Kennedy. Comincia così la nuova esistenza di Jake nel mondo di Elvis, James Dean e JFK, delle automobili interminabili e del twist, dove convivono un'anima inquieta di nome Lee Harvey Oswald e la bella bibliotecaria Sadie Dunhill. Che diventa per Jake l'amore della vita. Una vita che sovverte tutte le regole del tempo conosciute. E forse anche quelle della Storia.

Recensione

Jake Epping ha trentacinque anni, una tranquilla professione d'insegnante, un matrimonio naufragato alle spalle a causa degli abusi d'alcool della moglie, una vita – in definitiva - tranquilla e benvoluta. Quando il conoscente Al Templeton lo convoca alla tavola calda di cui è proprietario, Jake non ha idea di cosa lo aspetti: e grande è la sua sorpresa quando lo ritrova invecchiato di parecchi anni e a uno stadio terminale di cancro ai polmoni. Nonostante l'evidenza – i due si sono visti troppo poco tempo prima perché sia possibile un simile cambiamento -, Jake non può fare a meno di ritenerlo un po' svitato quando Al lo informa che nella sua dispensa c'è una buca del coniglio, un passaggio spaziotemporale che conduce sempre, precisamente, alle 11:58 del 9 novembre 1958. Jake, spaesato e confuso, si lascia convincere a fare una prova: al suo ritorno sono trascorsi esattamente due minuti, e così sarà ogni volta che tornerà dal suo viaggio, azzerando ogni volta tutte le modifiche apportate durante il precedente.
Al ha utilizzato il passaggio per condizionare il passato di una bambina che sarebbe rimasta vittima di un incidente di caccia, ma nonostante i suoi sforzi non è riuscito a influire su un evento che, se impedito, avrebbe modificato in modi imperscrutabili il presente del mondo: l'assassinio di Kennedy a Dallas in quel malaugurato 22 novembre 1963. Al avverte Jake che la missione non sarà così facile, perché il passato non vuole essere modificato, e il professore lo sperimenta a sue spese quando, in un secondo viaggio di prova, tenta di impedire che il padre alcolizzato di Harry, un anziano uomo diplomatosi grazie alle sue lezioni, stermini quasi tutta la sua famiglia a colpi di martello.
Jake si lascia convincere ad accettare l'ultimo desiderio di Al, e scende i gradini della dispensa per la terza volta, insieme a soldi, appunti di viaggio e ricerche dell'amico, e a un piano sgangherato che prevede di tallonare Lee Oswald per appurare il suo coinvolgimento nell'assassinio di JFK. Più di cinque anni, tuttavia, lo separano dal giorno dell'attentato, e Jake si ritrova immerso in una nuova vita reale quanto quella nel 2011 e persino più piacevole.

Per il suo ultimo romanzo, Stephen King utilizza dunque l'espediente del rabbit hole. Gli appassionati sci-fi forse storceranno un po' il naso, perché il tema del viaggio nel tempo è insidioso quanto un terreno minato: King è attento al cosiddetto effetto farfalla, ma tralascia altri fattori che potrebbero suscitare paradossi temporali; ad esempio, il fatto che impedire un evento nel passato per cancellarne le conseguenze renderebbe impossibile, nel futuro, effettuare la scelta di viaggiare indietro nel tempo: perché il Jake del futuro dovrebbe tornare indietro nel '63 a salvare Kennedy se questi è vivo perché è stato salvato?

C'è poco da discuterne: le pagine dedicate a conseguenze, paradossi e stringhe temporali sono esigue, dal momento che il romanzo non vuole essere una storia di fantascienza, né un compendio di storia americana ucronica (cosa sarebbe successo se Kennedy non fosse stato ucciso?), né tantomeno un'accurata analisi sul caso Kennedy. Il contesto, in questo romanzo più che altrove, è piegato all'esigenza di una storia intima: quella di Jake Epping, esule volontario nel passato, che si ritrova a vivere due vite - popolare professore nel liceo di Jodie, fidanzato innamoratissimo della bibliotecaria Sadie, e spia fai-da-te di un violento ex-marine che con tutta probabilità ucciderà il presidente degli Stati Uniti – e a dover scegliere tra la propria missione, con tutto ciò che comporta il tentativo di cambiare il passato, e la sua nuova vita.

Molti fan dell'autore – come ogni libro uscito, fosse pure una raccolta di liste della spesa dell'anno – gridano al miracolo! e a il Re è tornato, viva il Re!. Da fan dell'autore io grido invece al libro discreto, ben scritto e interessante come quasi tutti i libri di Stephen King, ma senza alcun dubbio non il più ben scritto né il più interessante. Spaventosa dev'essere stata la documentazione di King sull'America degli anni '50-'60 (marche, cultura, società, modi di dire) e sulle ipotesi relative al caso Kennedy, e di ciò gliene va reso atto, ma non è un romanzo che si lasci rievocare per originalità o suspance. I personaggi sono ben costruiti, anche se Jake è pressoché privo del lato oscuro che solitamente caratterizza le creazioni di King e per questo risulta spesso banale: si lascia amare, perché è così normalmente benevolo che non potrebbe essere altrimenti, ma non ricordare, e così accade anche con Sadie, l'altra grande coprotagonista. Non esistono altri personaggi principali, ma solo comparse e macchiette, sia pure ben costruite.

Consigliato ai fan di Stephen King, agli appassionati dell'America degli anni Cinquanta (ahimè, io non lo sono) e ai patiti del caso JFK. Gli altri vi troveranno semplicemente la storia d'amore tra un professore tornato indietro nel tempo e una bibliotecaria divorziata, traumatizzata dalle nevrosi dell'ex-marito.
Vi sembra un modo semplicistico di mettere giù la trama del nuovo romanzo di King? Eh, be', vogliamo parlare di un pagliaccio-alieno che mangia bambini, di un virus che ha distrutto il 99,5% della popolazione, di una fan pazza che tiene prigioniero il suo autore preferito, di una ragazzina maltrattata che possiede poteri telecinetici o di un albergo infestato?

Giudizio:

+3stelle+ (e mezzo)

Dettagli del libro

  • Titolo: 22/11/'63
  • Titolo originale: 11/22/63
  • Autore: Stephen King
  • Traduttore: Roberto Bui (Wu Ming 1)
  • Editore: Sperling&Kupfer
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: Pandora
  • ISBN-13: 9788820051358
  • Pagine: 767
  • Formato - Prezzo: Rilegato, sovraccoperta - 23,90 Euro

23 dicembre 2011

Cercasi la mia ragazza disperatamente - Luca Rota

Metti che la donna della tua vita sia fuggita chissà dove, lontana da te che l’hai lasciata a causa di uno di quei grossolani errori che capita di commettere almeno una volta nella vita. Metti di volerla ritrovare, costi quel che costi. Metti che te ne capitino di tutti i colori, in questo viaggio avventuroso alla sua ricerca. Ecco, questo libro racconta le peripezie di un ragazzo qualunque che ha un obiettivo e lo vuole assolutamente raggiungere.
Farai la conoscenza di ricercatrici universitarie specializzate in numeri primi sexy, ti iscriverai a corsi ultra-rapidi di paracadutismo e ad altri di astrologia infallibile, incontrerai un gregge di capre espiatorie, busserai alla porta dell’Ossessa Badessa, priora del Convento di Santa Rellina, diventerai seguace del Gran Bidè, costruirai un Segnalatore di Eventi Causali, ti affiderai al Gran Mago Epitaffio, giungerai al privè del Servizio di assistenza al suicidio, regalerai al tuo cane un collare con lettore Mp3 annesso, ti capiterà di osservare il Coccobrillo (rettile amante dell’alcol), il Baffigianni (simile al Barbagianni ma meno irsuto) e la Gazza Guardia… Insomma, ti divertirai, mediterai, rifletterai.

Recensione

Tizio Traitanti è il tipico "simpaticone", quel personaggio che si può incontrare in quasi tutte le compagnie numerose, le uniche che riescono a contenerlo (e sopportarlo). Il Simpaticone è quello che appena ti viene presentato diventa il tuo migliore amico, pronto a trascinarti in ogni attività possibile in nome del divertimento. È quello che resta adolescente a vita, sempre allegro e pieno di energia anche con 40° di febbre. Quando apre bocca lo fa esclusivamente per dire una battuta: prese singolarmente, le sue celie sarebbero intelligenti, argute e divertenti, ma a lungo andare stancano fino a rendere insopportabile chi le pronuncia. Dopo cinque minuti in sua compagnia implori pietà e speri che il Simpaticone venga colto da un attacco di mal di gola improvviso quanto fulminante. Ci sono persone che si divertono un mondo in compagnia del Simpaticone: io sono una di quelle che lo apprezza a piccole dosi e con un sorriso di bonario compatimento per qualcuno che tende a strafare ma non se ne accorge.

Così è Tizio, gioviale, aperto, spontaneo ma dopo due pagine diventa pesante e induce nella tentazione di prenderlo a sberle. Un po' di moderazione non avrebbe fatto male, anzi avrebbe a mio parere dato più ampio respiro a quella che tutto sommato è una storia piacevole e divertente, narrata con freschezza.

I personaggi sembrano usciti da un fumetto di Topolino, con i loro nomi caratteristici o che storpiano altri ben noti: Miasmine la fanciulla flatulente, Annaia la figlia del macellaio, Abaca la matematica... E quando il nesso tra nome e peculiarità non fosse così evidente, ci pensa Tizio a chiarirne il senso: come fa con l'indovino Adamus, appellato "nostro". Gli stessi giochetti si ripetono nelle infinite riflessioni, come quella dell'innamoramento che scherza con il mare e l'amarezza in un turbine di assonanze e libere associazioni, ben evidenziate in corsivo. I buoni umoristi sanno che le battute non vanno spiegate: o fanno ridere subito o il colpo è andato a vuoto.

Le dis-avventure di Tizio hanno del paradossale e si susseguono in un ritmo che non lascia prendere fiato, complice la scrittura rapida, sincopata, e la quasi totale assenza di capitoli che scandiscano il tempo di lettura: un unico pensiero incasinato da punteggiatura chiassosa e stucchevole.

Il mio primo pensiero nell'affrontare la lettura di questo romanzo è stato che fosse al "limite", in precario equilibrio tra genialità, simpatia e spontaneità: anche se il mio giudizio complessivo non è positivo, confermo questa sensazione che mi fa sperare che altri, amanti dell'inconsueto più della sottoscritta, magari anche più giovani anagraficamente, possano gradire l'opera di Rota.

Giudizio:

+2stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Cercasi la mia ragazza disperatamente
  • Autore: Luca Rota
  • Editore: Senso Inverso Edizioni
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: AcquaFragile
  • ISBN-13: 9788896838532
  • Pagine: 127
  • Formato - Prezzo: Brossura - 13,00 Euro

21 dicembre 2011

Il meglio di Asimov - Isaac Asimov

Naufraghi alla deriva nello spazio, destinati forse a vagare per sempre; un pianeta in procinto di affrontare la notte per la prima volta dopo duemila anni; un infallibile detective robot capace di risolvere qualsiasi caso... Dalla inesauribile fantasia di Isaac Asimov, una nuova serie di racconti affascinanti e sconvolgenti. Uno straordinario tuffo in un universo parallelo in cui l'incredibile diventa normale.




Recensione

Qualcuno potrebbe storcere il naso, pieno di scetticismo, di fronte ad un'antologia eufemisticamente intitolata Il Meglio di Asimov. Eppure, si tratta di un'opera preziosa, il migliore punto di partenza per avventurarsi nel mondo fantascientifico di Asimov. L'edizione è ben curata, aperta da una prefazione scritta dallo stesso autore nel quale illustra i singoli racconti e le motivazioni che lo hanno portato a sceglierli. E' stato Asimov in persona a scegliere questi racconti, e ha scelto davvero bene: sono tutti ottimi racconti, tutti ben rappresentativi dell'opera omnia dello scrittore, sapientemente scelti per periodo di pubblicazione e per argomento.

Tra inediti e successi strapubblicati, racconti di tre pagine ed altri molto più lunghi, trovano posto in questa raccolta delle perle di una rara bellezza. Notturno, celeberrimo racconto di Asimov, ha in sé qualcosa di Romantico, lo Sturm und Drang, il sublime e terrificante stupore che l'essere umano prova dinanzi alla magnificenza tremenda della Natura: la stessa meraviglia catastrofica che provano i personaggi del racconto, che si apprestano per la prima volta ad osservare il buio del cosmo e le stelle. Notturno è davvero l'emblema del potere della fantascienza: cambiare una virgola, un piccolo dettaglio, per capovolgere clamorosamente la realtà stessa.

Altrettanto celebre e altrettanto osannato è L'ultima domanda, del quale si trova un'eco parodica nei romanzi di Douglas Adams: in un Universo in crescita e che lentamente, ma inevitabilmente, si espande fino ad incontrare la morte, si ripete la domanda fondamentale posta ad un supercomputer, che impiegherà l'intera vita dell'Universo a formulare la risposta. Che non sarà 42!

Molto interessante anche Profondità, che pure Asimov stesso definisce come storia sonnacchiosa: la tematica, che ricorre nel celebre romanzo Neanche gli dèi, è la definizione di un'intelligenza aliena, diversa da quella umana, con un'altrettanto aliena moralità.

Un'altra tematica che ricorre nel fortunato romanzo è il conflitto tra i terrestri e i pionieri dello spazio, che si tratti di uomini abituati a vivere nello spazio, in assenza di gravità, o su pianeti diversi da quello d'origine. Altrettanto ricorrente è la questione dello sviluppo scientifico, con annesse tutte le implicazioni etiche: ne sono grandi esempi Cronoscopio e La palla da biliardo.

Non mancano infine racconti rappresentativi delle altre passioni di Asimov: dal giallo Conclusione errata al racconto che chiude la raccolta, l'unico a presentare i robot (ai quali sono dedicate ben altre antologie), e che altro non è che uno squisito gioco di logica.

Presentati i racconti, non resta che formulare un giudizio: da Dickiano convinto confesso che Asimov resta ancora, inevitabilmente, insuperato. Neil Gaiman, nella prefazione ad un romanzo di Silverberg, dice che alla fantascienza che vuole sopravvivere ed evolversi spetta la prova del tempo: e quando la fantascienza risulta ancora attuale essa è arte e verità.

Giudizio:

+5stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Il meglio di Asimov
  • Titolo originale: The Best Of Isaac Asimov
  • Autore: Isaac Asimov
  • Traduttore: Hilja Brinis
  • Editore: Mondadori
  • Data di Pubblicazione: 1995
  • Collana: Oscar bestsellers
  • ISBN-13: 9788804398615
  • Pagine: 437
  • Formato - Prezzo: 9,40 Euro

20 dicembre 2011

Come non scrivere un romanzo - H. Mittelmark e S. Newman

Questa è una “guida all’incontrario” che non dà istruzioni su come si debba raccontare una buona storia, quanto piuttosto su ciò che mai si dovrebbe fare quando si scrive un libro. Il libro è diviso in sei parti in cui gli autori analizzano gli errori/orrori che si possono (e non si devono) trovare a livello di trama (incipit così lenti che si arriva a metà romanzo prima di capire cosa succede, scorciatoie e omissioni non plausibili), personaggi (poco caratterizzati, macchiettistici); stile (azzardi lessicali, avverbi a sproposito, cifra narrativa incoerente), ambientazione (contesti fuori luogo), “effetti speciali” (non parlate di sesso se non sapete farlo senza imbarazzo…), lettere di presentazione agli eventuali editori (scritte con una prosa che farà cestinare il romanzo ancor prima di averlo letto). Ogni errore è inserito ad arte in un contesto narrativo apparentemente plausibile ma che in realtà fa risaltare il “passo falso” contenuto, con un effetto divertente ma mai ridicolizzante. E soprattutto utile.

Recensione

Di manuali di scrittura creativa gli scaffali di biblioteche e librerie abbondano: ognuno riporta la ricetta ideale per scrivere un romanzo di successo. Eppure qualcosa non funziona, perché se le ricette fossero efficaci ogni scrittore in erba diventerebbe autore da bestseller. Howard Mittelmark e Sandra Newman provano a svelare l'arcano: non è questione di cosa scrivere e come scriverlo, ma di cosa *non* fare.

Gli autori propongono quindi agli aspiranti scrittori una "guida per evitare i 200 errori più comuni", riportando i commenti che gli editor, se avessero tempo, scriverebbero in calce ai romanzi rifiutati.

Si parte dall'avvio della narrazione, per proseguire con i trucchi per evitare i cali di tensione narrativa o come giocarsi il finale. Si prosegue con la caratterizzazione dei personaggi, passando per qualche nozione di grammatica e punteggiatura, per arrivare ai punti di vista che mettono in difficoltà più di qualcuno. Tasto dolente è l'ambientazione, fisica quanto storica, come anche gli "effetti speciali", ovvero le scene a luci rosse e le gag. Per concludere, preziosi consigli su come non vendere il proprio romanzo.

Ogni capitolo prende spunto da assurdi brani esplicativi, che dubito siano esclusivamente farina degli autori: l'effetto è di una comicità quasi surreale, che mi auguro ispiri una buona dose di autoironia (e autocritica) agli aspiranti scrittori che vi riconoscessero similitudini con il proprio lavoro.

Ogni manuale di scrittura creativa si sforza di offrire un approccio originale, a volte radicalmente diverso dagli altri, alla narrazione. Ma se i loro autori si trovassero tutti chiusi a chiave in una stanza che pian piano si sta allagando, e la loro sola via di scampo fosse giungere a una posizione condivisa, allora l'unica loro speranza sarebbe accordarsi su ciò che non si dovrebbe fare.

Buona scrittura!

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Come non scrivere un romanzo
  • Titolo originale: How not to write a novel
  • Autore: Howard Mittelmark - Sandra Newman
  • Traduttore: Rita Giaccari
  • Editore: Corbaccio
  • Data di Pubblicazione: 2008
  • Collana: Saggi
  • ISBN-13: 9788863800517
  • Pagine: 218
  • Formato - Prezzo: Rilegato - 18,60 Euro

19 dicembre 2011

Angolotesti: "L'abete" di Hans Christian Andersen

Buonasera a tutti i nostri lettori,
torna oggi Angolotesti, una selezione di testi letterari o poetici nella loro interezza con una breve contestualizzazione perché possiate meglio apprezzarli.
Manca ormai meno di una settimana al Natale, per cui ho scelto un testo a tema, una favola della mia infanzia rimasta invariata nel mio gradimento perché priva di connotazioni religiose ma non certo di spirito natalizio. Il testo in questione è L'abete di Hans Christian Andersen, probabilmente il fiabista moderno europeo più famoso dopo i fratelli Grimm. Scritta nel 1844 e pubblicata nel 1845 sul secondo volume di Fiabe, la fiaba che segue ha per protagonista un abete perennemente scontento del suo stato presente e sempre proiettato verso una felicità futura che si rivelerà effimera e insoddisfacente. Analogamente a quelle persone che aspettano sempre che il presente passi nella speranza di un miglioramento e che scoprono troppo tardi che i momenti migliori della loro vita si trovano ormai alle loro spalle, anche l'abete
brucerà la sua esistenza nell'attesa, incapace di godere delle gioie del presente.


Nota: testo reperito su Wikisource, traduzione di Maria Pezzé-Pascolato. 



L'abete


C’era una volta nel bosco un piccolo abete, che avrebbe dovuto essere molto contento della propria sorte: era bello, e in ottima posizione; aveva sole e aria quanta mai ne potesse desiderare, e amici più grandi di lui, pini ed abeti, che gli stavan d’attorno a tenergli compagnia. Ma egli non aveva che una smania sola: crescere. Non gli importava di sole caldo né di aria fresca; né si curava dei contadinelli che gli passavano dinanzi chiacchierando, quando venivano al bosco in cerca di fragole e di more. Spesso, quando ne avevano colto tutto un panierino, o quando avevan fatto una coroncina di fragole, infilate su di una paglia, venivano a sedere accanto al piccolo abete, e dicevano: "Com’è grazioso, così piccolino!" - Ma all’abete quel complimento poco garbava.
L’anno appresso era cresciuto di un nodo intero, e l’anno dopo ancora, di un altro; perché negli abeti dal numero dei nodi si può sempre dire il numero degli anni che sono cresciuti.
"Oh, se fossi alto come quell’albero laggiù!" - sospirava il piccolo abete: "Allora sì, che stenderei i miei bravi rami in lungo e in largo, e dalla mia vetta guarderei per tutto il mondo. Allora gli uccelli potrebbero fare il nido tra le mie fronde, e, quando tira vento, potrei accennare a dondolarmi superbamente anch’io come i grandi."
Non trovava piacere nel calore del sole, negli uccellini, nelle nuvole di porpora che passavano sul suo capo mattina e sera.
Tal volta, nell’inverno, quando la neve era sparsa per tutto bianca e scintillante, una lepre veniva correndo a tutto spiano, e saltava pari pari sopra l’abete. Oh, gli faceva una rabbia... Ma gl’inverni passarono, uno dopo l’altro; e, quando giunse il terzo, il piccolo abete era divenuto così alto, che la lepre fu obbligata in vece a girargli attorno.
"Oh, crescere, crescere, divenir grandi, divenir vecchi! Ecco la sola cosa bella di questo mondo! - pensava il piccolo abete.
Ogni autunno solevano venire i taglialegna a segare gli alberi più alti; e così fecero anche quell’anno. Il piccolo abete, che oramai si era fatto bello alto, rabbrividiva dallo spavento, perché i grandi alberi maestosi piombavano a terra con fracasso; e poi avevan mozzati tutti i rami, così che rimanevano nudi, lunghi e sottili, da non riconoscerli nemmeno più. E poi erano caricati sui barocci, e i cavalli li trascinavano fuori dal bosco. Dove andavano? che destino li aspettava?
A primavera, quando venivano le rondini e la cicogna, l’alberello domandava loro: "Sapete dove li abbiano portati? Non li avete incontrati per via?"
Le rondini nulla ne sapevano; ma la cicogna, fatta pensosa, scrollava il capo e diceva:
"Sì, credo di saperne qualche cosa. Ho incontrato molti bastimenti nuovi, tornando dall’Egitto; e i bastimenti avevano certi alberi alti... M’immagino che fossero quelli. Odoravano di pino. Posso darti la mia parola ch’erano maestosi, molto maestosi."
"Oh, se fossi grande abbastanza da andar per mare! Che roba è questo mare? A che somiglia?"
"Sarebbe troppo lungo a spiegare..." - e la cicogna se ne andava per i fatti suoi.
"Godi la tua gioventù," - dicevano i raggi di sole: "Rallegrati della tua nuova altezza, della vita giovanile che è dentro di te."
E il vento baciava l’alberello, e la rugiada lo bagnava di lacrime; ma il piccolo abete non comprendeva.
All’avvicinarsi del Natale, furono tagliati certi abeti giovani giovani, taluni anche più giovani e più bassi del nostro alberello, il quale era in continua agitazione, dalla gran voglia che aveva di andarsene. Questi piccoli alberi, ed erano per l’appunto i più belli, si caricavano intatti, con tutti i loro rami, sopra i barocci, per portarli fuori del bosco.
"Ma dove vanno tutti?" - domandava l’abete: "Non sono più alti di me; uno, anzi, era molto più piccino. E perché a questi non tagliano i rami? Dove li portano?"
"Noi sì, che lo sappiamo! Noi sì, noi sì!" - pigolarono i passeri. "Laggiù, in città, noi guardiamo dentro dalle finestre. Noi sì, sappiamo dove li portano, noi sì! Oh bisogna vedere come li rivestono, con che lusso, con che splendore! Abbiamo guardato dentro dalle finestre, ed abbiamo veduto come li piantino nel mezzo della stanza calda e li adornino delle cose più belle - mele dorate, noci, dolci, balocchi, e centinaia e centinaia di candeline colorate."
"E poi? e poi?" domandava l’abete, e tremava persino, dalla vetta alle radici, per la grande ansietà: "E poi? che cosa avviene poi?"
"Poi? non abbiamo veduto altro. Ah, ma era una bellezza!"
"Chi sa ch’io non sia destinato un giorno ad una simile gloria?" - gridò l’albero allegramente: "È ancora meglio che viaggiar per mare. Ah, che struggimento! Vorrei che fosse oggi Natale! Oramai sono grande e grosso come quelli che furono menati via l’anno passato. Ah, mi par mill’anni d’essere sul baroccio! Mi par mill’anni d’essere nella stanza calda, tra tutta quella pompa, tra quello splendore! E poi? Già, deve poi venire qualche cosa di più bello ancora: se no, perché mi adornerebbero a quel modo? deve venire poi una grandezza, una gloria anche maggiore; ma quale? Oh, che struggimento, che struggimento! Non so nemmen io che cos’abbia per soffrire così!"
"Gioisci e contentati di noi!" - dicevano l’aria e il sole: "Rallegrati della tua fresca giovinezza nella foresta!"
Ma l’abete non si rallegrava punto: non faceva che crescere e crescere, inverno e estate, sempre più verde, d’un bel verde cupo. La gente diceva: "Che bell’albero!" - e, a Natale, fu tagliato prima di tutti gli altri. L’ascia andò profonda, sino al midollo, e l’albero cadde a terra con un sospiro; provava un dolore, una sensazione di sfinimento, non poteva davvero pensare a felicità: è così triste lasciare il posto dove si è nati e cresciuti... Sapeva che non avrebbe rivisti mai più i vecchi compagni, i piccoli cespugli ed i fiori ch’erano lì attorno - nemmeno gli uccelli, forse... Ah, il distacco fu tutt’altro che lieto!
L’albero non tornò in sè che quando fu scaricato in un cortile insieme con molti altri, e sentì dire:
"Questo sì, ch’è magnifico: non voglio vederne altri. Prendiamo questo."
Vennero due domestici in livrea gallonata, e portarono l’albero in una grande splendida sala. Le pareti erano tutte coperte di quadri, e presso una enorme stufa stavano due vasi della Cina con due leoni dorati sul coperchio: c’erano due poltrone a dondolo, e divani di broccato, e grandi tavole cariche di bei libri con le figure; e balocchi che valevano cento volte cento lire - almeno, così dicevano i bambini. E l’abete fu posto in un grande mastello pieno di sabbia; ma nessuno avrebbe detto che fosse un mastello, perché era stato ricoperto di stoffa verde, e collocato nel mezzo d’un bel tappeto a colori. Ah, come tremava, ora, il nostro abete! Che sarebbe accaduto? I domestici, ed anche le signorine di casa, incominciarono ad ornarlo. Ad un ramo appesero tante piccole reti intagliate nella carta colorata, ed ogni rete era piena di dolci; noci e mele dorate pendevano qua e là, che parevano nate sull’albero; e più di cento candeline, bianche, rosse e verdi, erano attaccate ai rami. Bambole, che sembravan vive - l’abete non ne aveva mai vedute, di simili, prima d’allora, - si dondolavano tra mezzo al fogliame; e su in alto, sulla vetta dell’albero, era inchiodata una stella di similoro. Insomma, una bellezza, come non se ne vedono.
"Questa sera," - dicevan tutti: "Questa sera ha da esser bello, tutto illuminato!"
"Ah!" - pensava l’albero: "Mi par mill’anni che venga sera, e che i lumicini sien tutti accesi! Quando sarà? Son curioso di sapere se gli alberi verranno dal bosco per vedermi! E i passeri? Chi sa se voleranno contro ai vetri delle finestre? Chi sa come crescerò, qui, tutto adorno così, estate e inverno!"
Sì, l’aveva per l’appunto inzeccata! Ma, a forza di allungare la vetta e di struggersi dal desiderio, s’era buscato un fortissimo mal di tronco; ed il mal di tronco è cattivo per gli alberi, come il mal di capo per gli uomini.
Finalmente le candeline furono accese. Che luccichìo! Che bellezza! L’albero tremava tanto, per tutti i rami, che una delle candele appiccò il fuoco ad un ramoscello verde, il quale n’ebbe una buona sbucciatura.
"Per amor di Dio!" - gridarono le signorine, e si precipitarono a spegnere il fuoco.
Ora l’albero non osava più nemmeno tremare. Ah, che spavento! Stava fermo fermo per non dar fuoco a qualcuno de’ suoi bei gingilli... E poi, tutti quei lumi lo stordivano. In quella le porte del salotto furono spalancate, ed una frotta di bimbi irruppe correndo, come se volessero rovesciare l’albero ed ogni cosa: i grandi li seguirono, con più calma. I piccini rimasero muti, a bocca aperta... oh, ma per un minuto soltanto: poi, principiarono a fare un chiasso così indiavolato, che la stanza ne rimbombava; e si misero a ballare rumorosamente intorno all’albero, e tutti i regali furono colti dai rami, uno dopo l’altro.
"Che fanno?" - pensava l’albero: "Ed ora, che cosa accadrà?"
Le candele andavano consumandosi, e quando erano tutte bruciate, sino al ramo, si spegnevano. Dopo che furono spente, fu permesso ai bambini di spogliare l’albero. Ah, ci si avventarono sopra con una furia, che tutti i rami scricchiolarono. Se la vetta non fosse stata assicurata al soffitto per mezzo della stellina di similoro, sarebbe certo caduto a terra.
I bambini ballavano per la stanza con i bei balocchi nuovi. Nessuno guardava più l’albero, all’infuori della vecchia bambinaia, che gli si accostò e spiò tra i rami; ma soltanto per vedere se mai un fico od una mela vi fosse rimasta dimenticata.
"Una novella! una novella!" - gridarono i bambini, e strascinavano verso l’albero un piccolo signore grasso; ed egli vi si sedette sotto: "Così saremo in un bel bosco verde," - disse; "e l’albero avrà la fortuna di sentire la novella. Ma non ve ne posso raccontare che una sola. Volete quella di Ivede-Avede, oppure quella di Zucchettino-Durettino, che cadde giù dallo scalino, ma poi tornò su, e fu rimesso in onore e sposò la Principessa?"
"Ivede-Avede!" - gridarono alcuni. "Zucchettino-Durettino!" - urlarono gli altri; e ci furono strilli e ci furono anche pianti. L’abete solo rimaneva zitto zitto e pensava: "O io? Che non ci abbia ad entrare?" Ma egli aveva avuto la sua parte nei divertimenti della serata, ed aveva dato, oramai, quello che da lui si voleva.
E il signore grasso raccontò di Zucchettino, che era caduto giù dallo scalino, ma poi era salito ai più alti onori ed aveva sposato la Principessa. E i bambini batterono le mani e gridarono: "Un’altra! un’altra! Raccontane un’altra!" perché ora volevano la novella di Ivede-Avede; ma dovettero accontentarsi di quella di Zucchettino. L’abete se ne stava zitto zitto, tutto pensieroso: mai gli uccelli del bosco avevano raccontato una storia simile. "Zucchettino era caduto, e pure era tornato in onore, ed aveva sposato la Principessa! Sì, così accade nel mondo!" - pensava l’abete, e credeva che fosse tutto vero verissimo: quegli che aveva raccontato la storia era un signore così per bene!...
"Dopo tutto, chi può dire mai nulla? Forse che anch’io cadrò, e poi sposerò una Principessa!" Ed in tanto si rallegrava tutto al pensiero d’essere adornato di nuovo, la sera dopo, con tanti lumicini e tanti balocchi, e frutta e lustrini: "Domani non tremerò mica più!" - pensava: "Sarò, in vece, tutto felice del mio splendore. Domani, sentirò di nuovo la storia di Zucchettino-Durettino, e forse, chi sa? imparerò anche quell’altra, di Ivede-Avede..."
E l’albero rimase fermo tutta la notte, a pensare.
La mattina entrarono i domestici e la cameriera.
"Ecco che ora ricomincia il mio splendore!" - pensò l’albero. Ma, in vece, fu portato fuori del salotto, e su per la scala, sin nel solaio, in un angolo buio, dove nemmeno arrivava un raggio di sole.
"Che significa questa faccenda?" - pensò l’albero: "Che vogliono che faccia qui? Ed ora, che cosa accadrà?"
E si appoggiò al muro, e stette lì a pensare, a pensare. E tempo n’ebbe sin troppo, perch* passarono i giorni e le notti, e mai che venisse alcuno; e quando finalmente uno capitò, non fu se non per deporre in un angolo certe grandi casse. Così l’albero rimaneva ora del tutto nascosto: probabilmente, lo avevano dimenticato.
"Fuori è inverno, ora" - pensava l’albero: "la terra è dura e coperta di neve, e non potrebbero piantarmi; sarà per questo che mi tengono qui al riparo sin che non torni la primavera. Quanti riguardi! Che buona gente! Ah, se non fosse questo buio e questa terribile solitudine!... Mai che si veda nemmeno un leprottino! Era bello, però, il bosco, quando c’era la neve alta, e la lepre passava correndo; sì, anche quando mi passava sopra d’un salto... Allora, mi faceva arrabbiare... Che malinconia in questa solitudine!"
"Piip, piip!" - disse a un tratto un topolino, e fece qualche passo avanti; e poi ne venne subito un altro, piccolino piccolino. Fiutarono l’abete, e si ficcarono tra mezzo ai rami.
"Fa tanto freddo..." - dissero i due topolini: "Se non fosse freddo, si starebbe abbastanza comodi quassù; non le pare, vecchio abete?"
"Non son punto vecchio," - disse l’abete: "Ce ne sono molti e molti più vecchi di me."
"Di dove viene?" - domandarono i topolini "E che nuove porta?" (Erano terribilmente curiosi.) "Ci racconti, la prego, del più bel paese del mondo. C’è stato lei? È stato nella dispensa, dove ci sono i formaggi sopra gli scaffali, e i prosciutti pendono dalla travatura, dove si può ballare sui pacchi di candele, dove si va dentro magri e si esce grassi grassi?"
"Non conosco questo paese;" - rispose l’abete: "Ma conosco il bosco, dove il sole splende e gli uccelli cantano."
E allora raccontò del tempo della sua giovinezza.
I topolini, che non avevano mai udito nulla di simile, stavano attenti; poi dissero: "Quante cose ha vedute lei, signor abete, e come dev’essere stato felice!"
"Io?" - esclamò l’abete, e ripensò a tutto quello che aveva raccontato: "Sì, davvero che quelli erano tempi felici!" Ma poi raccontò della sera di Natale, quand’era tutto carico di dolci e di candeline.
"Oh!" - disse il topo più piccino: "Come dev’essere stato felice lei, nonno abete!"
"Ma non sono nonno, non sono vecchio io!" - disse l’abete: "Sono uscito dal bosco appena quest’inverno. Sono nel fiore dell’età; gli è soltanto che sono cresciuto un po’ in fretta."
"Che magnifiche novelle sa raccontare lei!" - disse il topolino.
E la notte dopo, vennero con altri quattro topolini a sentire quello che l’albero sapeva raccontare così bene; e più raccontava, e più chiaro gli si riaffacciava il ricordo di tutto, e pensava: "Quelli erano tempi lieti! Ma possono tornare. Anche Zucchettino-Durettino cadde dallo scalino, ma poi sposò la Principessina." E allora l’abete ripensò ad una graziosa betulla, che cresceva nella foresta; per l’abete, quell’alberella era una vera Principessa.
"Chi è Zucchettino-Durettino?" - domandò il topo più piccolo.
L’abete gliene raccontò tutta la storia. La ricordava parola per parola; e i topolini, dalla gioia, per poco non gli saltarono sino in vetta. La notte dopo, vennero addirittura in frotta; e la domenica comparvero persino due ratti; ma questi dissero che la storia non era bella, e ai topolini ciò rincrebbe, perché ora non piaceva più tanto nemmeno a loro.
"Non ne sa altre, novelle?" - domandarono i ratti.
"Non so che questa;" - rispose l’albero: "La udii nella più bella serata della mia vita: non sapevo, allora, quanto fossi felice."
"È una storia molto meschina. Non ne sa una di prosciutti e di candele di sego? non sa storielle di dispensa?"
"No," - disse l’albero.
"E allora, servi devoti!" - dissero i ratti; e tornarono alle loro famiglie. Anche i topolini alla fine se ne andarono; e l’abete sospirò, e disse:
"Era bello, però, quando mi stavano tutti attorno, quei cari topolini così allegri, ed ascoltavano i miei racconti. Ora, è finita anche questa. Ma mi ricorderò di essere contento quando mi levano di qui".
Quando lo levarono? Mah! Fu una mattina che la gente di casa venne su a frugare per tutto il solaio: le grandi casse furono scostate, e l’albero fu scovato fuori: veramente, lo buttarono a terra con certo mal garbo; ma poi un domestico lo strascinò subito sulla scala, alla luce del giorno.
"Ah! la vita ricomincia!" - pensò l’abete.
Sentì la prima aria fresca, i primi raggi di sole, e si trovò fuori, in un cortile. Tutto ciò era accaduto così rapidamente, che l’albero aveva dimenticato di guardare a se stesso: c’era tanto da guardare intorno a lui!... Il cortile confinava con un giardino; e nel giardino, tutto era in fiore: le rose pendevano fresche e profumate al disopra del piccolo steccato; i gigli erano in piena fioritura, e le rondini gridavano "Videvit! Videvit! Viene mio marito-marit!" Ma non intendevano già con questo di parlare dell’abete.
"Ora sì, che vivrò!" - disse l’abete tutto allegro, e distese un po’ più le braccia... Ma, ahimè! Erano tutte secche e gialle; ed egli si vide buttato là, in un angolo, tra le ortiche e le male erbacce. Sulla vetta aveva ancora la stella di similoro, che scintillava al sole.
Nel cortile giocavano due di quegli allegri fanciulli che avevano ballato intorno all’albero la sera di Natale, e lo avevano tanto ammirato. Il più piccino corse a strappargli la stellina dorata.
"Guarda che cosa c’è attaccato a quel brutto alberaccio!" - disse il bambino; e calpestò le rame, che scricchiolarono sotto alle sue scarpette.
L’albero guardò a tutti i fiori lussureggianti, a tutti gli splendori del giardino, e poi guardò a se stesso, e gli dolse di non essere rimasto nell’angolo buio del solaio: ripensò alla sua fresca giovinezza nel bosco; alla lieta notte di Natale; ai topolini, che avevano ascoltato con tanto piacere la novella di Zucchettino.
"È finita! è finita!" - disse il vecchio albero: "Almeno avessi goduto quando potevo! È finita, finita, finita!"
Venne un domestico, segò l’albero in pezzi, e ne fece una fascina. La fascina mandò una bella fiamma sotto la caldaia che bolliva, e sospirò profondamente; ed ogni sospiro era come un lieve scoppiettìo. I bambini, che giocavano lì attorno, corsero a mettersi dinanzi al fuoco; e guardavano, e facevano: "Puff Puff!" Ma ad ognuno di quegli scoppiettii, che era un profondo sospiro, l’albero pensava ad una bella giornata d’estate nel bosco, o ad una notte d’inverno, quando le stelle scintillavano sopra gli abeti; pensava alla sera di Natale ed alla novella di Zucchettino, l’unica novella che avesse mai sentita, l’unica che avesse mai saputo raccontare... E finalmente, l’abete fu tutto finito di bruciare.
Poco dopo i bambini giocavano nel giardino, ed il più piccolo aveva appuntata sul petto una stella dorata, proprio quella che l’abete aveva portata nella più bella serata della sua vita. Era finita, ora: finita la vita dell’albero, e finita anche la novella: finita, finita, finita, come accade di tutte le novelle.



Hans Christian Andersen nacque nel 1805 a Odense, in Danimarca, da famiglia povera e al margine. Odense era ancora poco più che un villaggio agricolo immerso nelle superstizioni e nelle tradizioni, lontanissimo dalla società moderna che Hans troverà a Copenaghen nel 1819, dove si trasferirà per cercar fortuna a soli quattordici anni, nella segreta speranza di diventare attore. Ritenuto troppo magro per il teatro, Hans si impiegò come operaio e garzone. Dopo una brevissima carriera come soprano, Andersen venne ospitato e istruito dal direttore del Teatro Reale, avendo l'occasione di entrare in contatto con le classi alte e addirittura con il re di Danimarca, il quale, presolo in simpatia, lo mantenne agli studi. In seguito agli anni di difficoltosa formazione, dovuti alla sua dislessia e alla frammentarietà dell'educazione ricevuta nell'infanzia, Andersen riuscì a entrare nel 1828 nella facoltà di Filosofia dell'Università di Copenaghen. Tra il 1854 e il 1879, Andersen pubblicò poesie, racconti, romanzi, opere teatrali, vaudevilles e fiabe per un totale di trentatré volumi di lavori.
I romanzi O.T. e Soltanto violinista ricevettero un buon riscontro presso il pubblico, tanto che nel 1848 venne riconosciuto all'autore un vitalizio che gli consentì di non dover più scrivere per necessità economiche. Dal resoconto del viaggio in Germania, Italia, Malta, Grecia, Turchia, nasce il Bazar di un poeta.
Andersen morì nel 1975 a Copenaghen. Sembra che, prima di morire, avesse chiesto alla padrona di casa di tagliargli un'arteria e di far incidere sulla sua lapide "Non sono morto davvero".
Tra le più famose fiabe di Andersen ricordiamo La principessa sul pisello, Pollicina, La sirenetta, I vestiti nuovi dell'imperatore, Il soldatino di stagno, Il brutto anatroccolo, La regina delle nevi, La piccola fiammiferaia.

18 dicembre 2011

Il condominio - James G. Ballard

Un elegante condominio in una zona residenziale, costruito secondo le più avanzate tecnologie, è in grado di garantire l'isolamento ai suoi residenti ma si dimostrerà incapace di difenderli da loro stessi. Il grattacielo londinese di vetro e cemento, alto quaranta piani e con mille appartamenti, è il teatro della generale ricaduta nella barbarie di un'intera classe sociale emergente. Viene a mancare l'elettricità ed è la fine della civiltà, la metamorfosi da paradiso a inferno, la nascita di clan rivali, il via libera a istinti primordiali e violenza. Il condominio, con i piani inferiori destinati alle classi inferiori, e dove via via che si sale in altezza si sale anche di gerarchia sociale, si trasforma in un incubo.

Recensione

Il Condominio è senz'altro uno dei più noti romanzi di J.G. Ballard, al punto da non aver bisogno di una presentazione. Un avveniristico grattacielo abitato da duemila inquilini, appartamenti di tutti i tipi, piscine, ristoranti e scuole, un ambiente claustrofobicamente chiuso e autonomo, una vera e propria città verticale: simbolo e metafora dell'età contemporanea. Leggere questo romanzo, del quale ho sempre sentito parlare, non ne ha però arricchito la conoscenza. E' il vizio dei romanzi a tesi, inevitabile.

Il condominio, con la sua ovvia suddivisione gerarchica, diviene prigione e poi sede di liberazione dell'uomo contemporaneo, attraverso il ricorso ad una crescente violenza che lo spoglierà letteralmente, riportandolo ad una condizione originaria di selvatica libertà. Chi si appresti a leggere questo romanzo sappia però che non vi troverà nulla di più di quanto appena detto: ciò che costituisce il breve romanzo, a parte qualche sporadica e necessaria riflessione, è una successione monotona di eventi e descrizioni ripetitive: la trama, insomma, ben presto diventa completamente superflua. La costante, voyeuristica descrizione minuta degli eventi, degli screzi tra gli inquilini, dei saccheggi degli appartamenti contribuisce ben poco alla formulazione della tesi di fondo, e facilmente viene a noia.

Ciò che rimane sono poche riflessioni lucide su temi cari a Ballard, la violenza, la libertà sessuale, la condizione dell'uomo contemporaneo - tutte tematiche più volte affrontate in altri romanzi e, devo dire, con risultati più soddisfacenti.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Il condominio
  • Titolo originale: High Rise
  • Autore: James G. Ballard
  • Traduttore: P. Lagorio
  • Editore: Feltrinelli
  • Data di Pubblicazione: 2003
  • Collana: Universale economica
  • ISBN-13: 9788807817557
  • Pagine: 192
  • Formato - Prezzo: Brossura - 7,50 Euro

17 dicembre 2011

Una storia sbagliata - Carlo Capparelli

Nell'autunno del 1962, il commissario Merùmeni raggiunge Orbetello, un comune toscano affacciato sul mar Tirreno, in un'Italia che non ha mai partecipato alla Seconda guerra mondiale.
Vige ancora il regime fascista, benché in declino; la morte del gerarca Italo Balbo, sulla quale si indaga, non fa che accelerare la fine della dittatura.
Il Bel Paese di questa dimensione parallela, va riallineandosi con la realtà che conosciamo, riportando il corso della storia alla normalità. Un intreccio di personaggi e vicende costellano un panorama alternativo, ma in fondo riconoscibile e credibile.
L'inquietante premessa storica si scioglie in un processo "correttivo" della linea temporale, inducendo una riflessione sul corso degli eventi e il loro esito.

Recensione

Il genere 'ucronìa' è un'apparizione alquanto insolita sugli scaffali degli scrittori italiani e infatti quella di Capparelli sulla storia recente dello Stivale è una pubblicazione in formato digitale, insolita e, pur con qualche limite, apprezzabile.

Il romanzo ucronico ambientato in un'Italietta che si avvia a diventare postfascista e si sveglia sull'orlo del boom industriale procede su diverse linee temporali.
Una è quella delle indagini legate alla morte di Italo Balbo, non più abbattutto nella campagna d'Africa ma in un incidente aereo dalle cause misteriose, che rischia di portare a galla i retroscena politici e finanziari della sua Fondazione nei pressi di Orbetello.
L'altra è quella che segue il ritmo onirico e farneticante dei deliri dell'uomo della Provvidenza, che negli ultimi scampoli dell'agonia segue il filo dei ricordi in un colloquio immaginario con l'antico sodale Italo Balbo, e il cui nome rimane però una sorta di tabù.
>Mussolini giace in un letto d'ospedale, tenuto in vita per garantire che la transizione verso un regime meno autoritario - ma non necessariamente più democratico - segua un percorso prefissato, e diventa così, ridotto a una massa di carne inerte e vaneggiante, il feticcio di un apparato burocratico e politico che tenta di perpetuarsi secondo il noto teorema del Gattopardo, per il quale, affinché nulla cambi, tutto deve cambiare.
Un degno contrappasso, la morte lenta, impotente e inconsapevole, per un personaggio che nel bene (pochissimo) e nel male (estremo) aveva fatto della 'volontà di potenza' un principio irrinunciabile, non solo politico.
Il protagonista, l'ispettore Merùmeni, è personaggio emblematico di questo trasformismo portato avanti dai servizi segreti: agisce nella provincia toscana come manovratore per conto della centrale romana di polizia politica, ma non si lascia manipolare fino in fondo dal sistema.

La trama del giallo si intreccia con lo scenario attraverso la morte di due donne che sono legate al gerarca fascista da poco scomparso e le cui storie potrebbero mettere in seria difficoltà il regime sul punto di una svolta epocale: dopo un quarantennio di dittatura - non si parla di 'ventennio', dato che in questa realtà ucronica Mussolini ha saggiamente di entrare nella II guerra mondiale ed è rimasto in sella al governo, come è accaduto, davvero, al generalissimo Franco in Spagna - l'establishment del Partito, consapevole forse di non poter resistere alla morte del suo leader, tenta un traghettamento verso la democrazia con delle 'libere' elezioni, cui sono ammessi alcuni altri partiti riconosciuti, cioè i socialisti moderati e i popolari del dopo Sturzo.

Rimangono fuori dal confronto politico le 'bestie nere' bolsceviche e il mistero riguarda proprio presunti rapporti tenuti da Balbo con alcuni esponenti dell'opposizione clandestina: su questo versante l'intreccio però diventa piuttosto involuto, mettendo in campo anche i controspionaggi stranieri e una serie di complicate evoluzioni politiche che non sempre si riesce a seguire tra storia e finzione.

Il rischio del genere ucronìa è proprio questo: rimanere in bilico tra le dimensioni del verso e dell'immaginario richiede una forte coerenza interna e una notevole chiarezza, che non si trovano con costanza in tutto lo svolgimento di 'Una storia sbagliata'. Anche perché l'interesse che polarizza le scelte è più di natura descrittiva che narrativa: l'autore richiama, citazioni più o meno dirette, l'ambiente letterario italiano del dopoguerra, da Gadda in poi e in questo ambito crea dei personaggi davvero interessanti, tanto da far pensare che la realtà storica divergente sia solo uno sfondo per approfondire le sfaccettature del protagonista, i suoi conflitti interiori e il contrasto tra la forza esibita e le sue debolezze.

Dalle curiosità dei proverbi napoletani sciorinati da Fragapane, il sottoposto di Merùmeni, in riposta silente alle angherie del superiore, alle digressioni dell'ispettore sui ricordi delle sue esperienze coloniali di spia sullo scacchiere mediorientale, alle piccinerie di loschi figuri di secondo piano come il federale di Grosseto, diviso tra ambizioni poltronistiche e ruberie di danaro pubblico, il racconto snocciola una sequela di episodi e dettagli che ha il sapore di una galleria di ritratti, sospesa tra il lombrosiano e il satirico.

La descrizione dell'italica provincia, permeata di vizi privati (nascosti) e pubbliche virtù (millantate), fornisce una serie di spunti di genere che vengono valorizzati dallo stile attento alla ricerca linguistica, colorito e ricco di sfumature e crea il contesto ideale per modellare un protagonista forte come Merùmeni, le cui contorsioni mentali costituiscono il fulcro della trama, e alcuni personaggi meno approfonditi ma comunque ben tratteggiati: oltre all'appuntato Fragapane va sicuramente considerato nel novero 'La Vecchia'.

Questi, diretto superiore di Merùmeni nelle gerarchie del controspionaggio agisce, com'è giusto per un'eminenza grigia, su diverse partite contemporaneamente e fa del doppiogiochismo un credo: la sua figura richiama l'archetipo del 'grande vecchio', che si trova naturalmente a suo agio, salvo imprevisti, in una situazione che sta cambiando e che necessita di garanzie per gli equilibri economici e politici trasversali. In Italia il Gattopardo regna sovrano anche nelle storie parallele...

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Una storia sbagliata
  • Autore: Carlo Capparelli
  • Editore: Io Scrittore
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Collana: -
  • ISBN-13: 9788897148470
  • Pagine: 380
  • Formato - Prezzo: Ebook acquistabile qui, qui, qui o qui - 5,99 €

15 dicembre 2011

Novità editoriali: Fanucci lancia TimeCrime

Dal 5 gennaio troverete il libreria un nuovo marchio editoriale dedicato esclusivamente al thriller, in tutte le sue forme: TimeCrime. Si tratta di una costola del gruppo Fanucci, realtà consolidata nel campo dell'editoria italiana da diversi decenni. Se la casa editrice romana è riuscita negli anni a ritagliarsi un ruolo significativo nel settore del fantasy e della fantascienza, anche grazie al possesso dei diritti esclusivi di pubblicazione per l'Italia del grande Philip K. Dick, ora ha deciso di ampliare il proprio raggio d'azione e con il marchio TimeCrime si lancia in una nuova sfida che mira a conquistare già nel 2012 una fetta di mercato significativa in un ambito già piuttosto consolidato come quello della narrativa poliziesca.

Fanucci ritiene infatti che ci sia ancora spazio per "una realtà indipendente, innovativa, snella e attenta ad offrire ai propri lettori prodotti curati nelle traduzioni, nell’editing e nell’estetica e con un occhio attento al prezzo di copertina".
TimeCrime si propone infatti di accontentare gli amanti del thriller di qualsiasi genere, dallo storico al poliziesco, dal noir al mistery pubblicando sia autori/titoli inediti, magari anche in anteprima mondiale, sia riproponendo romanzi cult del passato divenuti oramai introvabili. La casa editrice si concentrerà su autori inglesi, americani, australiani e italiani, seguendo per questi ultimi il filo conduttore della "località", ossia privilegiando storie fortemente caratterizzate dal territorio in cui si svolgono, sulla scia dei romanzo di Camilleri e Carlotto. Non verranno però dimenticati scrittori di altre nazionalità, sia che provengano dalle vicine Francia e Spagna, sia dalla lontana America del Sud.

Il progetto mira a pubblicare almeno trenta novità all'anno in edizioni sarà rilegate con sovraccoperta a soli euro 7,70, prezzo decisamente vantaggioso nel panorama attuale delle nuove uscite.

Come detto, i primi titoli della nuova casa editrice arriveranno in libreria a gennaio, siamo tuttavia già in grado di darvi un'anticipazione sulle prime tre uscite della collana:


L'ombra della verità di Karin Slaughter

Quando l’agente Michael Ormewood, del dipartimento di polizia di Atlanta, viene chiamato in un quartiere popolare di Atlanta, si trova di fronte ad un omicidio brutale: Aleesha Monroe giace in un lago di sangue, il corpo orribilmente mutilato. Ora dopo ora, appare evidente che l’omicidio della donna non è tuttavia destinato a rimanere isolato: poco dopo, il cadavere mutilato della vicina di casa di Michael, Cynthia Barrett, viene trovato nel cortile posteriore della sua villetta. Ormewood si trova costretto a collaborare con l’agente del Georgia Bureau of Investigation Will Trent, un uomo che detesta, perché l’omicidio sembra avere parecchie somiglianze con altri due crimini verificatisi nello Stato. Eppure, qualcosa non torna: tra i diversi casi ci sono delle incongruenze, dei dettagli che aprono la strada a ipotesi investigative diverse. Forse non si è in presenza di un unico serial killer, forse il mistero celato dietro la morte delle due donne è inestricabilmente legato a un passato che rifiuta di essere sepolto.
(pp. 520 - € 7.70)


Venti corpi nella neve di Giuliano Pasini

Case Rosse, minuscolo borgo nell’Appennino tosco-emiliano, ha un primato: è la sede del commissariato più piccolo d’Italia, diretto da Roberto Serra – che viene da Roma ed è considerato uno de fòra – con l’aiuto dell’agente Manzini. Non succede mai nulla se non qualche rissa tra ubriachi il sabato sera. Ma la notte del Capodanno del 1995 una telefonata sveglia Manzini in piena notte. Ci sono tre cadaveri al Prà grand, uccisi senza pietà. I due poliziotti accorrono sul luogo del delitto e vi trovano il sindaco del paese e alcuni curiosi che hanno compromesso irrimediabilmente la scena del crimine. Uno spettacolo raccapricciante si presenta ai loro occhi: un uomo, una donna e una bambina sono stati colpiti a morte da distanza ravvicinata con un fucile. È un’esecuzione, senza alcun dubbio. Ma non ci sono schizzi di sangue intorno alle vittime e la loro posizione non combacia con la traiettoria degli spari. A chi appartengono questi corpi così straziati che chiedono giustizia? Chi ha violato la pace di quel piccolo paese perso tra le montagne, e per quale motivo?
(pp. 304 - € 7.70)


In difesa di Jacob di Wlliam Landay

Andy Barber, da più di vent’anni braccio destro del procuratore distrettuale, è un uomo rispettato, un marito e un padre devoto, e ha davanti a sé una carriera sicura. Sa bene cosa può nascondere la vita di una persona, quali colpe possono essere taciute, ma la sua è un’esistenza serena e l’amore per sua moglie e suo figlio non ha limiti. Tutto sembra andare per il verso giusto per lui e la sua famiglia.
Ma certe convinzioni a volte sono esposte ai capricci del destino o alle conseguenze di piccoli gesti. Così, un giorno, quasi per caso, piomba su di loro un’accusa inaudita: il figlio di Andy, Jacob, poco più che un bambino, viene indagato per omicidio. Un suo compagno di classe è stato accoltellato nel parco poco prima dell’inizio delle lezioni. Il ragazzo proclama la propria innocenza e Andy gli crede. Ma c’è qualcosa che non torna, l’impianto accusatorio è dannatamente convincente: e se qualcosa fosse sfuggito all’attenzione di Andy? E se i quattordici anni di vita del figlio non fossero sufficienti per capire chi è realmente? E se Jacob, suo figlio, fosse alla fine un assassino?
(pp. 400 - € 7.70)



Vi lasciamo infine il sito ufficiale della nuova collana:
www.timecrime.it
TimeCrime su facebook:
http://www.facebook.com/pages/TimeCRIME/174614952636641
TimeCrime su Twitter:
https://twitter.com/#!/Time_Crime

11 dicembre 2011

Consigli natalizi - 2011 [Seconda parte]

Per le mamme, le suocere, le zie (che vi preghiamo di risparmiare dall'ennesimo libro delle varie Clerici e Parodi) una buona scelta potrebbe essere L'aiuto di Kathryn Stockett (Mondadori), la storia di una giovane aspirante scrittrice che decide di raccontare cosa vuol dire per una donna nera lavorare per una famiglia bianca nel Mississipi degli anni '50. Un romanzo corale femminile che affronta un tema spinoso con humour e sincerità.
Romanzo delicatissimo e di gran pregio, Le ore (Bompiani) di Michael Cunningham si è assicurato il Pulitzer nel '99 e nel 2002 ne è stata tratta una fedele versione cinematografica. Racconta i destini di tre donne vissute in luoghi e momenti storici diversi: Virginia Woolf, di cui viene narrato l'ultimo giorno; Laura Brown, madre depressa nell'America degli anni '50 che deve fare i conti con una seconda gravidanza; e Clarissa Vaughan, intellettuale newyorkese molto somigliante alla protagonista della Signora Dalloway. Si tratta dell'omaggio di Cunningham alla Woolf, di cui riprende stile, tecniche e temi, già chiaro dal titolo: The Hours era infatti il primo nome del romanzo che sarebbe in seguito diventato Mrs Dalloway.
Restando in tema di classici, Mondadori ha appena inaugurato una nuova collana, gli Oscar Classici Cult: un po' più costosi dei normali Oscar Classici (il prezzo è di tredici euro), hanno il pregio di essere pubblicati in graziose edizioni con copertina rigida in tela. Madame Bovary di Gustave Flaubert, Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, o ancora Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde potrebbero essere deliziose idee regalo.
Tornando alla letteratura contemporanea, ci viene in mente un romanzo che di natalizio non ha assolutamente nulla ma che ad aprire il cuore e la mente, in spirito - questo sì - natalizio, può aiutare. Il Dio delle piccole cose (Tea) è il romanzo di esordio della scrittrice anglo-indiana Arundhati Roy, un notevole successo editoriale di un po' di anni fa (1997). La storia è quella di una saga famigliare nell'India profonda, la piccola città d Ayemenem nel Kerala, verso la fine degli anni '70. Lo spirito libero di una donna cresciuta in una famiglia cristiana ed educata secondo principi troppo rigidi produce una ribellione catastrofica contro i pilastri morali e i tabù atavici di una società che si va facendo borghese a imitazione dell'Occidente su modello britannico-coloniale. Le tradizioni della danza katakhali narrano attraverso le sinuose movenze dei danzatori di come l'amore non sopporti leggi e costrizioni, di come l'India della pacifica non-violenza e della spiritualità perpetuasse l'ingiustizia sociale nella gerarchia orrenda delle caste e di come, infine, nella storia di un fratello e una sorella, che si ritrovano dopo le vicende tragiche che ne hanno segnato l'esistenza, si senta la presenza di un Dio piccolo e umile, dei piccoli sentimenti e delle vittorie tardive, che si manifesta soprattutto per gli ultimi e i piccoli.

Per fare invece una scorpacciata di atmosfera natalizia tipicamente anglosassone, un ritorno alla tradizione: Il Natale di Poirot di Agatha Christie (Mondadori). Il vecchio milionario Simeon Lee invita, per dare sfogo all'innato sadismo da anziano capitalista, la sua famiglia a passare le feste natalizie tutti riuniti in una lussuosa residenza nella campagna inglese: la posta in palio è la divisione dell'eredità, e il vecchio barbogio si prepara a godersi lo spettacolo dei fratelli-coltelli che lottano per i suoi favori, tirando fuori tutta la loro avidità. Il vecchio Lee si era premunito invitando nella sua magione anche i baffi impomatati di Poirot, ma non aveva messo in conto che i suoi amati virgulti sarebbero arrivati fino al parricidio. Così tra un pranzo di Natale e un tè al caldo del camino il sussiegoso detective belga si trova a dipanare un'indagine per un caso d'omicidio, il cui finale, come sempre, sorprende tutti ma non lui, che conosce a fondo la natura umana e sa usare le sue celluline grigie. Da leggere nelle sere delle feste, tenendo il gatto o un plaid sulle ginocchia, con una tazza di cioccolata calda, mentre fuori c'è un freddo becco!


Passiamo agli amici, ai colleghi o in ogni caso a consigli un po' più generici.
Storia finita male? Non volete consolare l'amico sfortunato in amore con una triste fetta di pandoro o panettone? Provate a mostrargli che, al mondo, tutti hanno problemi di cuore e che ci sono creature che stanno molto peggio di lui: mai sentito parlare del maschio della mantide religiosa? In Consigli sessuali per animali in crisi (Sironi) la Dottoressa Tatiana risponde lettera per lettera ai problemi dei suoi lettori-animali. Un libro agile e divertente che strapperà un sorriso ai più tristi e darà qualche spunto di riflessione anche sulla riproduzione di noi esemplari di homo sapiens.
Conoscete qualcuno preoccupato per il riscaldamento globale, la diffusione di virus mortali, i rapimenti alieni o altre terribili calamità che minacciano la razza umana? Una volta che si è preparati per un'apocalisse zombie, si è preparati per qualsiasi cosa: regalategli il Manuale per sopravvivere agli zombi di Max Brooks (Einaudi). Scoprirà come riconoscere, combattere e sfuggire ai non morti perdendo il minor numero possibile di arti.
Volendo fare un regalo più "serio", per amici e conoscenti medici c'è un bel libro di Ugo Ricciarelli, Ricucire la vita (Piemme): le vicende legate ai trapianti sono testimonianze incredibili di vita, un affascinante intreccio di sofferenza e allegria, di speranza e delusione, di fortuna e volontà, di molta di quella sostanza complessa che, come si può intuire, compone la materia di cui è fatta la vita degli uomini.
Amico nippofilo o semplicemente amante dei viaggi? Deprimetelo un po' (dopo averlo divertito, perché si tratta di un libro tremendamente divertente) con Autostop con Buddha di Will Ferguson (Feltrinelli), in cui l'autore racconta la storia vera della sua scommessa con se stesso, un viaggio in autostop attraverso il Giappone dal capo sud a quello nord. Un modo per conoscere tratti dei giapponesi e della loro cultura rifuggendo i soliti logori stereotipi: Will, voce narrante irriverentissima, viviseziona tutti coloro che incontra per metterne in evidenza le più divertenti contraddizioni. E, a proposito di quegli amici che sognano di andar via e cambiare la propria vita, proponiamo L'arte del piano B di Gianfranco Franchi (Piano B). In questo romanzo l'autore, sulla spinta del disagio che si vive quotidianamente, analizza le possibili vie di fuga dalla realtà sgradevole che ci circonda.
Una bella raccolta di racconti adatta un po' per tutti ma soprattutto per coloro che amano le storie dell'Italia contemporanea è invece Il tempo degli angeli e degli assassini di Antonio De Benedetti (Fandango Libri), antologia di qualità e deviazioni di un'Italia che sta cambiando.
All'uomo che non deve chiedere mai, o all'amante del noir e del gotico che ha già la casa piena di romanzi provenienti dalla Svervegia, consigliamo il misconosciuto Il teatro delle ossa di Stephen Gallagher (Piemme), un autore inglese dalla prolifica produzione. Atmosfere gotiche tra Ottocento e Novecento, con omaggi ai maestri del genere e una punta di soprannaturale che non guasta mai, per un romanzo che affronta il tema della redenzione. Eccezionale guest star Bram Stoker, celebre padre di Dracula, spalla immancabile del tormentato protagonista.


E passiamo all'attesa e amatissima sezione del trash del trash, ovvero: libri da regalare se il destinatario ha un tavolo azzoppato o un camino da accendere, se è di discutibili gusti, o se più sadicamente volete inviargli un messaggio ben chiaro.
Solitamente inserire in questa sezione libri per adolescenti è come sganciare un ordigno al napalm su un'ambulanza della Croce Rossa, in special modo se i libri in questione appartengono al mondo dei vampiri politically correct. Ma il primo libro che vi presentiamo è un palese spreco di carta come pochi che verrà probabilmente apprezzato da eventuali adolescenti lobotomizzate cui le circostanze vi impongono di fare un regalo: si tratta di Io sono Bella di Federica de Bortoli (UR Editore). Per chi fosse a digiuno di doppiaggio, la Bortoli è una delle voci più presenti nelle nostre tv, e in particolare è colei che dà voce a Kirsten Stewart nella saga cinematografica dei vampiri luccicanti. Cosa contiene tale capolavoro letterario? La vita della doppiatrice, che tra i tanti personaggi cui ha prestato la voce sceglie casualmente di parlare di quello più in voga in tempi di Breaking Dawn. Sento levarsi una voce: E ar popolo? Al popolo niente, ma ai nostri amici alberi una morte ingiusta e vana.

Orfani di un nuovo romanzo di Moccia da consigliarvi (peccato), vi segnaliamo l'ultimo lavoro del Moccia di chi snobba Moccia, ossia Fabio Volo: Le prime luci del mattino (Mondadori), nel caso in cui il destinatario abbia bisogno di consigli di vita non richiesti. Siamo sì orfani di Moccia ma purtroppo non di Bruno Vespa, che anche quest'anno entra di diritto nella categoria del trash con la sua ultima perla, Questo amore (Mondadori), per quelli tra di voi che vogliono andare sul sicuro regalando una schifezza garantita.
Dulcis in fundo, all'amica moralista integralista che non può far a meno di impicciarsi negli affari altrui ed elargire giudizi ed opinioni non richieste, niente di meglio del nuovo libro di Melissa P., In Italia si chiama amore (Bompiani). Più che un romanzo, un'indagine, con la quale l'autrice si infila tra le lenzuola delle coppie italiane: alla fortunata destinataria del regalo passerà sicuramente la voglia di farsi i fatti vostri!


Infine, per chi volesse fare un regalo doppio, quest'anno aggiungiamo una sezione mista dedicata a libri di esordienti della piccola e media editoria che, secondo noi, meritano l'acquisto. Quasi tutti i libri consigliati finora, quale più quale meno, sono di case editrici affermate e possono essere trovati in quasi ogni libreria. Se invece desiderate aiutare le piccole realtà e i nuovi autori a crescere potete fare uno sforzo in più in termini di reperimento e acquistare online (oppure farvi ordinare dai titolari delle librerie) i libri che ora vi consigliamo.
Se il destinatario ama il fantasy, ma è stanco della poltiglia informe che viene continuamente pubblicata, probabilmente apprezzerà Fabrizio Corselli. Il suo Drak'kast. Storie di draghi (Edizioni della Sera), infatti, non è un romanzo, ma un poemetto di quasi tremila versi ispirato ai mostri sacri della letteratura germanica antica (Edda, Beowulf, Nibelunghenlied), cui attinse Tolkien e da cui pertanto deriva la produzione fantastica moderna. Suggestivo, appassionante, e scritto da un autore di talento.
Parliamo adesso di vampiri, tasto dolente viste le ultime pubblicazioni, ed eppure Giusy de Nicolo fa la differenza: quello che vi proponiamo è un breve romanzo divertente e allo stesso tempo amaro, dannatamente irriverente. Si tratta di Porcaccia, un vampiro! (Mamma Editori), una storia noir ambientata nel mondo universitario barese che ha come protagonisti Andrea (detto Cespuglio), studente fuorisede, e Ludovico, vampiro tossico e bisex. Quanto di più lontano dalle melensaggini che continuano a invadere gli scaffali delle librerie grondando miele.
Sempre sulla scia del fantastico ma più sul filone del romanzo ucronico un'ottima proposta è Mastodon di Nox A.M. Ruit (Casini Editore), un'opera imponente che porta il lettore in una Roma Imperiale alternativa in cui gli dei sono tornati a camminare sulla terra e a interagire direttamente con gli uomini. Tra omicidi rituali, culti dionisiaci proibiti e intrighi di palazzo, il consacrato Branwen di Caledonia, favorito del dio Apollo, si trova suo malgrado coinvolto in un'avventura mozzafiato attraverso l'Impero da Bisanzio a Delfi, da Alessandria d'Egitto alla Siria, in cui dovrà lottare contro uomini e creature immortali, affrontando anche il suo avversario più grande: se stesso e il suo passato.
Cambiando totalmente genere coloro che amano riflettere sul nostro passato più recente osservandone l'influenza sul presente gradiranno sicuramente la Trilogia della Speranza di Massimo Cortese. Si tratta di tre piccoli romanzi, Candidato al consiglio d'Istituto, Non dobbiamo perderci d'animo e Un'opera dalle molte pretese (Edizioni Montag), nei quali l'autore mette a disposizione la propria esperienza personale, in alcuni casi al limite del grottesco, per riflettere con molta ironia sul nostro presente e il nostro futuro.
Per i più piccini invece vogliamo segnalare la splendida raccolta di racconti della giovane Antonella Monterisi, Dimitri e l'asterioide e tante altre storie per bambini (Book Sprint): un alieno verde, un bambino che vuole fare l’astronauta, un elfo che sembra uno gnomo ed un mantello spiegazzato trasporteranno i piccoli lettori in un mondo fantastico e un po' matto.

Per gli amanti della fotografia, invece proponiamo Fotografo dei sogni di Luca Strano (Book Sprint), un invito a seguire i propri sogni anche se la vita ti porta da un'altra parte. Per l'amante del noir c'è invece Torre di controllo di Giuseppe Foderaro (Sangel Edizioni), un romanzo che conduce il lettore nei meandri di una Milano insolita e sotterranea, carica di mistero e di colpi di scena.
Infine, a chi pensa che la fantascienza italiana sia solo un déjà-vu di quella statunitense, o - peggio - che non esistano scrittori italiani di fantascienza, consiglio d'obbligo è l'esordiente Silvio Donà e il suo Pinocchio 2112 (Leone Editore). Partendo dalla suggestione del titolo con il riferimento all'italianissimo Pinocchio, l'autore scrive un romanzo dalle atmosfere distopiche: un mondo futuro devastato in cui i sopravvissuti disumanizzati hanno dimenticato la letteratura e l'uso dei libri. Un'avventura dalla grande carica riflessiva - con tematiche come la paternità, il disastro ambientale, il ruolo della cultura -, in cui niente è come sembra, e che ben dimostra come sia possibile scrivere una fantascienza italiana che non sia solo narrativa di genere.


E con questo, cari lettori, vi auguriamo con notevole anticipo buone feste (laiche e religiose)!

 

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