1 settembre 2011

Dal libro al film: Il senso di Smilla per la neve

Quest' estate anche io ho ceduto al fascino del thriller nordeuropeo, ma sono andata a ripescare un "caso letterario" che risale ai primi anni '90. Si tratta de Il senso di Smilla per la neve, libro dello scrittore danese Peter Hoeg pubblicato nel 1992.

La storia ha inizio a Copenaghen, dove Smilla, una glaciologa di origini groenlandesi appassionata di matematica, vive un'esistenza fatta di silenzio e solitudine ("Per me la solitudine è come per altri la benedizione della chiesa. È la luce della grazia").
Nel muro di ghiaccio in cui Smilla si è volontariamente rinchiusa solo il piccolo Esajas era riuscito ad aprire uno spiraglio, ma ora il bambino è morto.

"Un bambino che nasce è qualcosa da cercare, qualcosa da seguire, una stella, un' aurora boreale, una colonna di energia nell'universo. Un bambino che muore è una crudeltà."
A questa crudeltà Smilla cercherà di trovare una spiegazione grazie al suo intuito e alla sua capacità di comprendere la neve e il ghiaccio, ma si troverà coinvolta in una storia particolarmente intricata che la riporterà al suo paese d'origine.

La trama è ricca, in certi punti sovraccarica, trabocca informazioni scientifiche, excursus etnografici, accenni ai più disparati problemi sociali (dall'alcolismo alla dipendenza da gioco d'azzardo passando per la droga). La scrittura è frammentata, fatta di pensieri apparentemente incompatibili con la storia, di ricordi, di flashback nei quali però l'autore utilizza sempre il presente, quasi a voler intersecare in un tempo indistinto i diversi piani temporali. Per questi procedimenti narrativi e per la complessità dell'intreccio non sarà sempre facile per il lettore riuscire a seguire Smilla senza smarrirsi fra i ghiacci della Groenlandia o nelle atmosfere grigie di Copenaghen. Tuttavia proprio questo mix di elementi conferisce incisività al romanzo, il ritmo è volutamente lento, non si tratta di una lettura scorrevole, la scrittura di Hoeg non scivola ma, al contrario, scava, arriva nel profondo.

Nel 1997 il regista Bille August ha tratto da questo libro un film dallo stesso titolo che vede Julia Ormond nei panni di Smilla e Gabriel Byrne in quelli del coprotagonista.
La sceneggiatura di Ann Biderman è piuttosto fedele al libro (anche se la narrazione, per ovvi motivi, viene resa in modo più lineare), le battute dei personaggi riproducono gli stessi dialoghi che troviamo nel romanzo. Tuttavia non si ritrova nel film lo stesso pathos, la stessa intensità che era essenziale nel libro. Credo che questo dipende dalla protagonista, vero punto debole del film: la Smilla di Hoeg ha una personalità molto complessa, forte, anticonvenzionale, incapace di guardare il mondo con l'ottica europea; quella del film non ha più la stessa forza, è banale, prevedibile sembra fin troppo omologata ai nostri standard.
Per quanto riguarda le immagini ho trovato molto belle quelle ambientate in Groenlandia, davvero evocative, molto meno quelle che riguardano Copenaghen (in realtà potrebbe trattarsi di una qualsiasi città innevata) che non riescono a rendere il senso di oppressione che è così evidente nel romanzo.


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