16 dicembre 2013

Listopia: I milleuno libri da leggere almeno una volta nella vita (#581 - 600)

Quante volte ci siamo imbattuti in una di queste liste? La stessa BBC ne aveva stilata una da cento libri (piuttosto faziosa, se volete la mia opinione). Scopo di queste liste, è noto, non è permettere al lettore di scoprire nuovi libri e nuovi autori, bensì distruggere ogni sua pretesa di letterato facendolo sentire oltremodo ignorante per il gran numero di volumi che, a fine lista, scopre di non aver non solo mai letto, ma nemmeno sentito nominare. Noi vi proponiamo questa, pubblicata in volume, che già da diversi anni circola più minacciosamente della videocassetta di The Ring (o di Pootie Tang - questa è pessima, se la capite vergognatevi) distruggendo l'autostima di ogni lettore che credeva di aver letto tutti o la maggior parte dei cosiddetti libri da leggere prima di morire. La lista in questione ha i suoi difetti. Intanto è stata stilata approssimativamente nel 2005, per cui la sezione 2000 risulta incompleta; inoltre mette in lista solo narrativa, ed è eccessivamente sbilanciata su romanzi pubblicati nel corso del 1900, glissando decisamente su quelli pre-Ottocento. Continuiamo con un'altra carrellata di venti romanzi: nel corso degli articoli vedremo quali sono stati pubblicati in Italia e quali risultano ancora inediti.



581. La miseria in bocca – Flann O’Brien (1941)

L'edizione originale, in irlandese, intitolata "An Béal Bocht", era firmata Myles na Gopaleen, uno dei molti pseudonimi del dublinese Brian O'Nolan. La traduzione inglese, "The Poor Mouth", portava come sottotitolo "una storiaccia sulla vita dura"; la presente edizione - cui è premesso un ampio e illuminante "Tentativo di omaggio a Flann O'Brien* di Gianni Celati (pp. 9-36) - non si rifà all'edizione originale ma alla traduzione inglese del 1973. Alla base di questo romanzo parodistico e grottesco, in cui pioggia, miseria, catastrofico squallore e graveolenze sembrano protagonisti, sta l'ossessione che incombe su tanti letterati irlandesi degli anni della "Rinascita Celtica" d'inizio secolo: il rapporto di continuità con la tradizione gaelica. L'esigenza di autenticità viene qui ridicolizzata nella figura degli studiosi Gaeligores che, nella loro furia etnografica, registrano la voce degli ultimi superstiti abitanti del Gaeltacht nell'ovest dell'Irlanda, e finiscono per scambiare i grugniti di un maiale per la vera "melodiosa parlata gaelica". L'autore che ha in apparenza un atteggiamento ironicamente distruttivo verso l'eredità culturale irlandese con i suoi stereotipi, paradossalmente compie con la sua opera un atto di fedeltà verso quella tradizione e ne è il preservatore. Di Flann O'Brien il lettore italiano conosce già due romanzi, entrambi pubblicati da Einaudi: "Una pinta di inchiostro irlandese" (1968), tradotto da Bruno Wilcock e "Il Terzo Poliziotto" (1971) tradotto da Bruno Fonzi.


582. The Living and the Dead – Patrick White (1941)

To hesitate on the edge of life or to plunge in and risk change--this is the dilemma explored in 'The Living and The Dead'. Patrick White's second novel is set in the thirties London and portrays the complex ebb and flow of relationships within the Standish family. Mrs Standish, ageing but still beautiful is drawn to secret liaisons, while her daughter Eden experiments openly and impulsively with left-wing politics and love affairs. Only the son, Elyot, remains an aloof and scholarly observer- until dramatic events shock him into sudden self-knowledge.


583. Hangover Square – Patrick Hamilton (1941)

L'esistenza di George Harvey Bone è scandita da una serie inquietante di “momenti morti”: un clic nella testa lo trasporta in un'altra vita, di cui, quando torna in sé, non sa e non ricorda niente. Una sera, per caso, George conosce Netta Longdon, e se ne innamora disperatamente. Ma Netta non è l'angelo che crede: è un’attricetta opportunista e crudele, una simpatizzante nazi-fascista, che non perde occasione per spillargli soldi e umiliarlo pubblicamente. Netta sarà anche la causa della sua discesa all'inferno. George è un uomo profondamente buono, ma tristemente solo e affamato d'amore: quando rivede John Littlejohn, vecchio amico dei tempi di scuola, la sua vita sembra prendere una svolta positiva. George vuole ricominciare, ma non sa che durante i suoi “momenti morti” l'altro sé stesso sta deliberatamente, minuziosamente architettando un piano per uccidere Netta e l'odiato Peter, uno dei numerosi amanti della donna...
Hamilton riesce a comunicare con grande efficacia l'ingenuità e la solitudine bagnata di whisky, gin e birra del mansueto George, che nella sua vita ha incontrato quasi sempre le persone sbagliate.


584. Tra un atto e l'altro – Virginia Woolf (1941)

Una mattina d'aprile del 1941 Virginia Woolf usciva di casa e si dirigeva come per una passeggiata verso il vicino fiume Ouse. A cinquantanove anni, la più grande scrittrice del Novecento aveva scelto di spegnere nel silenzioso fluire delle acque la tensione ormai insostenibile della sua esistenza. Sulla scrivania, due lettere di congedo e l'ultimo romanzo, "Tra un atto e l'altro", il più rarefatto e insieme il più struggente dei suoi capolavori. Tra un atto e l'altro di un'ingenua rappresentazione dilettantesca in un paese della campagna d'Inghilterra, si liberano i "momenti dell'essere" più squisitamente woolfiani: gli uomini, gli spettatori della vita, sono colti nel loro stato di protagonisti. Rigurgiti ansiosi, voluttuose fantasticherie, accensioni di desiderio, guizzi di rivolta, sottomissioni, monologanti lirismi percorrono un tempo neutro, un'ora zero della vita, e confluiscono in un unico stream che si oppone con fluida, magnetica tenacia alla tragica, banale fissità degli avvenimenti rappresentati. "Tra un atto e l'altro" è il romanzo del presente, del mobile, del fuggevole, del frammentario che anela a comporsi in unità, in una compiuta polifonia.


585. Il borgo – William Faulkner (1940)

Il Gomito del Francese è un territorio venti miglia a sud-est di Jefferson, Missouri, spartito «in tanti piccoli poderi ipotecati e miserabili», con il cotone a fondovalle e il granturco sulle alture. Dominus del luogo è Will Varner, il latifondista-usuraio dagli «occhietti duri e lustri», proprietario della scuola, della chiesa, dell’emporio e di una trentina di case. E sue emanazioni o ramificazioni sembrano tutti coloro che lo circondano: dal figlio Jody, florido tiroideo chiuso in un’«inviolabile aria di celibato», alla dionisiaca figlia Eula, che alla bellezza e all’eleganza unisce una «violenta e immune perversità», dai fittavoli al maestro di scuola, dal fabbro al piazzista di macchine da cucire. Ma l’equilibrio di questo microcosmo – fra semine e rimondature, battesimi e cantate – è nutrito dalla spietatezza di pulsioni elementari: sesso, denaro, aggressività.E ancora una volta William Faulkner ci attira in un flusso narrativo dove la magistrale rappresentazione storica (nessuno sa restituire come lui l’antropologia del Sud americano negli anni che seguono la Depressione) si intreccia con la dimensione mitico-naturalistica, in un ordito di formidabile potenza – quell’arcana potenza che è l’inconfondibile marchio del grande scrittore.


586. Addio, mia amata – Raymond Chandler (1940)

Sullo sfondo di una California ricca e corrotta, pullulante anche di miserabili in attesa del colpo grosso, Philiph Marlowe viene sguinzagliato sulle tracce di un marito scomparso. Si imbatte in un ex carcerato, uscito di galera dopo otto anni di detenzione, e da lui viene incaricato di trovare la sua donna, anche lei scomparsa. Ne nasce una vicenda a tinte forti, condita di ricatti e violenza, lusso e una lunga catena di delitti. Un autentico capolavoro del genere "hard boiled".


587. Per chi suona la campana – Ernest Hemingway (1940)

Robert Jordan è un giovane intellettuale americano volontario nell'esercito antifranchista. Il suo incarico consiste nel far saltare un ponte d'acciaio librato in territorio nemico. Per questa missione entra in contatto con la 'banda di Pablo', un gruppo di partigiani di cui fanno parte due donne: Pilar, moglie di Pablo, e Maria, una ragazza che incarna tutte le virtù morali e naturali che un uomo come Robert può desiderare. L'azione dura solo tre giorni, ma l'evento si dilata con fatti paralleli: la storia d'amore fra Robert e Maria, le conversazioni, i monologhi interiori, i richiami al passato. Pur attanagliato da mille dubbi, Robert darà l'ordine di far saltare il ponte anche se il suo sacrificio non avrà in sé alcun esito positivo.


588. Paura – Richard Wright (1940)

La storia racconta di un ragazzo di 20 anni, Bigger Thomas, un afroamericano in stato d'indigenza che vive nel ghetto South Side di Chicago negli anni trenta. Bigger si ritrova sempre nei pasticci, ma quando ottiene di lavorare presso la casa dei Daltons, una ricca famiglia bianca, sperimenta la realizzazione della sua identità.


589. Il potere e la gloria – Graham Greene (1940)

Un prete indegno, impuro, oggetto di una spietata caccia all'uomo nel Messico rivoluzionario, che perseguita e fucila i ministri di Dio.









590. Il deserto dei Tartari – Dino Buzzati (1940)

Giovanni Drogo, un sottotenente, viene mandato in una lontana fortezza. A nord della fortezza c'è il deserto da cui si attende un'invasione dei tartari. Ma l'invasione, sempre annunciata, non avviene e l'addestramento, i turni di guardia, l'organizzazione militare, appaiono cerimoniali senza senso. Quando Drogo torna in città per una promozione, si accorge di aver perso ogni contatto con il mondo e che ormai la sua unica ragione di vita è l'inutile attesa del nemico. Tornato alla fortezza, si ammala e proprio allora accade l'evento tanto aspettato: i tartari avanzano dal deserto. Nell'emozione e nella confusione del momento, senza che lui possa prendere parte ai preparativi di difesa, Drogo muore, dimenticato da tutti.


591. Partenza in gruppo – Henry Green (1939)

Siamo negli anni Venti. Una banda variopinta di esemplari della jeunesse dorée inglese, che il ricchissimo e affascinante Max ha invitato a sue spese a una partita di piacere in Francia, si è data appuntamento alla stazione. Un topos della narrativa, insomma. Ma – ci avverte V.S. Pritchett – Green appartiene alla «vena pazza» della letteratura inglese. Così una fitta nebbia grava sulla stazione (e sulla storia), una sostanza grigia che pervade subdolamente ogni cosa, provocando scompiglio e disorientamento: i treni infatti non partono, e ben presto si raduna una massa di pendolari potenzialmente pericolosi che induce i festaioli a rifugiarsi nell’albergo sopra la stazione. «Dalla prospettiva del capestro», costoro hanno modo di osservare quella che ha tutta l’aria di una mandria in attesa di essere macellata, con le valigie sparse e variamente pencolanti nell’oscurità come lapidi di un abnorme cimitero. E tutti si scoprono persi – ma non desisteranno dalla loro principale attività, che è civettare e sparlare, complici come sono nello sforzo di mantenere viva la conversazione. «Green» sono ancora parole di Pritchett «è dentro lo zoo umano, assorto, e di tanto in tanto lancia un'occhiata triste e stupefatta alle sbarre di cui si era momentaneamente dimenticato».


592. Furore – John Steinbeck (1939)

Pubblicato nel 1939, Furore è subito divenuto il romanzo simbolo della Grande Depressione americana. Nell'odissea della famiglia Joad, in penosa marcia, come migliaia e migliaia di americani, è ripercorsa la storia delle grandi, disperate migrazioni interne, lungo la Highway 66, verso lo sfruttamento, la miseria, la fame: un quadro potente e amaro di una dura Terra promessa dove la manodopera era sfruttata e mal pagata, dove ciascuno portava con sé la propria miseria "come un marchio di infamia".
John Steinbeck (1902-1968) fu insignito del Premio Nobel nel 1962.
"Furore" è anche un film del 1940, diretto da John Ford, con la sceneggiatura scritta dallo stesso Steinbeck, che ha ricevuto due premi oscar nel 1941.
L'American Film Institute l'ha inserito al 24° posto tra i 100 migliori film americani di tutti i tempi. [La nostra recensione]


593. Finnegans Wake – James Joyce (1939)

Opera leggendaria della letteratura contemporanea, Finnegans Wake è l'ultima fatica di James Joyce, stampata il giorno del suo cinquantasettesimo compleanno (il 2 febbraio del 1939). Con questo volume - il quarto pubblicato dagli Oscar - si completa la fatica di Luigi Schenoni, il geniale traduttore che ha affrontato la sfida di questo arduo testo. Con l'indispensabile ausilio del testo originale a fronte, esso dell'opera, ambientati nella taverna del protagonista, Humphrey Chimpden Earwicker, tra le 22 e le 23.30 di quell'unica giornata in cui, così come avviene nell'Ulisse, si svolge Finnegans Wake. Una giornata che simboleggia la parabola dell'esistenza, dalla nascita alla crescita, fino alla caduta, alla morte e alla resurrezione.


594. Una pinta d'inchiostro irlandese – Flann O’Brien (1939)

Questo romanzo rivelò Flann O’Brien nel 1939, l’anno di Finnegans Wake (e Joyce riconobbe subito in lui «un vero scrittore»). Oggi sappiamo che con questo libro cominciava a spuntare un nuovo, inconfondibile ramo nel grande albero irlandese della follia e della letteratura. Ma Flann O’Brien, bisogna aggiungere, non somiglia che a se stesso. «Come Dio, occorre definirlo con una tautologia» scrisse di lui Anthony Burgess.
I non pochi lettori che hanno già amato Il terzo poliziotto ritroveranno qui il sapore di un singolare, allarmante humour nero, surreale e iperreale, imperturbabile nella sua capacità di sconvolgere a ogni passo le carte dell’immaginazione. Non sarebbe urbano chiedere a qualcuno di raccontare la trama di un romanzo di Flann O’Brien. Basterà quindi dire, per chiarire le cose, che si tratta di un romanzo-dentro-un-romanzo-dentro-un-romanzo, che è esilarante, che contiene parodie di un vasto numero di generi letterari – dalla poesia dei bardi gaelici alla disputa erudita – e che Dylan Thomas lo consigliava come «il libro giusto da regalare alla propria sorella se è una sporca ubriacona chiassosa». Infine: è un romanzo di alto virtuosismo linguistico, che ha avuto la fortuna di trovare in Italia il traduttore più congeniale che si potesse escogitare, per estro e umori: J. Rodolfo Wilcock. Alla fine di queste pagine, il lettore non mancherà di assentire pensosamente alle parole di Graham Greene: «Ho letto questo libro con passione e divertendomi dall’inizio alla fine, oltre che con quella specie di esultanza che si prova a teatro quando qualcuno sfascia delle porcellane sulla scena».


595. Una boccata d'aria – George Orwell (1939)

Scritto alla vigilia della guerra, il romanzo di Orwell unisce alla condanna della grettezza del materialismo piccolo-borghese una sorta di nostalgia per i valori positivi tradizionali della società inglese che di lì a poco la guerra avrebbe spazzato via.







596. Addio a Berlino – Christopher Isherwood (1939)

«Io sono una macchina fotografica con l’obiettivo aperto» dichiara l’alter ego di Christopher Isherwood arrivando nell’autunno del 1930 a Berlino, dove resterà fino al 1933. Un obiettivo – si può aggiungere – inesorabile, attraverso il quale partecipiamo come dal vivo ai suoi incontri nel cuore pulsante di una Repubblica di Weimar che si avvia al suo fosco tramonto: da un’eccentrica, anziana affittacamere alla sensuale Sally Bowles, aspirante attrice un po’ svampita, a Otto, ombroso proletario diciassettenne, a Natalia Landauer, rampolla di una colta famiglia ebrea dell’alta società. Tra cabaret e caffè, tra case signorili e squallide pensioni, tra il puzzo delle cucine e quello delle latrine, tra file per il pane e manifestazioni di piazza, tra crisi economica e cupa euforia – da nulla dettata e in bilico sul Nulla –, Isherwood mette in scena «la prova generale di un disastro» e ci fa assistere alla «resistibile ascesa del nazismo». Non solo: cogliendo con ironia corrosiva i presaghi rintocchi che accompagnano la grandeur di un mondo «inutilmente solido e pesante», ci consegna una purissima, scabra narrazione che ci ricorda come la Storia – e ogni storia – sia sempre contemporanea.


597. Il tropico del Capricorno – Henry Miller (1939)

I sensi prima di tutto: con questo messaggio irruppe nella Parigi del 1939 "Tropico del Capricorno", a rinfocolare lo scandalo suscitato dal 'romanzo gemello' "Tropico del Cancro". È sempre Henry Miller a parlarci con la sua inconfondibile voce, raccontando in prima persona i suoi anni spesi a vivere, scrivere, bere e godere la New York di inizio Novecento. Tutto è chiaro, tutto è narrato con una sincerità disarmante, che poco lascia all'illazione e tutto offre alla comprensione, alla percezione diretta. La penna di Miller corre veloce come la corrente dell'Hudson, accecante come il sole sui vetri dei grattacieli, intinta nella polvere dei marciapiedi calcati da un'umanità ricca e miserabile, creativa e prigioniera, alla ricerca dello spazio per respirare davvero. E chi legge si ritrova catapultato su quelle avenue, in quelle stanze da letto perennemente sfatte, all'inseguimento perenne dell'unica creatura che per sempre ci risulta imprendibile. Una creatura di nome Libertà. Con contributi di Guido Piovene.


598. Buongiorno, mezzanotte – Jean Rhys (1939)

Sasha Jansen, la protagonista, è una donna non più giovanissima, sola e senza soldi, che decide di tornare per un po' di tempo a Parigi. Qui è stata felice con Enno e qui spera di ritrovare il suo tempo perduto.


599. Il grande sonno – Raymond Chandler (1939)

“Cosa importa dove si giace quando si è morti? In fondo a uno stagno melmoso o in un mausoleo di marmo alla sommità di una collina? Si è morti, si dorme il grande sonno e ce ne si fotte di certe miserie. L’acqua putrida e il petrolio sono come il vento e l’aria per noi. Si dorme il grande sonno senza preoccuparsi di essere morti male, di essere caduti nel letame. Quanto a me, ne condividevo una parte pure io, di quel letame, ora.” Il primo romanzo in cui compare l’investigatore Philip Marlowe.



600. After the Death of Don Juan – Sylvia Townsend Warner (1938)

Published in 1938, mirroring the author's concern with the background to the Spanish Civil War, this novel mixes legend and history, in tracing the disappearance of Don Juan.

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