1 gennaio 2012

La vetrina degli incipit - Dicembre 2011

L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine? Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...






***

«Non sono mai stato un uomo facile alle lacrime.
Un giorno, mia moglie mi disse che il mio «gradiente emotivo pari a zero» era il motivo principale per cui mi stava lasciando. Come se il tizio che aveva conosciuto alle riunioni degli Alcolisti Anonimi non c'entrasse per niente. Christy disse che avrebbe forse potuto perdonarmi per non aver pianto al funerale di suo padre; lo conoscevo soltanto da sei anni e non potevo capire che uomo fantastico e generoso fosse stato (quando s'era diplomata le aveva regalato una Mustang decappottabile, tanto per fare un esempio); ma quando non avevo pianto a quelli dei
miei genitori (morti a due anni di distanza l'uno dall'altra, papà di cancro allo stomaco e mamma fulminata da un attacco di cuore mentre passeggiava su una spiaggia della Florida), Christy aveva iniziato a capire la faccenda del «gradiente».»
22/11/'63, di Stephen King - Sakura

«Rozzi pensieri e feroci forze costituiscono il mio essere. Non so chi sono, Nè chi fui. Non ho mani per tastarmi il volto. Non riesco ad udire alcun rumore. Un dolore diverso da qualsiasi dolore patito finora si preannuncia.
E' questa la paura che tien saldo l'universo? C'è il dolore alle fondamenta di tutto?
»
Antiche sere, di Norman Mailer - Polyfilo

«Nella settimana prima della partenza per Arrakkis, quando il tramenio era giunto a livelli quasi insopportabili, una donna vecchia e vizza si presentò alla madre di Paul.
Era una notte calda e soffocante a Castel Caladan, e l'antico cumulo di pietre che era la dimora degli Atreides da ventisei generazioni dava quel senso di frescura umidiccia che preannunciava un cambiamento del tempo.
La vecchia fu fatta entrare da una porta laterale e condotta giù per lo stretto corridoio fino alla camera di Paul, dove poté scorgerlo per un attimo mentre giaceva sul letto.
Una lampada schermata era sospesa vicino al pavimento. Sotto la luce fioca il ragazzo, ora sveglio, scorse il profilo di una donna corpulenta in piedi sulla soglia, accanto alla madre. L'ombra della vecchia era quella di una strega: capelli simili a un'intricata tela di ragno le incappucciavano il viso; solo gli occhi brillavano, come gioielli.
»
Dune, di Frank Herbert - Morwen

«Ci pensi troppo. Lo sconquasso, è vero, ci aveva reso ormai Saturno. Poca vita in mezzo e tanti giri intorno. Sì, sulla circonvallazione, un traffico continuo. Tu dentro avevi, invece, una velocità enorme. E in un attimo avevi calcolato: che un mondo alla volta non si poteva più, che quel centro - che pure c'è stato - si vedeva solo così, braccio appoggiato, dal finestrino, e non c'era altro modo che quella fila e quell'andare sempre. E passavano gli anni con quella tua rapidità frustrata.»
Swing!, di Michele Fianco - Lorenzo Pompeo

«Metà pomeriggio di un giorno di primavera. La biblioteca della famiglia Dowd. Scaffali con libri lungo tutte le pareti. Arredata con pesanti mobili antichi testimoni di una svanita grandeur. Il pezzo più importante è un dipinto ad olio che sovrasta il caminetto vittoriano in marmo nero, sulla sinistra. E' il ritratto di un'anziana scarna arcigna signora. Sulla destra, porte a due battenti. Le porte, al momento spalancate, conducono nel corridoio e oltre nel salone che non si vede. A sinistra, su un tavolino, il telefono. Dall'ambiente, questo pomeriggio traspare un'aria di festa... Vasi d'argento pieni di fiori. Dal salotto (fuori scena, a destra) giunge il suono della discutibile sfiatata voce di una donna che canta "I'm Called Little Buttercup". All'alzarsi del sipario, Myrtle Mae entra in scena dalla porta di destra per andare a rispondere al telefono che sta squillando.»
Harvey, di Mary Chase - Daniele

«Il succo della storia fin qui.

Al principio fu creato l'Universo. Questo fatto ha sconcertato non poche persone ed è stato considerato dai più come una cattiva mossa.
Numerose razze sono convinte che l'universo sia stato creato da una specie di dio.
Gli Jatravartid di Viltvodle VI credono invece che il cosmo sia nato da uno starnuto di un essere chiamato il Grande Ciaparche Verde.
Gli Jatravartid, che vivono nel costante timore del giorno in cui ci sarà l'Avvento del Grande Fazzoletto da Naso Bianco, sono piccole creature azzurre fornite ciascuna di cinquanta braccia, ragion per cui sono stati gli unici, nella storia delle razze intelligenti, ad avere inventato il deodorante per le ascelle prima della ruota.
»
Ristorante al termine dell'universo, di Douglas Adams - Pythia

«Guardiamo i libri, per cominciare. C'erano i romanzi di Edith Wharton, allineati sullo scaffale non in ordine alfabetico per titolo ma per anno di pubblicazione; c'era l'opera completa di Henry James della Modern Libray, regalo del padre per il suo ventunesimo compleanno; c'erano i testi con le orecchie alle pagine usati per gli esami, molto Dickens, un assaggio di Trollope, dosi generose di Jane Austen e George Eliot e delle formidabili Bronte. Un buon numero di tascabili New Directions con le copertine bianche e nere, soprattutto poetesse come H.D. o Denise Levertov. I romanzi di Colette letti di nascosto. La prima edizione di Coppie, appartenuta a sua madre, che Madeleine aveva sfogliato clandestinamente in prima media e ora aveva utilizzato come supporto testuale per la sua tesi di laurea sulla trama del matrimonio. C'era, insomma, questa biblioteca di medie dimensioni ma ancora non trasportabile che riuniva quasi tutte le letture di quattro anni di college, una raccolta di volumi apparentemente casuale che poco a poco trovava un senso, come uno di quei complicati test della personalità che non ti permettevano di barare prevedendo le implicazioni elle domande, e dove ti smarrivi al punto che l'unica soluzione era rispondere la verità. E poi aspettavi, sperando che il responso fosse "Artista" o "Passionale", pensando di poter sopportare "Sensibile" mentre in segreto temevi "Narcisista" e "Casilinga", per ottenere un risultato a doppio taglio che ti faceva sentire diversa a seconda del giorno, dell'ora o del ragazzo con cui stavi: "Inguaribile Romantica".»
La trama del matrimonio, di Jeffrey Eugenides - Tancredi

«È l’inizio dell’estate: le lunghe giornate cominciano con una nebbia che sia alza luminosa, e non finiscono mai. Si allungano le ore, e si allungano loro. Si allungano fino a contenere tutto ciò che potete ficcarci dentro; qualunque cosa abbiate, la prendono. Attività, inattività, buone idee, cattive idee, chiacchiere, amore, guai, bugie d’ogni tipo: di tutto, tengono. Lavoro? Quello no. Non c’è più nessuno che lavora. Una volta, certo. I contadini lavoravano. I giorni d’inizio estate erano il periodo migliore dell’anno per lavorare, ma i contadini non ci sono più. Hanno lavorato, hanno costruito, ma non ci sono più. Adesso chi tocca?

Lo sceriffo Ripley Wingate, un tipo mattiniero, svoltò dalla strada ed entrò nel parcheggio sul retro del piccolo tribunale. Non erano nemmeno le sette.
»
Via con me, di Castle Freeman - Vittoria A.

«Londra. Sessione autunnale da poco conclusa e il Lord Cancelliere tiene udienza a Lincoln-s inn Ahll. Implacabile clima di novembre. Tanto fango nelle vie che pare che le acque si siano da poco ritirate dalla superficie e non stupirebbe incontrare un megalosauro, di quaranta piedi circa, che guazza come una lucertola gigantesca in Holborn Hill. Fumo che scende dai comignoli come una soffice acquerugiola nera con fiocchi di fuliggine grandi come fiocchi di neve vestiti a lutto, si potrebbe immaginare, per la morte del sole. Cani che si distinguono appena dalla mota. Cavalli infangati fino ai paraocchi. Pedoni quasi tutti affetti da irascibilità, che si urtano a vicenda con gli ombrelli e perdono equilibrio agli angoli delle strade dove fin dall'alba (ammesso che ci sia stata un'alba oggi) sono già scivolati migliaia di altri pedoni, aggiungendo nuovi depositi alla crosta formatasi sopra lo strato di fango, restando in quei punti tenacemente sul marciapiede e accumulando melma a interesse composto.»
Casa Desolata, di Charles Dickens - Valetta

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