9 aprile 2014

Nebbia - Ivano Mingotti

Un bambino, la sua nonna, una passeggiata: inizia così Nebbia, horror metafisico che inscena la sua storia all'interno del piccolo paese di Beaumont, sperduto tra alte montagne, aguzze vallate e nebbia spessa.
In questo paesino molteplici protagonisti assistono impotenti alla scena che si propone agli occhi del lettore e che si è innumerevoli volte già proposta ai loro stessi occhi, durante le loro piccole vite di provincia: una anziana donna è stata ingoiata dalla nebbia, che non l'ha più restituita, smarrendola.
La nebbia è in questo romanzo insieme presente e mostruosa, ed accondiscesa, accettata, è il dio a cui il paese dona il suo tributo di silenzio, di rassegnazione, di depresso avvenire.
Non è quindi la nebbia l'elemento principale e traumatico, di scossa del romanzo, ma l'uccisione della figlia dell'anziana donna e la sparizione di suo figlio, ed il seguente concatenarsi di sparizioni ed omicidi, che focalizzerà l'attenzione dei vari protagonisti in un susseguirsi di salti d'indagine e di dubbio, svelando via via elementi preziosi al lettore per una in teoria piena comprensione di ciò che si cela dietro il paese di Beaumont.
La protagonista assoluta sarà Clythia, antipatica, mascolina, arrogante redattrice del giornale di Beaumont, seguita dall'occhio vigile del lettore nella sua vita sentimentale e nei misfatti criminali su cui ritroverà i suoi passi.
Nebbia è quello che sembra, e non lo è interamente, come la stessa nebbia che ne segue le pagine.
Un libro labirintico e sfumato, soffiato come il vento dallo stile ritmico e teatrale di Ivano Mingotti.

Recensione

Una cittadina qualunque della profonda provincia americana, una nebbia che ricopre tutto e tutti, annullando il confine tra sogno e veglia, giorno e notte, una massa di personaggi anonimi, inabili, apparentemente apatici. Tutto questo è Nebbia, romanzo in racconti, per così dire, che si prefigge di raccontare, o sarebbe meglio dire cantare la nebbia interiore che avvolge la vita contemporanea, tra solitudini e incomprensioni. L'idea di fondo è promettente, lodevole la stratificazione di livelli di lettura e originale il comparto stilistico, tuttavia risulta una lettura poco godibile, lenta, eccessivamente ridondante, grigia e soffocante come la nebbia che s'impone su tutti. E' il classico caso in cui la precisa volontà di suscitare un particolare stato emotivo, straniante e alienante, straborda dalla pagina, compromettendo la stessa esperienza di lettura.
Il setting non sarebbe male, le tinte fosche e gli accenni a subplot surreali e noir fanno un po' Stephen King alla lontana, ma tutto rimane fin troppo abbozzato. Va bene lo stile minimal, va bene la (non)descrizione di un non-luogo, ma uno scrittore è bravo quando sa dare tridimensionalità alle ombre, e qui abbiamo un mondo completamente piatto. La piattezza è inoltre rafforzata da un forte senso di staticità, il ritmo è esageratamente rallentato, anche laddove il dispiegarsi dell'intreccio presupporrebbe degli scatti. Il vero problema risiede nella subordinazione dell'intreccio narrativo all'elemento lirico-emotivo, che sovrasta la storia e s'impone ossessivamente al lettore. C'è la nebbia che nasconde misteri e rapisce ignari sventurati, e c'è la nebbia interiore che ottenebra la vista e impedisce di vivere: questo il fulcro del romanzo e il suo punto di forza. Tuttavia la resa non è ottimale, perché si traduce in una stucchevole ridondanza di pensieri dei personaggi (in mancanza di azioni), in elenchi infiniti di emozioni e stati d'animo, che trasfigurano i personaggi, persino la stessa protagonista, in meri contenitori vuoti, senz'anima, di emozioni varie ed eventuali. Non è così che si opera l'introspezione psicologica. Il tentativo di trovare forme prossime al flusso di coscienza, sì da restituire morbosamente al lettore ogni pensiero, ogni chiodo fisso e ogni ossessione dei personaggi, si traduce in una prosa zoppa che si traveste da poesia, ma senza davvero esserlo; anche qui, la poesia è un'altra cosa, la ripetizione maniacale di frasi e parole che si protraggono per pagine e pagine non dà musicalità, provoca solo l'isteria in chi legge. Insisto, perché tengo a metterlo in chiaro: frasi smozzicate e figure retoriche come se piovesse non fanno poesia, solo tanta confusione.
C'è tanto lavoro da fare per portare questo testo a livelli migliori; innanzitutto un lavoro di labor limae, per ripulire il testo dalle eccedenze stilistiche. Stile personale o non personale, scrivere è comunque un atto di comunicazione che si fonda su un compromesso: se sei uno chef puoi anche riempire un piatto di quintali di peperoncino, dichiarandolo come il tuo marchio personale, non è detto però che qualcuno possa aver voglia di assaggiarlo. Successivamente bisogna fare chiarezza e decidere esattamente quale storia raccontare, perché il mistero della Nebbia sembra solo la scusa per mettere parole belle una dietro l'altra, per dimostrare qualcosa, senza mai veramente raccontare. Infine, è da limitare, se non eliminare tout court, l'invasione persistente del narratore (in cui si cela l'autore), dal narratore che anziché raccontare "dialoga" con i propri personaggi (tecnica buona, ma nel contesto narrativo sbagliato) all'autore che si dilunga in prefazioni superflue. L'autorefenzialità, dunque, vizio irrudicibile di un romanzo il cui intento è fino alla fine quello di dimostrare, piuttosto che narrare.

Giudizio:

+2stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Nebbia
  • Autore: Ivano Mingotti
  • Editore: Ded'a
  • Data di Pubblicazione: 2014
  • Collana:  Cerebro Illesi
  • ISBN-13: 9788896121917
  • Pagine: 304
  • Formato - Prezzo: Brossura - 15,90 Euro 

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